NONVIOLENZA

Per le vie di Roma

Per debellare violenza e odio occorre sognare insieme. Camminare insieme. Lo hanno fatto religiose e religiosi dell’Ordine domenicano, in occasione della giornata mondiale della pace indetta dalle Nazioni Unite.
Patrizia Morgante

Tutto ha avuto inizio con un incontro, come tante cose accadono. L’idea della marcia nasce dall’ascolto di un grido: le suore irachene domenicane si appellano a chi in questo momento ha più voce di loro perché mostrino solidarietà concreta al popolo iracheno. Chiedono di parlare, di urlare o sussurrare se necessario, ma non di rimanere in silenzio. Nelle radici e nel sangue domenicano è sempre vivo il grido di fra Montesinos che nel 1500 gridava ai conquistatori spagnoli che decimavano gli Indios: “Non sono forse esseri umani questi a cui togliete la vita? Con che diritto?”. L’invito è accolto dalla Famiglia domenicana nella figura di fra’ Carlos, OP, il Maestro dei Domenicani che scrive una lettera ai domenicani e alle domenicane nel mondo per eleggere il 21 settembre 2006, giornata mondiale della pace indetta dalle Nazioni Unite nel 2001, come giornata di mobilitazione e di solidarietà con la nostra Famiglia domenicana in Iraq e nel Medio Oriente. Carlos scrive: “Questo tempo è un tempo di crisi e di incertezza, un tempo che ci chiama ad approfondire la nostra fede in un Dio di pace... Vi incoraggiamo a mar ciare per la pace, a riunirvi anche in una parte della strada, ad accendere una luce o una candela, a suonare le campane. Organizzate preghiere pubbliche per la pace. Invitate amici e vicini a congiungersi a voi nella solidarietà e nella speranza che la pace possa avvenire nel mondo, ovunque violenza e odio siano ora presenti”. A Roma ci si mobilita subito per allargare questo invito.

Per le vie di Roma
In 400 abbiamo camminato in silenzio nel centro storico di Roma. Una marcia per la pace semina pace. Invita le persone che ti vedono anche solo per un attimo a pensare che la guerra è reale e la pace può essere possibile. Questa occasione ha aiutato a costruire nuove relazioni, nuove conoscenze che aprono e abbattono steccati anche tra le realtà che affermano di operare per la pace e la giustizia. I volti seri, emozionati, compassati delle suore domenicane irachene ha aiutato i “marciatori” a vedere che “abbiamo famiglia in Iraq”. Non è solo un’idea, ma sono fratelli e sorelle con volti concreti e storie forti da raccontare. Sr Nazik, OP, suora domenicana irachena, nella sua preghiera chiede: “Ti preghiamo, creatore del mondo e dell’umanità, creatore della verità e della bellezza... Non permettere che la violenza e il terrorismo deformino il tuo sogno di vedere questo mondo buono, veramente buono come lo hai pensato sin dall’inizio. Manda il tuo Spirito di amore e riconciliazione a purificare i nostri cuori dall’odio e dal rancore, ad alleggerire il nostro carico di dolore e di angoscia e a portare pace nel nostro mondo; aiutandoci a ricostruire relazioni giuste con te e con tutti gli abitanti di questa tua meravigliosa Terra”.
A fra’ Carlos l’onore di leggere la dichiarazione di pace. In un’intervista per Radio Vaticana, ha affermato: “Mi ricordo che durante una visita in Iraq le suore irachene in lacrime ci hanno detto che se fossero stati attaccati sarebbe stata una guerra civile nel Paese. (...) La maggior parte della popolazione mondiale non vuole la guerra. La Famiglia Domenicana è presente con una sua ONG alle Nazioni Unite, insieme ai Francescani, per fare azioni di lobbying per la protezione dei diritti umani. Non è una lobbying politica, o meglio lo è se per politica intendiamo il lavoro per il bene comune, non mi preoccupa la parola “politica”. I domenicani e le domenicane ci chiedono dal basso di denunciare le violazioni dei popoli con i quali lavorano e noi portiamo le loro istanze alla Commissione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, che oggi si chiama Consiglio per i Diritti Umani. ‘Peace in truth and truth in peace’, Pace nella Verità e Verità nella Pace”. Se mi chiedeste cosa è mancato in questa iniziativa, direi: la società civile e la laicità. Sono mancate altre voci, altri paradigmi e altri linguaggi. Non si è abituati a lavorare in rete. Se mi chiedeste cosa ho imparato da questa esperienza, risponderei: che possiamo osare.Ho imparato che non siamo i proprietari di ciò che proponiamo dal momento che lo condividiamo con altri: quando le persone si appassionano alle nostre proposte diventano co-creatori con noi e le cose funzionano meglio... Possiamo sognare solo restando insieme...

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