Riarmo tutto italiano
Triste ironia di un Paese sempre più militarizzato.
Se ne è accorta anche la Repubblica. Le spese militari che la Finanziaria – in discussione al Senato – prevede per il 2007 sono in forte aumento: se non ci saranno ritocchi dovrebbero superare i 21 miliardi di euro segnando un incremento di oltre 2 miliardi, cioè dell’11%, rispetto all’ultima Finanziaria del Governo Berlusconi. Un bel risultato per un Governo che aveva affermato nel suo programma elettorale che “l’Unione si impegna, nell’ambito della cooperazione europea, a sostenere una politica che consenta la riduzione delle spese per armamenti”. E se la maggior parte dell’intero bilancio, più del 70%, è assorbito dai costi sempre più elevati per il mantenimento delle Forze armate – che nel 2002 ricoprivano però solo la metà della “Funzione Difesa” – e dalle sempre più numerose missioni militari, una buona fetta se la ritagliano pure le industrie armiere per la produzione di nuovi armamenti e la partecipazione dell’Italia a programmi di riarmo in partnership con diversi Paesi.
A cominciare da quelli europei per il cacciambombardiere “Eurofighter Typhoon” di cui l’Italia conta di acquistare altri 121 modelli per Aeronautica e Marina per un costo di circa 7 miliardi di euro. E per le fregate Fremm: 60 milioni di euro per il 2007, 135 milioni per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e dal 2010 fino al 2022 a raggiungere i 1.665 milioni di euro. Ma anche per programmi non proprio europei, come quello per un altro tipo di cacciabombardiere, il F35-Lightnight II, noto come Joint Strike Fighter (JFS). Un programma che piace particolarmente al centro-sinistra visto che la partecipazione fu decisa dal Governo D’Alema nel 1998. Lunghe vedute per un Governo tutto sommato breve: le consegne dell’F35 non dovrebbero giungere prima del 2013, ma partecipare al programma fin dalla fase di progettazione ha avuto un interesse aggiunto e – non ne dubitiamo – strategico. Anche perché il JSF dovrebbe essere in grado di svolgere funzioni “dI attacco”, e trasportare ordigni nucleari, che l’Eurofighter non pare in grado di assolvere. Il sottosegretario alla Difesa, il diessino Lorenzo Forcieri, ha subito tranquillizzato gli animi. “Con questa Finanziaria non facciamo altro che riportare la spesa militare al livello del 2004. Prima cioè che il Governo di centrodestra tagliasse di fatto la spesa militare di 2 miliardi e mezzo di euro” – ha detto al giornalista Carlo Bonini de la Repubblica.
E come dargli torto, visto che nel novembre del 2005, quando appunto circolavano le prime voci di questi “tagli” berlusconiani, i vertici del suo partito avevano prontamente chiamato a raduno le Forze armate, Servizi segreti e industria militare? “Mai nella storia repubblicana il rapporto tra funzione difesa e Pil era sceso sotto l’1%. Il valore critico raggiunto quest’anno dalle risorse assegnate al settore (0,84% del Pil) è il punto più basso di una sequenza decrescente che ha segnato il corso dell’intera legislatura” – aveva tuonato Marco Minniti (Ds) al convegno “Le nuove sfide della difesa italiana” organizzato dai Ds. E Piero Fassino assumeva solennemente almeno l’impegno “fin da questa finanziaria di segnare una piccola inversione di tendenza”. Se non ci riuscì lo scorso anno, quest’anno pare non abbia mancato il bersaglio. E i pacifisti? Dai, non possono lamentarsi. In fin dei conti 50 milioni di euro di “Fondi per la cooperazione allo sviluppo” che rischiavano di venir decurtati sarebbero stati reintrodotti proprio prelevandoli dal “fondo per la manutenzione militare”.
Insomma ragazzi, non diciamolo troppo ad alta voce, ma pare che un po’ di “riconversione” economica l’abbiamo portata a casa. O vogliamo prendercela con l’ingegner Guarguaglini? L’amministratore delegato di Finmeccanica non perde occasione di ricordare ciò che ogni italiano sente ripetere da anni da buona parte del mondo politico: “Se un governo, indipendentemente dal proprio orientamento, vuole portare avanti una politica internazionale di un certo livello, ha bisogno di una componente della Difesa efficiente”. Come dargli torto? Forse, allora, la domanda non è quanti soldi si stanziano per la Difesa o a quante missioni di pace dovrà partecipare l’Italia per essere annoverata dai partner internazionali un “alleato affidabile”.Ma resta il fatto che in questo Paese non si trovi uno straccio di programma televisivo che non sia confinato nelle ore per sonnambuli in grado di ospitare un dibattito su questi temi. Per parlare di spese militari – e commercio di armi – pare non ci siano sedie in Rai, a Mediaset e nemmeno a La7: da Ballarò a Matrix, da L’infedele a Porta a porta, tutti senza sedie e divani. Eppure il Belpaese è il settimo al mondo per spese militari e il tra i primi dieci esportatori di armi. Ma è mai possibile che per parlare di queste cose occorra rivolgersi a Giuliano Ferrara?