Vangelo e mimetica?
Feste, gagliardetti, mimetiche e armi.
E sullo sfondo cappellani militari con le stellette.
Ripartiamo dalla loro smilitarizzazione
Saluto le autorità presenti: religiose, civili e militari. È una frase che abbiamo sentito in diverse occasioni, in particolare durante cerimonie e liturgie solenni. Se questo può essere visto come un saluto di “buona educazione”, c’è qualche problema in più quando si arriva alla benedizione, in modo particolare a quella di strumenti di guerra. E anche qui, quante volte abbiamo visto, anche solo in Tv o sui giornali, solenni benedizioni di cannoni, carri armati, aerei, navi da guerra, come ad esempio la portaerei Cavour. Per questa nuova nave da guerra, Pax Christi ha espresso tutta la sua perplessità sia attraverso il presidente mons. Diego Bona (luglio 2001, inizio lavori), sia mediante il coordinatore nazionale Tonio Dell’Olio (luglio 2004, inaugurazione e benedizione finale). Ma rischia di essere visto come un fatto isolato, come una fissazione di chi non sa fare le mediazioni richieste da una buona sensibilità pastorale.
Anche don Tonino Bello, presidente di Pax Christi e vescovo di Molfetta ci aveva provato. Era lui stesso a raccontare che, chiamato a una cerimonia ufficiale, a un certo punto sente: “‘E ora il vescovo benedirà le Forze Armate’. Io mi sono sentito spiazzato, non avevo previsto questo invito a benedire le Forze Armate. Allora ho visto che in prima fila c’era la Banda musicale e ho detto: ‘Va bene, adesso il vescovo benedice le forze armate... di strumenti musicali’”. E raccontava anche questo episodio: “Qualche mese fa, ero appena tornato dall’ospedale, quando mi invitano a celebrare per l’inaugurazione di una nuova nave militare. Io ascolto l’ufficiale che legge tutti i compiti a cui è chiamata questa nave: soccorrere i dispersi in mare, portare aiuti, ecc. Allora io dico nella preghiera: ‘Fa’, o Signore, che se questa nave manterrà fedelmente tutti gli impegni, la sua bandiera sventoli sul pennone come tovaglia di altare; ma se non manterrà questi impegni la sua bandiera cada a terra come uno strofinaccio da cucina’. Sentivo i commenti di qualcuno ‘e dire che sta male, è molto malato ed è appena tornato dall’ospedale, guai se stesse bene!’. Al termine della Messa, mentre mi tolgo i paramenti, mi si avvicina un alto ufficiale, fa il saluto militare e aggiunge ‘eccellenza, le devo dire che questa sera andrò di nuovo a un’altra Messa’. ‘Bene, sono contento’, gli dico io. ‘Sì’, conclude l’ufficiale, ‘perché la sua Messa mi ha disgustato’”.
Prassi pastorali
Al di là dei singoli episodi è un dato di fatto che la prassi pastorale spesso si trova a “incrociare” situazioni, istituzioni, persone e cose che sono direttamente legate alla guerra. Le Messe “organizzate” dai vari corpi militari, all’interno della festa, locale o nazionale, sono una realtà. E all’interno della celebrazione è prassi sempre più acquisita che si reciti anche la preghiera... dell’alpino, del bersagliere, del marinaio. “Rendi forti le nostre armi” recita una di queste preghiere. Sarebbe interessante documentare casi in cui questo collegamento tra liturgia e militare, pastorale e guerra sia stato messo in discussione. Negli anni passati ci sono state parrocchie, alcune in Piemonte, in cui si è cercato di ribadire la centralità della preghiera universale della Chiesa, della Comunità e non del singolo Corpo. Ma non è stato e non è facile ancora oggi. D’altronde la crescente tendenza a liturgie sempre più solenni e “pompose” che rischiano di dare quasi più valore ad alcuni aspetti esteriori: paramenti, cori polifonici in latino ecc. portano a vedere con occhio più benevolo il collegamento con il mondo militare anch’esso portato a dare rilievo alla forma, alla precisione: picchetti, gagliardetti, ordine e disciplina...
E così molti credenti, laici e non solo, si interrogano, si chiedono quali scelte siano da fare per ribadire una libertà della Chiesa, uno spazio allo Spirito Santo, alla Parola di Dio, alla liturgia vera e non ridotta a “cerimonia” per non correre il rischio di andare verso quella che oggi si chiama religione civile. In questo contesto, oggi come ieri, non può non porre interrogativi nella realtà italiana, la Chiesa tra i militari e in particolare i cappellani militari o, per usare il titolo di una recente pubblicazione curata dall’Ordinariato militare, Il Vangelo in mimetica.
Cappellani militari
“Non c’è il rischio – ha scritto d. Fabio Corazzina, coordinatore nazionale di Pax Christi, in risposta a un’intervista all’ordinario militare mons. Angelo Bagnasco pubblicata da “Famiglia Cristiana” il 21 maggio scorso – che anche il Vangelo venga ‘arruolato’ come si è detto per i giornalisti? Arruolato per vedere e giustificare la storia dalla parte dei forti, non delle vittime, soprattutto civili. Arruolato per giustificare e benedire violenza e morte. Come si può coniugare la ‘via militare alle Beatitudini’ e ‘il militare cristiano che porta le armi e sa di poter essere costretto a usarle’ pur sapendo ‘che la sua vita è inserita nello spirito delle Beatitudini che gli conferisce il ruolo di operatore di pace con quanto è scritto nei Lineamenti di sviluppo delle Forze Armate negli anni Novanta, documento presentato in Parlamento nell’ottobre del 1991?”. Lì si parla di “concetti strategici di difesa degli interessi vitali ovunque minacciati o compromessi”. Come tacere la condanna a questi lineamenti che hanno dato il via alla teoria della “guerra preventiva”? Guardando all’Iraq o all’Afghanistan, come è possibile coniugare ancora umanitario e militare? Tanto più oggi, dopo i cambiamenti avvenuti, come l’abolizione della leva obbligatoria, la professionalizzazione dell’esercito composto da volontari, il coinvolgimento dei soldati italiani in vari territori di guerra, i nuovi e sempre più micidiali sistemi d’arma utilizzati e in fase di studio. “Lo so che la cosiddetta ‘militarità’ può fare problema – diceva mons. Bagnasco nell’intervista al settimanale paolino – e sembrare fuori posto per un prete.
Ma c’è una ragione. Il senso di appartenenza alle Forze Armate è altissimo. È un mondo con regole precise. Il sacerdote, per essere pienamente accolto, ne deve far parte fino in fondo, convinto che il rispetto delle persone e dell’ambiente passa anche attraverso la loro totale condivisione”. Pax Christi aveva già posto il problema dei cappellani militari con un appello alla Chiesa italiana e ai politici, senza molto successo, in occasione del Convegno della Chiesa italiana a Palermo, nel 1995. In occasione del 30° anniversario della morte di don Lorenzo Milani scriveva: “Senza far uso strumentale della storia, senza intenti di polemica fine a se stessa, Pax Christi chiede, nuovamente, che si ritorni a discutere sul ruolo dei cappellani militari, non per togliere valore alla presenza e all’annuncio cristiano tra quanti, soprattutto giovani, stanno vivendo la vita militare, ma per essere più liberi, senza privilegi e senza stellette”. Parole poi riprese dall’editoriale di “Mosaico di pace” dell’ottobre 2000.
Anche al Congresso Eucaristico di Bologna (1997), dove era prevista una celebrazione Eucaristica presieduta dall’ordinario militare, Pax Christi interviene chiedendo di “aprire un dialogo sul ruolo dei cappellani militari: la loro smilitarizzazione potrebbe essere un gesto significativo e concreto di conversione, proprio in occasione del Congresso Eucaristico, anche alla luce del Giubileo del 2000, per iniziare il terzo millennio più fedeli al Vangelo di Cristo nostra pace”. Ma l’occasione più significativa e approfondita su questo tema è stato senza dubbio il seminario di studio tenutosi alla Casa per la Pace di Firenze, nel novembre 1997, promosso in collaborazione con il Centro Studi Ecumenico Sociale per la Pace: Cappellani militari oggi e... domani, con interventi di giuristi, di un cappellano militare e di Pax Christi. “Si è ribadita pertanto la necessità – si legge nel comunicato finale – di un sempre maggiore impegno non solo della Chiesa presente tra le Forze Armate, di cui s’è riscontrata la disponibilità al dialogo, ma di tutta la Chiesa italiana per un cammino sempre più determinato sulla via della nonviolenza e della pace”. Sono passati quasi dieci anni, e questo impegno al dialogo resta sempre valido e doveroso. Perché è un problema di Chiesa, di tutta la Chiesa italiana: per questo è auspicabile una riflessione aperta, serena ma ferma sul ruolo dei cappellani militari e sulla loro completa integrazione all’interno dell’apparato militare.
Seminari specifici
Con alcune domande: come mai esiste un seminario per la formazione dei cappellani militari? La chiusura, di qualche anno fa, del seminario per l’America latina e la non apertura, di un seminario per i preti operai pare sia dovuta anche a una motivazione di fondo: si diventa preti per la tutta la Chiesa, non per un “settore” particolare. Perché non scegliere anche per i cappellani nell’esercito un ruolo di presenza sul modello della Polizia di Stato o degli Istituti Penitenziali, dove i cappellani non sono inquadrati nella struttura? Insomma, un ministero di accompagnamento spirituale ma libero dalle stellette, libero anche dal lauto stipendio e dai privilegi dovuti al fatto che si è parte della gerarchia militare. Perché allora non tornare a essere preti come gli altri, inseriti in una diocesi come le altre? Perché non affidare la cura pastorale dei militari alla parrocchia nel cui territorio sorge la caserma?. Infine, guardando al 2007, 40° anniversario della morte di don Milani, perché non cogliere l’occasione per chiedere perdono a don Lorenzo e a tutti coloro che hanno scelto l’obiezione di coscienza? Va ricordato che la sentenza di condanna non è stata mai cancellata e pesa ancora nei registri penali ai danni del priore di Barbiana.