Sicurezza a rischio

Il problema di smantellare i rifiuti tossici deve fare i conti con un caos legislativo unico in Europa.
Giorgio Ferrari (Ex funzionario ENEA)

La chiusura del nucleare in Italia dopo il referendum del 1987 ha lasciato in eredità la questione dei rifiuti e dello smantellamento degli impianti nucleari, questione del resto mai affrontata organicamente anche prima del referendum. Apparentemente il referendum congelava la situazione di fatto allora esistente: l’ENEL – in quanto proprietaria degli impianti – aveva l’obbligo di mantenerli in sicurezza, l’ENEA – attraverso la divisione sicurezza e protezione (Disp) – aveva il compito di sorvegliare e approvare le procedure di sicurezza adottate dall’ENEL.

Privatizzazioni
Ma nel 1992 venne decisa un’ampia campagna di privatizzazioni delle società controllate dallo Stato che coinvolse in primo luogo l’ENEL e successivamente anche l’ENEA. Inizia così un periodo di disordine legislativo e normativo in materia di sicurezza e protezione nucleare, che permane tuttora e che non ha eguali nell’ambito dei Paesi aderenti all’Euratom. Nel 1994 viene istituita l’ANPA (Agenzia Nazionale Protezione Ambientale, dipendente dal ministero dell’Ambiente) a cui vengono trasferite le competenze e parte del personale della ENEA.
Nel 1995, a seguito del recepimento di numerose direttive dell’Euratom in materia di radiazioni ionizzanti, viene emanato un provvedimento organico di riordino della materia (D.lgs n. 230/1995) che all’art. 9 istituisce, nell’ambito dell’ANPA, una Commissione Tecnica per la sicurezza nucleare e la protezione sanitaria composta di 12 membri nominati da diversi ministeri. Nel 1999, in conseguenza della legge di modifica dell’ordinamento dello Stato e delle funzioni di governo (mini federalismo), l’ANPA viene trasformata in APAT (Agenzia Protezione Ambientale Territoriale). Nello stesso anno in ottemperanza del D.lgs 79/1999 (decreto Bersani) di riordino e privatizzazione del settore elettrico viene creata la SOGIN (cfr. box a p. 20), a cui nel 2001 vengono assegnati gli indirizzi operativi in materia nucleare.
Con l’avvento del governo Berlusconi e l’inasprirsi degli attentati terroristici a livello internazionale, la gestione della sicurezza nucleare perde ulteriormente di organicità e assume aspetti parossistici con l’accentramento delle decisioni nelle mani del presidente del Consiglio e del nuovo capo della SOGIN, non a caso scelto tra le fila dei militari: il generale Carlo Jean.
Nel 2002, con l’approvazione del Dpr n. 207, l’APAT assume l’attuale configurazione. L’APAT è sottoposta ai poteri di indirizzo e vigilanza del ministero dell’Ambiente e organizzata in Servizi e Dipartimenti: tra questi quello Nucleare, rischio tecnologico e industriale, al cui interno è costituito un Servizio di smaltimento nazionale. Parallelamente resta in funzione la Commissione tecnica per la sicurezza nucleare istituita nel 1995.
Nel 2003, con un provvedimento del presidente del Consiglio dei ministri, viene decretato lo stato di emergenza in relazione all’attività di smaltimento dei rifiuti radioattivi dislocati in cinque regioni (Lazio, Campania, Emilia Romagna, Basilicata e Piemonte), e successivamente il presidente della SOGIN (generale Jean) viene nominato commissario delegato per la messa in sicurezza dei materiali nucleari e dei rifiuti radioattivi. Nella stessa ordinanza viene stabilito: di costituire una Commissione tecnico-scientifica composta da sette membri, con compiti di valutazione e alta vigilanza inerenti agli obiettivi dell’ordinanza; di trasferire alla SOGIN tutte le licenze e le autorizzazioni intestate all’ENEAin materia nucleare; di porre alle dipendenze della SOGIN il personale dell’ENEA; di utilizzare la SOGIN come soggetto attuatore degli obiettivi dell’ordinanza; di autorizzare la deroga di 20 leggi e decreti e di due contratti collettivi di lavoro.
Appena insediato il generale Jean chiama come commissario vicario Paolo Togni, già vicepresidente in carica della SOGIN e capo di Gabinetto del ministro dell’Ambiente.

Decreto Scanzano
Il culmine di questa politica decisionista si raggiunge a novembre del 2003 con l’approvazione del famoso decreto Scanzano che, invece della struttura ingegneristica di superficie (fino ad allora ritenuta la soluzione più idonea), stabilisce che tutti i rifiuti e materiali nucleari esistenti in Italia vadano collocati in un deposito di profondità (geologico), individuato nel sito di Scanzano Jonico. Appena un mese dopo – costretto dalla mobilitazione delle popolazioni lucane – il governo fa una nuova legge e cancella la destinazione di Scanzano Jonico come sito nazionale, ma introduce il termine di un anno per l’individuazione di un nuovo sito e a tale scopo istituisce una nuova Commissione composta da 19 membri. Raramente presunzione, ignoranza e improvvisazione sono andate di pari passo come in questa circostanza, considerando che quello che altri Paesi non erano riusciti a compiere in decenni di studi, il governo italiano pretendeva di risolverlo nel termine di un anno, termine – manco a dirlo – abbondantemente scaduto. Inoltre, per tacitare le proteste che da Scanzano erano rimbalzate a Saluggia, Caorso ecc. (cioè in tutte le altre località interessate dal problema dei rifiuti), ecco che nella stessa legge il Governo stabiliva misure di compensazione economica per i comuni e le province che ospitano centrali nucleari e impianti del ciclo del combustibile nucleare per un ammontare calcolato moltiplicando il consumo totale di energia elettrica annuo per 0,015 centesimi di euro (ai consumi attuali si tratta di una cifra intorno ai 42 milioni di euro/anno, circa 83 miliardi delle vecchie lire). Quando entrerà in funzione il deposito nazionale, questo contributo verrà destinato per il 20% al comune interessato; 30% ai comuni confinanti; 25% alla provincia interessata; 25% alla regione.

SOGIN alle stelle
I successivi provvedimenti di legge in materia nucleare (fino all’ultimo del marzo 2006) invece di essere orientati a un approccio organico della questione sicurezza, accentuavano il ruolo di SOGIN assegnandogli l’esclusiva delle attività di trattamento e condizionamento di tutti i rifiuti nucleari solidi e liquidi e la prosecuzione delle attività di riprocessamento all’estero del combustibile nucleare irraggiato, compreso quello pertinente alla quota ex ENEL del reattore veloce di Creys-Malville (Superphoenix), con susseguente rientro in Italia dei rifiuti vetrificati e compattati da

La SOGIN
La Società Gestione Impianti Nucleari (SOGIN) è stata creata nel 1999 in ottemperanza al D.lgs 79/1999 di riordino e privatizzazione del settore elettrico. In un primo momento di proprietà ENEL, è stata ceduta nel 2000 al ministero del Tesoro con un fondo di dotazione iniziale di 1538 miliardi di lire destinato allo smantellamento delle centrali nucleari e al trattamento del combustibile irraggiato.
Oltre a questo fondo di dotazione, il finanziamento delle attività SOGIN proviene da una componente delle bollette elettriche sotto la voce “oneri nucleari”, attualmente pari a 0,06 cent di euro a Kwh consumato, che ai consumi correnti (circa 300 miliardi di Kwh/anno) fanno circa 180 milioni di euro/anno. Gli indirizzi operativi di SOGIN sono sintetizzati in due decreti del 2001 e del 2004, entrambi del ministero delle Attività produttive (ex Industria). Significativo è il cambio di indirizzo intervenuto tra i due decreti in particolare per quanto riguarda le attività relative allo stoccaggio dei rifiuti. Nel decreto del 2001 (art. 2) si specificava che la SOGIN doveva collaborare col ministero dell’Industria all’individuazione, caratterizzazione e predisposizione del deposito nazionale sia per lo smaltimento definitivo dei rifiuti condizionati di II categoria, che per lo stoccaggio temporaneo a medio termine, in una struttura ingegneristica, dei rifiuti di III categoria e del combustibile irraggiato non riprocessato.
Dal punto di vista operativo la SOGIN riassume in sé tutte le contraddizioni del quadro legislativo e normativo in materia di sicurezza nucleare: è proprietaria di tutti gli impianti nucleari dismessi, stabilisce le strategie di riprocessamento del combustibile e quelle del condizionamento e alloggiamento dei rifiuti, decide tempi e modalità della disattivazione degli impianti nucleari e del recupero ambientale dei siti, senza dover rispondere a una autorità competente e indipendente che non sia il suo stesso datore di lavoro. Infatti, con la nomina del generale Carlo Jean (ex consigliere militare del Quirinale all’epoca di Cossiga e tuttora presidente della Sogin) a commissario straordinario per l’emergenza dei rifiuti nucleari, vengono riassunte nella stessa persona – e nella stessa SOGIN – le funzioni di chi è chiamato a vigilare (e se del caso intervenire) sull’efficacia delle attività SOGIN, con quelle che lui stesso esercita come responsabile diretto di queste attività.
G.F.
destinare al deposito nazionale.
Questo modo di procedere ha poco a che vedere con la prassi e la normativa internazionale in materia di sicurezza e protezione nucleare e la vicenda Scanzano ha messo in luce che anche dal punto di vista dell’informazione e della trasparenza, i nostri governanti non ottemperano a quanto previsto dalla legislazione internazionale. In primo luogo, infatti, viene disatteso il principio n. 6 (Quadro di riferimento nazionale normativo e legislativo) dei Principi fondamentali del maneggiamento dei rifiuti radioattivi stabiliti dalla IAEA, senza il quale non vi è certezza del rispetto di tutti gli altri principi. Inoltre la UE nella proposta di direttiva 2003/0021 CNS (Indipendenza dell’autorità di sicurezza), stabilisce:
Gli Stati membri istituiscono un’autorità di sicurezza. A livello di organizzazione, struttura giuridica e decisioni, essa deve essere indipendente da qualsiasi altro organismo o organizzazione, pubblico o privato, incaricato della promozione o dell’uso dell’energia nucleare.
Al contrario, i provvedimenti legislativi adottati in Italia dal 1994 a oggi hanno causato:
- La scomparsa di una autorità di sicurezza indipendente: l’ENEA Disp è stata sciolta e le sue funzioni sono state inglobate nell’ANPA (poi APAT) che dipende dal ministero dell’Ambiente (organismo politico).
- La sovrapposizione di responsabilità e competenze tra diversi organismi politici: ministero dell’Ambiente; ministero dell’Industria; presidenza del Consiglio, al punto che esistono due diverse commissioni e un servizio con funzioni coincidenti: Commissione tecnica per la sicurezza nucleare e la protezione sanitaria composta da 12 membri (ex D.lgs 230/95); Commissione tecnico-scientifica (19 membri) con compiti di valutazione e di alta vigilanza per gli aspetti tecnico-scientifici inerenti agli obiettivi della legge n. 368/03; Servizio sito e deposito di smaltimento nazionale APAT.
- L’accentramento di molte funzioni tecniche, scientifiche e procedurali in una sola entità (il commissario straordinario) con potere di deroga rispetto al quadro normativo vigente e con capacità decisionale superiore agli altri organismi coinvolti nella materia.
- L’affidamento di compiti di attuazione, informazione e realizzazione del deposito nazionale a una società (SOGIN) intestataria di tutte le licenze e autorizzazioni connesse alla produzione e gestione dei rifiuti radioattivi in Italia.
- Il conflitto di attribuzioni tra SOGIN (dipendente dal ministero dell’Industria), commissario straordinario (dipendente dal Presidente del Consiglio) e il ministero dell’Ambiente, essendo il generale Jean presidente di SOGIN e commissario straordinario; ed essendo Paolo Togni consigliere di amministrazione di SOGIN, vicecommissario straordinario e capo di Gabinetto del ministro dell’Ambiente.
- L’attribuzione delle scelte definitive in materia di individuazione e validazione del sito a un organismo politico come il Consiglio dei ministri.

E la trasparenza?
In secondo luogo è ignorato il principio della trasparenza e della messa a disposizione del pubblico delle informazioni tecniche, scientifiche, dei criteri ingegneristici e di sicurezza adottati, nonché dei risultati delle indagini effettuate in relazione a tutta la materia della gestione dei rifiuti nucleari e del combustibile irraggiato. A tale principio è informata non solo la Convenzione IAEA del 1997 (sottoscritta dall’Italia nel 1998, ma ratificata solo nel 2005) ma anche le molteplici direttive e raccomandazioni della UE e della Convenzione di Aarhus del 1998 che in materia di decisioni ambientali e ricorso alla giustizia stabilisce tra l’altro:
- Nell’ambito della legislazione nazionale di ciascun Paese, devono essere emanati provvedimenti volti a rendere disponibili tutte le informazioni su richiesta del pubblico (singoli o associazioni) al massimo entro un mese dalla richiesta (Art. 4).
- Le autorità pubbliche di qualsiasi livello devono essere messe a conoscenza di tutte le informazioni disponibili in materia. Devono essere stabilite procedure obbligatorie per assicurare un adeguato flusso di informazioni verso le autorità pubbliche. Le informazioni devono essere disponibili in qualsiasi forma compresa quella elettronica (Art. 5).
- Devono essere previste e specificate le modalità di partecipazione del pubblico al processo decisionale in materia di legislazione ambientale (Art. 6) per tutti i progetti: stoccaggio definitivo del combustibile irraggiato e di rifiuti nucleari; immagazzinamento (per più di dieci anni) di combustibile irraggiato o rifiuti radioattivi in un sito differente da quello di produzione.
- La possibilità per le popolazioni direttamente coinvolte di fare ricorso agli organi di giustizia (Art. 9). Come si vede a livello internazionale non mancano espliciti e concreti provvedimenti normativi a cui fare riferimento per avviare a soluzione il problema dei rifiuti in Italia, perciò non resta che vigilare attentamente sui provvedimenti che il nuovo governo in carica non potrà esimersi dall’adottare.

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