PAROLA A RISCHIO

Tra rivoluzione e rivelazione

La sfida delle religioni di fronte alle inquietudini di oggi.
Un invito a restare in ascolto per riscoprire parole vere e silenzi, domande e risposte, presente e presenze.
Antonietta Potente

Quando nel 1990 Octavio Paz, scrittore e poeta messicano, ricevette il Premio Nobel per la Letteratura, pronunciò un discorso sulla posmodernità: un gioco tra i tenui colori della realtà storica, tra rivoluzione e rivelazione, tra presente e presenza. A differenza delle altre rivoluzioni del XX secolo, la rivoluzione messicana non fu tanto espressione di una ideologia più o meno utopica come esplosione di una realtà storica oppressa... ma piuttosto un vero scossone che mise in luce ciò che restava nascosto. Per questo non fu una rivoluzione, ma una rivelazione...
Rivelazione, un termine molto caro nell’universo simbolico delle religioni. Una parola che ispira un atteggiamento, una ricerca, un modo di stare e di essere vigilanti, nella realtà, nella storia e in mezzo ai suoi più sottili movimenti. Ma anche una parola che ci potrebbe rimpicciolire gli orizzonti, distrarre gli sguardi e rendere silenziosa la realtà e la storia, soprattutto quando essa è soggetto di un parto difficile, scena di intensi chiaroscuri: poche risposte, poche certezze, molte domande che ci vengono dalla vita e dai suoi aneliti etici più profondi.

Il presente, la presenza
Terminando il suo discorso, Octavio Paz aggiunse: quindi le porte della percezione si schiudono e appare un altro tempo, quello vero, quello che cercavamo senza saperlo: il presente, la presenza... Ancora una volta parole molto care al mondo religioso: presente... presenza... Termini misticopolitici della vita. Ma invece, proprio le religioni, in questo momento storico, sembrano sentirsi scomode nel mezzo di questo terreno insicuro della realtà. Forse dobbiamo ancora tradurre, come se le nostre ermeneutiche, facessero di queste parole, parole veramente a rischio. Religione: sistematizzazione della religiosità che soggiace nella stessa vita; mescolanza di sensibilità individuale e avvenimenti storici e collettivi; qualcosa di anarchico, confuso, ma vivo, presente, sincretista... al quale le religioni cercano di dare un nome e un codice, ordinando e sistematizzando tutto. In alcuni contesti, religioni più o meno assunte o accettate, ritradotte, interpretate, quasi all’insaputa di tutti, hanno continuato a tessere con i loro propri ritmi, la religiosità della vita e suoi rispettivi sogni. Così che oggi, tra rivoluzioni e rivelazioni, tra presente e presenza... la realtà non è semplicemente terra che contiene “Il seme del Verbo”, ma piuttosto i “frutti”, tra rivoluzioni e rivelazioni. Ma dobbiamo anche dire che, come lo stesso termine indica, ogni rivelazione non è così chiara e non dà nessuna certezza, ma è solamente l’assaggio di una visione che resta sempre insufficiente e per questo bisogna continuare a cercare, soprattutto ciò di cui bisogna prendersi cura.

Complici
Questo prenderci cura ha un nome, si chiama giustizia, complicità con la storia di altri, creatività perché la storia cambi, giorno dopo giorno, con fedeltà. Ma questi gesti, questo prendersi cura, non è proprietà delle religioni, perché è propria della vita, tutte le volte che la riscopriamo, recuperandola dal di dentro, uscendo dalle nostre egocentriche mentalità e affettività, oltre che dalle politiche ed economie. Dovremmo aiutarci di più, e le religioni ne avrebbero tutte le premesse, per riconoscere la vita e la diversità: compiacenza, direbbe il Vangelo, per i gesti di altri che scacciano i demoni pur non essendo dei nostri, come racconta Marco. Ancora una volta la Parola ci chiede di avvicinarci e riconoscere il presente. Cercare con altri e altre, ricreare delle nuove relazioni, con la vita, con le cose, con la biodiversità del mondo. Certamente più simile a una rivoluzione che a un semplice mantenere le cose come stanno: saggio etico, nuove scelte, nuovo modo di stare nella storia, nuove strutture, nuovi gesti, anche se la novità, accompagnata dalla sapienza, si muove tra ciò che è ancestrale, inteso come fedeltà a ogni atto creativo, e la novità: il presente... la presenza.
Per le religioni, dunque, non è più sufficiente quella rivelazione degli antichi dei con miti creazionisti ed escatologici. Ciò che oggi aiuta le religioni è il riconoscimento del presente con i suoi soggetti più reali, nella quotidianità della vita. Il presente, la presenza irrompono come un imperativo etico. Nessuna religione vivrà solo conservando, se non si prenderà cura della vita nella sua più essenziale ed esistenziale verità: gesti e simboli quotidiani. La rivelazione quindi, torna ad essere una compagna di viaggio nel cammino profondo di donne e uomini contemporanei, non come “deposito” custodito, ma come un progressivo parto storico. Storia che si sta facendo, storia che si sta ricreando tra infiniti tentativi che dovremmo ascoltare, riconoscere e aiutare, come se – proprio perché siamo credenti – fossimo delle nuove levatrici di Egitto (Es 1; 2).

Obbedire alla vita
Forse è questo che costa di più alle religioni: accettare che i soggetti storici contemporanei, prendano delle nuove iniziative per ricreare la vita,

Buon Anno!
È l’augurio sincero che rivolgo alla Chiesa e ai cristiani, perché il Concilio, che pur viene talora ricordato, entri sempre più nello spirito e nella pastorale ecclesiale, realizzando concretamente le due “rivoluzioni copernicane”, cioè di una Chiesa che non voglia dominare ma si senta davvero al servizio dell’umanità come annunciatrice e testimone di amore, a tutti i livelli, e che, nel suo interno, non faccia sentire i laici come semplici beneficiari dell’attività gerarchica, ma confermi la gerarchia nel suo compito di servizio (ministero) del popolo di Dio, chiamato ad essere – per Cristo e con Cristo profeta, sacerdote e pastore – annunciatore dell’amore, testimone di vita santificata, portatore di solidarietà e di pace. Al mondo rivolgo l’augurio che un’ONU sempre più democratica, non condizionata dagli interessi dei pochi “grandi”, possa realizzarsi sempre più come luogo di incontri e di accordi tra i popoli, per un cammino di pace nonviolento ed efficace soprattutto per le popolazioni più povere e più oppresse.
+ Luigi Bettazzi
vescovo e Presidente emerito
la politica, l’economia. Una vera ispirazione; delle vere nascite... come direbbe Pablo Neruda. Oggi ciò che muove la storia non sono semplici ideologie, né utopie storiche o religiose, ma piuttosto la vita... Ritornare a obbedire alla vita, ma la vita è esigente, la vita geme e soffre. Sintonizzati con essa e con i suoi tentativi, anche quando non sono così limpidi come vorremmo, perché sono pur sempre aneliti di vita, necessari per trovare equilibri differenti e nuovi spazi. In questo senso, le società non vivono una crisi religiosa, ma piuttosto le religioni sono in crisi di fronte a una esistenza religiosa che non trova spazio dentro i parametri ufficiali delle religioni. Queste ultime sono diventate troppo strette, soprattutto quando non lasciano spazio a domande semplici ma esistenziali che potremmo ritradurre con: dignità, vestito, casa, lavoro, terra, acqua, parola e scrittura, idee... Le religioni e le loro teologie appaiono troppo piccole per gli aneliti umani contemporanei, visto che oltretutto ci entrano anche quelli del cosmo.
Son troppo stretti i loro contenuti dottrinali, ragione pura o pura ragione, proposte etiche taccagne, proposte politiche ancora ambigue e traumatizzate dagli antichi fantasmi della storia e della eterna lotta tra Stato e religione: rivoluzione francese, rivoluzione industriale. Quasi degli incubi nei sogni notturni delle nostre religioni: sta- to laico, comunismo, rivoluzione cubana, come se la storia conoscesse solo un unico movimento di eterno ritorno, mentre la creatività della vita, con audacia, si ricrea costantemente perché ciò che vuole assicurarsi è la dignità di vivere e vivere per sempre.
Oggi quindi la sfida alle religioni non è più quella dottrinale della Verità (l’Ortodossia) ma quella esistenziale e mistica della ricerca di ciò che di Dio non sappiamo ancora, perché purtroppo non conosciamo ancora la vita nei suoi più profondi movimenti, i suoi parti e le sue possibilità. Ciò non significa abbandonare ciò che già sappiamo, ma piuttosto cercare ancora, aggiungere colori, simboli, criteri ermeneutici, lineamenti... ricordarci che in ogni rivoluzione esiste una rivelazione, non un nuovo dato per restare sicuri, quanto piuttosto una nuova impronta per continuare il cammino e accompagnarci nei nostri parti storici più quotidiani, esistenziali e politici.

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