PAROLA A RISCHIO

Parole senza storia

Forse dovremmo avere il coraggio di restare in silenzio. Prostrati per la vergogna. Affogati in una grande tristezza. Per non aver ascoltato abbastanza i sogni dei poveri. Per non aver osato credere sino in fondo nella follia della Parola.
Antonietta Potente

Sento una grande tristezza perché la Parola è silenziosa. Forse deve essere così per non essere confusa con le parole ufficiali piene di nostalgie di gloria e di trionfalismi perduti. Mentre la vita scivola da sola sotto i nostri occhi, le religioni parlano tra di loro ma parlano dei propri poteri, delle proprie glorie, ciascuna cercando di accusare l’altra dei suoi errori o orrori, e forse non basterà la storia per poter raccontare tutto. Nel frattempo la vita scorre, silenziosamente, o forse con i suoi sintomatici rumori; scorre per conto suo. Ci sono mondi che si mantengono volutamente lontani, culture che si tengono volutamente separate. Ci sono criteri ermeneutici che – usati in un modo o in un altro – si usano, per mantenere le distanze... E la gente – i credenti, donne e uomini comuni – assiste alle diatribe socio-religiose gestite dai propri rappresentanti.

I rappresentanti dei sogni
Mi domando se davvero ci sentiamo rappresentati, mi domando se si sentono rappresentati i nostri desideri, i nostri sogni, le nostre paure, le nostre audaci ricerche... Perché non diciamo ai nostri rappresentanti che quando fanno le loro esegesi sulla realtà non scendono dalle cattedre e domandano i pareri delle persone semplici? Perché la nostra Chiesa usa sempre i criteri ermeneutici di sempre, il razionalismo più spietato anche quando si riveste di fede? Perché noi non riusciamo a pensare e a parlare in modo alternativo? La storia affonderà nelle sue stesse polemiche nelle sue false ed ermeneutiche parole. Ci uccideremo discutendo, per la nostra piccola razionalità borghese e di classe. Intanto la Sapienza grida nelle piazze o geme nei parti delle donne e della natura, parti che costituiscono delle sfide alle minacce del neoliberalismo e del nuovo colonialismo ideologico delle grandi religioni, per lo meno quelle che sempre si affrontarono per proteggere il loro proselitismo esoterico. Perché noi restiamo in silenzio? Perché non esprimiamo il nostro dolore per le nostre deboli esegesi storiche? Ma soprattutto perché non domandare a nuovi interpreti ciò che pensano della vita e di Dio? Forse perché seguiamo antiche tradizioni dove non contavamo mai le donne e i bambini... con tutto ciò che queste due categorie rappresentano. Perché quando si parla nei fori dei grandi dibattiti intellettuali e universitari non si cercano altri sogni? Perché non si osa dire la vera follia della Parola, quella parola che non conosce ancora una storia, perché non si è ancora detta, quella parola che non si trasforma in rischio solo per difendere la propria supposta ragione, ma

La nonviolenza è una forza incredibile, non è pavidità. Dobbiamo lasciare le nostre sicurezze, le nostre compattezze rassicuranti... essere, anche come Chiesa, non dico tolleranti, ma capaci di accoglienza, come lo è stato Gesù. Come Chiesa non siamo chiamati a entrare in competizione, non dobbiamo rivestirci dei segni del potere. Noi abbiamo il potere dei segni, non i segni del potere. [...] Abbiamo il potere di collocare dei segni sulla strada a scorrimento veloce su cui cammina la gente, segni di condivisione, di povertà... Introduci in casa tua chi è senza tetto, dai da mangiare a chi ha fame, partecipa alla vita dei più poveri.
Don Tonino Bello
piuttosto una parola che raccoglie i sogni più comuni, quelli delle notti piene di nostalgia, di donne che non vogliono più restare da sole perché il loro uomo è stato reclutato per una nuova guerra etnica o religiosa. Perché non si ascoltano i sogni dei bambini, che vorrebbero giocare tranquillamente nei cortili delle loro case o per le piazze, i sogni dei nuovi deportati del liberalismo postmoderno; i sogni di chi vorrebbe avere la garanzia di poter vivere per lo meno fino al giorno dopo. Perché non si chiede alla natura, alle piante, agli animali, alla terra, all’aria, tutti i danni che abbiamo fatto una e più volte, per l’assurdo gioco dell’egocentrismo umano e culturale.Perché i nostri capi religiosi, prima di parlare, non chiedono aiuto a quelle persone che tutti i giorni cercano la strategia più utile per salvare la propria vita; perché non domandano a loro qual è il gioco sottile tra l’intelligenza e la fede.

I segni dei tempi
Perché alle religioni non interessano queste storie? Perché scrutiamo i segni di altri tempi, per parlare alla società postmoderna? Perché, invece, non scrutare tra le nubi, gli spruzzi stellari delle costellazioni? L’antico adagio del Concilio Vaticano II sembra essere totalmente dimenticato: i segni dei tempi... e l’inquietudine e la voglia di cercarli, qui, ora, in questa storia e non in un’altra. Perché non pensiamo che è possibile un altro modo di stare insieme, cercando la sapienza di chi non vuole competere con nessuno, né con i suoi simili né con Dio. Ancora una volta la nonviolenza non viene dalla ragione occidentale e dalla sicurezza della nostra fede, che pensa di sapere tutto e averlo indovinato lungo i secoli. La nonviolenza, la pace, l’equilibrio delle energie vitali della biodiversità cosmica, l’equilibrio delle cose che tornano a circolare e che rompono il monotono codice strutturale della torre di Babele: ancora una volta tutto ciò verrà da soggetti alternativi. Se continueremo così ci seppelliremo da soli, nella nostra arrogante razionalità e in una fede che a volte assomiglia più a un freddo trattato di calcolo che a un brivido che attraversa la pelle di chi ascolta il mistero...

Mi vergogno
Incanto che ci sospinge solo per poter vedere... senza possedere niente. Tutto ciò mi ispira un gesto: sprofondare il mio viso nella terra; prostrarmi in silenzio, coprirmi di polvere non per la paura che succeda qualcosa, ma solo per la vergogna, per tutto ciò che non abbiamo ancora ascoltato; se non

La verità è nomade. Mi piacerebbe dire: “L’utopia è nomade! La speranza è nomade!”. Il Talmud dice che chi salva una persona è come se salvasse il mondo intero. Bisogna assolutamente salvare la dimensione unica dell’esistenza. Allora viviamo l’utopia del quotidiano. Senza questa disponibilità a lasciarci stupire dalla novità implicita in ogni evento che rimette in discussione la nostra vita, come possiamo credere nell’utopia del Regno di Dio?
Marcelo Barros
l’abbiamo ancora ascoltato, significa che non lo possiamo ancora dire e che nessuno lo potrà dire fino a quando non lo ascolteremo o lo percepiremo come una visitazione improvvisa che verrà da altri, da quelle donne e bambini che non hanno mai contato. Mi affascina pensare che in Bolivia, la terra in cui vivo, esistano etnie che sanno solo contare fino a tre o sei e che non enumerano i mesi, così come si fa in altre parti del mondo. Mi affascina e crea in me una nostalgia grande, mi fa pensare che tutta la razionalità e la forza di una certa cultura occidentale, un giorno, verrà ridotta al silenzio: non dalla rabbia o dalla paura, ma dallo stupore per la semplicità. Vengano gli uomini a parlarci dell’innamoramento e del corteggiamento nella vita e nella fede. Vengano le donne e i bambini, anche se non contano, come dice anche il Vangelo, nelle culture ufficiali... Vengano e ci facciano credere in un’altra storia che non vuole essere uguale né a questa né a quella degli imperatori del 1300 o a quella degli illustri illuminati dei secoli posteriori, perché tutte queste storie, e non solo i loro dei e i loro universi religiosi, sono state storie arroganti e violente. Alle donne e ai bambini queste cose non interessano, anche perché, noi donne lo sappiamo da sole di contare, in quanto siamo quasi sempre le uniche a sapere se i bambini hanno mangiato o meno, se hanno fatto i compiti o meno, a che ora devono andare a dormire... Siamo le uniche a custodire i loro sogni...

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