L’albero e i frutti
“Un secchio già pieno è pesante e non permetterebbe di volare. Perciò Italo Calvino nella prima delle sue ‘Lezioni americane’ raccomandava di affacciarsi al nuovo millennio a cavallo del nostro secchio, ma con la virtù della leggerezza”. Le parole di chiusura del libro che Nicola Colaianni dedica alle differenze culturali e religiose rendono bene l’intenzione dell’autore, che è triplice: parlare senza semplificazioni ormai inaccettabili della “multiculturalità”, proporre come terreno di ripensamenti e proposte il diritto e la Costituzione e predisporsi al futuro con competenze nuove. Nuova è, infatti, la presenza in casa nostra delle differenze, nuovo è l’indirizzo giuridico dei diritti in Europa, nuova è l’interpretazione della laicità che non può restare astratta. Qualche traccia utile a una discussione sui principi l’ha anticipata la polemica sulle “radici” di una cultura europea: se “l’albero si conosce dai frutti”, anche i cristiani dovranno pensare, più che alla propria storia, alla capacità di realizzare un’unità futura a livello più profondo, fra cittadini “diversi” e future generazioni impegnate a salvare il mondo.
Lo studio problematico pone in luce le difficoltà di affrontare le situazioni contemporanee: se la Grecia ha incardinato i principi dell’Ortodossia nella Costituzione o se il melting pot degli Stati Uniti ha consigliato prudenza nel definire il rapporto con le diverse confessioni – il buddismo ma anche Scientology e le sette – il rapporto fra privato e pubblico in materia di libertà religiosa intriga oggi più che mai tutti i Paesi a un’infinità di livelli che Colaianni recensisce compiutamente. Ovviamente in primo luogo l’attenzione è rivolta all’Italia. Molti sono i temi su cui siamo chiamati a considerare la complessità delle conseguenze che derivano dalle decisioni in materia. Possiamo parlare di rispetto delle prescrizioni religiose che riguardano gli abiti, dal “velo” alle vesti monacali, ma dobbiamo prendere in considerazione anche la poligamia o le mutilazioni genitali. Nell’epoca della globalizzazione la condizione della donna rappresenta una sfida non solo alle tradizioni e ai culti, ma alla giurisprudenza. I diritti umani vanno imposti per legge? Secondo quali regole e leggi? Che cosa definiamo universale giuridicamente se in alcuni Paesi la norma è teocratica?
Essere laici diventa più complesso, anche perché veniamo interpellati direttamente. A Milano si sceglie di istituire classi per soli islamici: è la via giusta? E, per quello che ci riguarda come cristiani, è stato un vantaggio – per la Chiesa e per lo Stato – l’ora di religione concordataria (tenendo conto che nell’anno scolastico 2004/05 un terzo degli studenti delle superiori ha chiesto di non avvalersene)? O non è davvero più rispondente ai bisogni del nostro tempo la conoscenza per tutti della storia delle religioni?