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In nome di Paolo

Il coraggio di una donna che esce dal guscio della disperazione e si mette a intrecciare i sogni di una nuova Sicilia.
Barbara Peruzzi

Vorrei chiamarla solo Rita. Non perché – come qualcuno ha insinuato – sia un problema fare politica e chiamarsi Borsellino, ma perché l’attenzione non sia in alcun modo distolta dalla storia di questa donna – raccontata con commovente sincerità nel volume a cura di Livio Colombo uscito per l’editore Melampo solo qualche mese fa – che ha saputo rinascere il 19 luglio del 1992 quando un’autobomba uccideva a Palermo l’amato fratello, il giudice Paolo Borsellino e i cinque ragazzi che avevano il compito di scortarlo.
Se è vero, che il suo impegno nella società civile esiste proprio perché Paolo non c’è più, è altrettanto vero che un’altra storia ha potuto avere origine solo in virtù del coraggio di colei che, senza più alcun guscio, ha saputo prima mettersi in discussione e poi in cammino.
Da quel 1992 a oggi non un attimo di sosta. Racconta Rita: Nel 1994 ci inventammo la carovana antimafia. La nostra preoccupazione era tener vivo quel movimento nuovo e bello che stava scuotendo la Sicilia. Inoltre in molte roccaforti mafiose c’erano state le elezioni di sindaci antimafia, ma c’erano anche una miriade di attentati contro di loro.Volevamo far sentire che non erano soli e quindi si organizzavano incontri nelle piazze, nei circoli, si provava a fare dei veri e propri presidi sul territorio.
Proprio questa abitudine a stare tra la gente, il tentativo costante di creare intrecci solidali tra le varie realtà della società civile, l’impegno per un’antimafia dei diritti sono state il punto di partenza della scelta politica di Rita, ciò che ella ha inteso mettere a disposizione di tutte le forze politiche del centro-sinistra siciliano per provare a recuperare insieme – forse prima ancora che la direzione politica della Regione Sicilia – un legame virtuoso tra i partiti tradizionali e la proprio base.
Tutto ciò con l’impegno di ridare vigore a una politica partecipata, condivisa, dal basso, attenta alle esigenze del territorio. In tal senso la prassi dei Cantieri utilizzata per la stesura del programma di governo ne è una sorta di paradigma perché quei luoghi di ascolto e confronto hanno brillantemente assolto ai loro due obiettivi: favorire il coinvolgimento di tutti i soggetti come pratica di democrazia e porre l’espressione della vocazione socio-economica dei territori come volano di sviluppo possibile.
Quella di Rita alla presidenza della Sicilia è stata quindi la scelta di una personalità sicuramente simbolica, ma anche profondamente calata nella realtà della propria terra nella quale per 14 anni ha saputo fare politica ed educazione alla politica, lotta per i diritti ed educazione alla cittadinanza, memoria e impegno; la scelta di una donna impastata con la propria Terra fecondata dal sangue del martirio e non perché il martirio, i tanti martiri che hanno insanguinato la storia della Sicilia, fossero l’unica via per il riscatto (anzi! tutto avrebbe potuto essere diverso per la Sicilia se solo lo avessero voluto le classi dirigenti locali e nazionali nei tanti crocevia della storia dal dopo Unità d’Italia, ai Fasci Siciliani, dalla lotta per la riforma agraria fino al dopo stragi del 1992), ma perché Rita ha saputo dare un senso a quelle morti, ha saputo far rinascere dalla morte la vita e per di più una vita liberata che si è fatta via per il riscatto di un popolo affinché quel popolo ritorni protagonista della propria Storia.
Nonostante tutto ciò, la corsa alla presidenza della Regione si è conclusa con una sconfitta. Eppure neanche adesso Rita pensa di mollare, ma continua a lavorare per dare dignità e voce a quella Sicilia sconfitta che lei ha incontrato tra le strade dei paesi contadini dell’interno dove i giovani non tornano più, tra le periferie degradate delle grandi città, tra i precari, tra i portuali della sua Kalsa a Palermo e nei sorrisi degli studenti del Rita Express che tornavano in Sicilia per votare e quindi per poter restare. Quando questa Sicilia avrà recuperato la forza di chiedere a gran voce i propri diritti, quando nessuno giocherà più con le bugie e i bisogni primari della gente allora forse verrà il tempo anche per Rita di rallentare la corsa.
Per ora non c’è tempo.Troppe cose da fare, troppo l’amore da dare a quella terra che lei descrive come un paradiso possibile tra il mare, la neve dell’Etna e la zagara in fiore.Terra nata per vivere di turismo grazie alla sua storia, alla sua bellezza alle sue ricchezze.
Due occhi azzurri. Dolci e magnetici. Che diventano il simbolo di un’altra Sicilia. Per questo vorrei chiamarla per una volta così: Rita di nome e Sicilia di cognome.

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