La profezia della pace
Contenuti, metodi, silenzi, preoccupazioni e contraddizioni di un convegno ecclesiale. Da Verona in poi, la Chiesa riparte dalla pace.
Una riflessione a caldo a conclusione del Convegno ecclesiale di Verona, le sue luci e le sue ombre. Significativo, anzitutto, il tema denso di futuro: “Testimoni di Cristo risorto, speranza del mondo”. Bello il clima di partecipazione. Buono il livello del dibattito. Si è parlato di Consulte ecclesiali dei laici, del ruolo delle donne, di esperienze reali, della necessità di ascoltarsi e di ascoltare, di evangelizzazione, di corresponsabilità. Dopo la fase della mediazione (Roma) e quella della presenza sociale e culturale (Loreto e Palermo) sembra essere arrivato il momento della testimonianza.Per alcuni si tratta di una sintesi delle altre tappe. Per me siamo davanti a un’innovazione profonda, già contenuta nell’introduzione del cardinale Tettamanzi, radicata nella riscoperta dell’essenziale identità evangelica (il nostro “caso serio”), nella ricollocazione del Cristo morto e risorto al centro di una fede operante nella carità. Ho avvertito una felice contraddizione. Nel momento in cui il Papa riafferma il carattere oggettivo della ragione neotomista, ellenica e matematica, coniugata con le radici cristiane dell’Europa e con l’appartenenza cattolica, la Chiesa italiana si presenta una e plurale, articolata in un arcobaleno di differenze, pronta ad affermare la fede come dono d’amore, esistenza gratuita e relazione umana. Il Papa stesso, che al mattino non aveva pronunciato la parola pace, quasi a compensazione nel pomeriggio allo Stadio ha proposto la “vita nuova dell’amore, del perdono, del servizio, della non-violenza”. Anche Ruini, l’ultimo giorno, ha ricordato la “Pacem in terris”.
Devo, però, esprimere una preoccupazione generale. La pace non può diventare una citazione rituale, veloce, prima dell’invito solenne “decisivo” a impegnarsi per la famiglia, la scuola cattolica e la vita nascente. Penso che la vita vada tutelata e promossa nella sua varietà e interezza sempre e ovunque come bene globale, comune, laico, cristiano, universale. Solo se coerente e completa, la scelta della vita diventa credibile, autorevole e verace. La pace non può essere nella Chiesa un capitolo tra i tanti. Mi ronza in testa una delle frasi famose di Tonino Bello: “È il discorso teologico più robusto e più serio che oggi si possa fare, perché affonda le sue radici nel cuore del sistema trinitario”. Nel documento di Pax Christi è presente una tensione necessaria (che costituisce un servizio indispensabile): l’arduo ma vitale tentativo di collegare l’etica privata e familiare all’etica pubblica e politica. C’è lo sforzo di una sintesi dinamica tra elementi vissuti spesso, nella Chiesa e nella società, come contrapposti o concorrenziali. Tale sintesi può trovare proprio nella profezia della pace il nucleo centrale e generatore. Il Vangelo della vita e il Vangelo della pace formano l’unico Vangelo di Cristo “nostra pace”. Qui sta per me il “caso serio”. A Verona è mancato proprio un ragionamento (etico-politico e teologicoecclesiale) sulla guerra e sulla pace.Forse lo si dà per scontato. Forse lo si vuole affidare all’autonoma azione dei laici.
Ne dubito. Il magistero della pace sembra ormai figlio di un dio minore, non entra nella prassi quotidiana o nella pastorale ordinaria.Forse il pensiero unico neoliberista quantitativo, iniquo e armato, ha fatto molta strada. La testimonianza rischia così di diventare individuale, sganciata dalla critica ai sistemi di potere economico e militare che stanno programmando l’antigenesi. Forse è per questo che “la Chiesa dei poveri” è ormai entrata in clandestinità e che il tema della “Chiesa povera” viene trascurato perché ritenuto inadatto a esprimere presenze forti e decise (opportuno il comunicato della “Campagna banche armate” che invita le parrocchie a valutare l’orientamento etico delle banche, sponsor del convegno, con cui si hanno rapporti). È anche per questo, forse, che non si parla più di cappellani militari sganciati dalle gerarchie militari. A mio avviso, i credenti, rifacendosi ai tanti volti di pace (testimoni del Risorto), al più alto magistero ecclesiale, da Giovanni XXIII al grido inascoltato di Giovanni Paolo II (“mai più la guerra avventura senza ritorno”) devono scuotersi di dosso ogni forma di pigrizia e operare un vero scatto teologico ed ecclesiale, sociale e politico. Penso sia giusto ripartire dall’inizio, dalla fresca e fiduciosa relazione di Tettamanzi per il quale la Chiesa è “una comunità col volto di famiglia costruita attorno all’Eucaristia e alla domenica, forte delle sue membra più deboli, in cui le diverse generazioni si frequentano, dove tutti hanno cittadinanza e contribuiscono ad edificare la civiltà della verità e dell’amore” alimentando “la spiritualità della gioia cristiana”. Da parte mia, propongo fin d’ora il tema del prossimo Convegno ecclesiale: “La profezia della pace, Vangelo del nostro tempo”.