Il silenzio della scienza

Di fronte all’inaudita gravità dell’inquinamento incombe lo spettro di un crimine contro l’umanità.
Angelo Baracca (Fisico, Università di Firenze)

Un primo aspetto drammatico della cortina fumogena con la quale è stato coperto il nucleare riguarda l’impatto sulla salute e l’ambiente, che va ben al di là dei pur fondamentali aspetti dell’affidabilità delle centrali nucleari (sui quali la popolazione viene rassicurata garantendo la sicurezza intrinseca delle nuove generazioni di reattori). La tecnologia nucleare, in tutte le sue forme, ha infatti provocato un inquinamento radioattivo dell’atmosfera terrestre di inaudita gravità, con pesanti conseguenze sulla salute e sull’ambiente. L’opinione pubblica è tenuta completamente all’oscuro, mentre l’intera comunità scientifica – che si proclama depositaria del sapere e dell’obiettività, sempre pronta a difendere la neutralità della scienza e qualunque innovazione (dall’uranio depleto agli O.G.M.) – si è resa complice di un vero crimine contro l’umanità. Ma scienziati non embedded (anzi emarginati e anche perseguitati dall’establishment) hanno documentato l’inaudita gravità dell’inquinamento radioattivo dell’atmosfera; perfino l’OMS parla di una “epidemia di cancro”. Questo inquinamento radioattivo è stato causato prima dai test nucleari nell’atmosfera e sotterranei (iodio radioattivo, a breve vita nella tiroide; stronzio-90 nelle ossa ecc.) e dall’uranio (quello contenuto nelle bombe che, a temperature di milioni di gradi, rilascia nanoparticelle ancora più persistenti e mobili in tutta l’atmosfera, e inalabili o ingeribili: nelle testate più perfezionate la percentuale di uranio a fissione non arriva al 40%), poi dai rilasci delle centrali nucleari. Anche i disastri nucleari sono stati accuratamente celati, in Occidente come in Urss. Il ventennale dello spaventoso incidente di Chernobyl, avvenuto nel 1986, ha visto ancora il

Residui radioattivi del ciclo nucleare
Il ciclo nucleare lascia dei “residui” radioattivi, dei quali non è possibile il riuso (spesso chiamati “scorie”), e il combustibile irraggiato, che ha un valore (soprattutto militare) contenendo plutonio, ma costituisce il residuo più pericoloso. I criteri di classificazione, normativi e di gestione dei rifiuti radioattivi variano da Paese a Paese. Alcuni parametri per classificarli sono: la radiotossicità dei radionuclidi presenti, la radioattività e il tipo di radiazione emessa (α, β, γ neutroni), lo stato fisico (solido, liquido, gassoso), la destinazione finale (tipo di smaltimento definitivo). I rifiuti liquidi per essere immagazzinati devono assumere consistenza solida, amalgamandoli con calcestruzzo o vetro.
Il parametro più importante nella classificazione dei rifiuti è quello relativo all’attività radiologica, spesso abbinata alla emissione di calore che essa genera (importante nella progettazione dei depositi, di superficie o geologici). Così si distinguono rifiuti ad alta, media e bassa attività; e a vita breve (dimezzamento dell’ordine di anni), media o lunga (la cui radioattività decade a valori compatibili con il fondo naturale entro migliaia di anni e oltre). Lo smantellamento delle centrali dismesse (decommissioning) è un problema complesso e costoso, che produce altri rifiuti radioattivi: in Italia non è mai cominciato.
tentativo di autorevoli istituzioni di sdrammatizzarne completamente la portata e le conseguenze (come era stato fatto per l’incidente di Harrisburgh, 1979).

Al servizio del nucleare militare
Come si spiega questa drammatica, quanto sottovalutata, situazione se il programma di sviluppo del nucleare “civile” è sostanzialmente fallito? In questi 60 anni sono infatti stati realizzati nel mondo circa 500 reattori, a fronte di 130.000 bombe! Ma il costo dei programmi militari è in realtà maggiore, poiché richiedono un sistema integrato di enorme complessità e altissima tecnologia: lanciatori, sommergibili nucleari, sistemi satellitari di allarme, di allerta e di controllo e comando, addestramento del personale, manutenzione e verifica delle testate ecc. Dietro i progetti e le spinte per il rilancio del nucleare “civile” vi sono evidentemente enormi interessi: ma i puri conti economici non tornano. La risposta di fondo è che i programmi nucleari civili crescono all’ombra di programmi militari, i quali ne costituiscono il supporto e la motivazione reali. Questa rivista ha documentato e denunciato più volte la corsa alla proliferazione nucleare in atto, il perfezionamento delle armi nucleari e l’intenzione dei militari a usarle effettivamente, anche a scopo preventivo (l’Iran potrebbe essere il primo obiettivo). Tutti i calcoli economici che vengono presentati sul costo del programmi nucleari “civili” non hanno molto senso, o sono al più validi per le situazioni specifiche a cui si riferiscono, ma non direttamente trasferibili ad altre (eppure testimoniano sempre di un costo complessivo dei reattori nucleari superiore a quello di centrali elettriche convenzionali). Ad esempio, i filo-nucleari si riferiscono spesso al basso costo dell’energia elettrica che la Francia produce per via nucleare, ma lo Stato francese gestisce, oltre al sistema energetico, uno degli arsenali militari più moderni del mondo: sfiderei chiunque a suddividere i costi, dello Stato, tra civile e militare; questa politica ha inoltre portato a una super-produzione di energia elettrica, che viene venduta a basso costo. La situazione negli USA è opposta: il programma militare è governativo, mentre l’energia elettrica è prodotta da imprese private, le quali sanno bene che il nucleare non è conveniente, tant’è

Arsenali nucleari
Nel 2004 il numero di testate nucleari esistenti a livello mondiale era valutato in quasi 13.500 testate operative (tra le quali si valutavano all’incirca 4.000 testate tattiche), su un totale di 27.600 intatte. Alle quali erano però da aggiungere altre migliaia di nuclei (pits) di plutonio immagazzinati come riserva strategica. Quando le ulteriori riduzioni degli USA e della Russia saranno completate, nel 2012, si prevede che rimarranno ancora 14.000 testate intatte degli 8 Stati nucleari attuali. (SIPRI, Istituto Internazionale di Stoccolma di ricerca per la Pace, Annuario 2005).
vero che da un quarto di secolo non ordinano nuove centrali. In Italia il problema sarebbe ancora diverso, poiché dopo il referendum del 1987 sono state smantellate gran parte delle strutture e delle competenze, e sfiderei chiunque a calcolare il costo per ricostituirle, al di là del costo specifico delle centrali nucleari.

Gli inganni del nucleare “civile”
Ma la principale critica alle proposte di rilancio del nucleare consiste, a mio avviso, nell’alimentare l’illusione che, in vista della fine dell’era del petrolio, questa tecnologia consentirà di continuare a produrre e consumare energia senza limiti; del resto, vi sono profondi legami tra gli interessi e i programmi nucleari e petroliferi. Con il nucleare si produce solo energia elettrica, che costituisce una frazione (meno del 20% in Italia, meno del 17% nel mondo) dei consumi energetici: ma è anche quella che si presta ai maggiori sprechi, la cui eliminazione, con il risparmio, costituirebbe la risorsa energetica più importante, insieme alle fonti rinnovabili.
In Italia la capacità di generazione elettrica eccede il consumo, eppure si costruiscono nuove centrali! La riduzione delle emissioni di CO2 è ampiamente discutibile (varie fasi del ciclo di estrazione, costruzione, smantellamento producono CO2): anche “un obiettivo modesto – evitare con il nucleare un piccolo aumento del riscaldamento globale per la fine del secolo – richiederebbe di elevare il numero di reattori nel mondo dagli attuali 441 ad almeno 700 per la metà del secolo, e mantenerne stabile il numero per 50 anni. Per coprire la chiusura degli impianti obsoleti, questo richiederebbe la costruzione di 1.200 nuove centrali, a un ritmo di 17 all’anno.
Le necessità di supporto sarebbero impressionanti. Gli USA hanno accantonato il riprocessamento del combustibile a favore del “monoutilizzo”: d’altra parte nessun altro Paese ha ancora fatto la scelta, e tanto meno avviato la realizzazione, di un deposito per le scorie. L’energia elettronucleare arriverebbe comunque troppo tardi per tamponare la crisi del petrolio. I reattori di nuova generazione, a sicurezza intrinseca, non saranno utilizzabili prima di 20-30 anni! Si noti poi la contraddizione tra la strumentalizzazione del pericolo di attentati terroristici e la progettata proliferazione di centrali nucleari: sembra evidente la perfetta sintonia con il processo di militarizzazione della società civile e di svuotamento dei principi democratici.

Privatizzazioni e lauti affari
Non si pensi però che l’industria non si stia organizzando per cogliere l’occasione di lauti affari: per quanto i programmi nucleari siano irrazionali e antieconomici, la privatizzazione del mercato dell’energia attuata in tutto il mondo rende molto probabile la ripresa dei programmi nucleari, sotto la spinta di politiche di incentivi statali, che scaricheranno sulla collettività i costi a lungo termine. Le industrie si stanno attrezzando per commercializzare i reattori avanzati di terza generazione, derivati dalle precedenti filiere o più o meno innovativi.
Anche l’industria russa si sta attivamente preparando. E la nostra Ansaldo ha ricostituito il settore nucleare. Questa accumulazione di interessi e la preparazione di questa offensiva induce a pensare che il rilancio dell’energia nucleare avverrà comunque, dietro i pretesti del buco energetico e dell’accumulo della CO2, sui quali verrà sollevato un polverone che sarà difficile diradare.

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