Il femminile nella vita religiosa
È tipico della donna saper vivere il frammento per quello che è, traendo dal quotidiano quelle risorse che segnano la strada dell’esistenza. Questa capacità, nel tempo accelerato dell’attualità, è una dote necessaria anche per le religiose, che riscoprono le loro radici nel carisma, nei nuovi ministeri, nella contemplazione e sono consapevoli che, vivendo bene il qui e l’adesso, costruiscono futuro nel presente. Ci sono modi diversi per vivere il quotidiano. C’è chi lo sopporta come un destino a cui non si può sfuggire. C’è chi lo teme come un tempo in cui ci si deve immergere in problemi, scelte, difficoltà. C’è chi lo prepara e lo costruisce preventivamente con discernimento, ascolto, preghiera, attenzione.
Il nostro tempo appunto esige preparazione e gesti quotidiani perché la presenza diventi significativa. Esige che lo si viva nello spessore del suo presente, senza troppe fughe nel futuro o ricorrenti nostalgie del passato. È un periodo di transizione, di cambio, che ci induce a un’attesa vigilante e attiva. La quotidianità è un testo da leggere. È affidato al faticoso lavoro di lettura di ogni comunità chiamata a trovarvi lo spazio della propria testimonianza. Una testimonianza soprattutto di qualità evangelica delle relazioni. Una comunione che si realizza nei fatti. Un insieme dove la persona è rispettata per quello che è, al di là dei ruoli che può ricoprire. Un’autorità dal volto evangelico, responsabile verso l’antico e verso il nuovo del carisma.
Qui e adesso
“Alcune mie sorelle mi dicono che metto a rischio la vita continuando a fare quello che sto facendo con le prostitute nigeriane. Io rispondo che, se qualcuno mi uccidesse, loro dovrebbero essere contente, perché tornerei a Dio nell’atto di attuare il nostro carisma, oggi”. Chi parla è una Missionaria della Consolata che, dopo 24 anni di
Africa, tornata in Italia, si occupa delle giovani straniere sfruttate, le va a trovare di notte sulla strada, offre loro delle proposte alternative allo sfruttamento e crea, giorno dopo giorno, una rete di persone e di istituzioni che possono dare aiuto per la loro reintegrazione.
A questo stesso senso di cose ci riconduce pure la testimonianza della religiosa statunitense Joan Chittister quando scrive: “L’unica questione adesso è: cosa vogliamo essere colti a fare quando moriremo… Non è più un problema di immaginazione, che è necessaria, a ridefinire il ruolo dei religiosi in un nuovo tipo di società. No, i bisogni sono fin troppo chiari: senzatetto, sperimentazione ecologica, fame, pace, AIDS, globalismo, nuovo ordine mondiale, etica, stile di vita, programmi educativi alternativi, accoglienza, femminismo e bisogno di programmi spirituali per trattare la scarsità di spirito”. E ciò deve essere chiaro anche nella formazione delle nuove generazioni di religiose. Sempre la stessa autrice insiste: “Il programma di formazione che non richiede assistenza gratuita per i poveri, presenza nelle questioni del tempo, ecumenismo e femminismo, non forma per la vitalità”.
La questione dell’attualizzazione del carisma e dei nuovi ministeri è al centro della vita religiosa, che vuole essere testimone del Vangelo nel terzo millennio. Per questo, alcune congregazioni insistono su un cammino di cittadinanza evangelica, che trova la sua configurazione nel messaggio delle Beatitudini. Ecco il riferimento alla fantasia della carità ricordata spesso da Giovanni Paolo II.
Il tentare, senza scoraggiarsi, di coniugare oggi il discorso della montagna: scoprire i nuovi poveri nel tempo delle multinazionali che rendono sempre più grande il divario tra gli Epuloni e i Lazzari del mondo; individuare gli afflitti da consolare nel quadro del terrorismo, delle guerre dimenticate, delle malattie epidemiche; vedere la pace e la giustizia da perseguire nella tratta delle donne e dei bambini, nel mercato degli organi; custodire la vita nel caos delle biotecnologie; accogliere con misericordia l’emigrato senza casa e senza lavoro, il portatore di handicap. E tutto questo si può rendere visibile attraverso gesti chiari, senza pieghe.
Le donne, è risaputo, sanno inventare gesti. “Quindi per noi è prezioso, in questo momento storico – raccomanda Antonietta Potente, teologa domenicana che vive in Bolivia – inventare dei gesti: con le poche cose che abbiamo… Nello stesso tempo è prezioso far rivivere dei gesti, i gesti che fanno parte della nostra tradizione. Penso alla ricchezza che ciascuna di noi ha come tradizione, perché ha una cultura, perché viene da un contesto, perché ha una storia, perché appartiene a un carisma. Ci sono grandi tradizioni nella nostra vita, e dovremmo vedere quali sono quelle che fanno vivere e che noi dobbiamo far vivere in questo momento”.
Il mandorlo fiorito
In questo cammino verso la concretezza e la scoperta dei nuovi ministeri ci sostiene il dimorare nella Parola, il chiedere allo Spirito di formarci un cuore biblico, come quello di Maria, per guardare e agire nella storia con gli stessi occhi e mani di Dio.
Sbagliamo quando pensiamo che la persona interiore sia persa nel suo mondo e tenga a distanza la realtà, sia indifferente agli eventi. Al contrario, chi dimora veramente nel Signore produce frutti di attenzione agli altri, lavora con efficacia, crea con facilità, si stanca di meno nell’azione di ogni giorno. Infatti, tutta l’attività di un cristiano, avverte il cardinale Martini, “nasce da un mistero contemplativo. In quanto siamo amati da Dio, diveniamo capaci di metterci verso gli altri in atteggiamento ilare, semplice e disponibile al servizio”. La cittadinanza evangelica trova le sue radici nella fedeltà all’Alleanza. Nella sintesi tra essere e agire.
La contemporaneità e quasi identità fra contemplazione e azione ci viene confermata da Madeleine Delbrêl, che scrive: “Poiché troviamo nell’amore un’occupazione sufficiente, non abbiamo cercato il tempo per classificare gli atti in preghiere e azioni. Troviamo che la preghiera sia un’azione e l’azione una preghiera; ci sembra che l’azione veramente amorosa sia tutta piena di luce”.
E Martin Buber, già molto anziano diceva: “Va bene digiunare, ma mangiare con un’attenzione liberatrice può essere la santità stessa. Il giusto prega non solo con un passaggio della Scrittura, ma con il legno del pavimento”. C’è dunque la possibilità di un dimorare molto creativo e producente, che può sposarsi con l’attività più intensa. Per chi è innamorato non esistono distrazioni dall’oggetto amato. La connessione non viene interrotta da guasti tecnici, come può capitare per il telefono, la posta elettronica e altre forme di contatto. Qui si tratta di una comunione reciproca, che va, tuttavia, continuamente alimentata.
Accostarci alla Parola, vivere nel profondo ci rende capaci di agire evangelicamente, di essere presenti al nostro tempo, di capire il linguaggio delle nuove generazioni senza banalizzarlo. L’assiduo ascolto della Scrittura ci rende capaci di attualizzare i consigli evangelici e di cogliere il senso della domanda di vita che ci arriva, in forme diverse, da ogni parte. La nostra risposta potrà concretizzarsi come è detto in una bellissima immagine giapponese: “Fratello mandorlo, parlami di Dio! E il mandorlo si è coperto di fiori.”
Quale ritmo?
Spesso, nel ritmo accelerato della vita contemporanea, si sente l’esigenza di un ritorno a casa, di ritrovarsi con se stessi,
Una realtà in cui consistere ci rende più calmi, riposati, sereni. Thomas Merton scriveva: “Il nostro Eden è il cuore di Cristo”. Ed è proprio Gesù che determina il ritmo, la nostra dimora con Lui ci rivela lo stile di vita che a lui piace. Uno stile che si incultura in ogni tempo e ci fa vivere da contemporanee della nostra storia.
Le note principali del ritmo adatto per l’oggi sono la semplicità, che è pure essenzialità; il silenzio, che ci fa attenti alle domande; la passione del dialogo nella comunione.
Nel cuore del ritmo sta la passione, quell’anima di fuoco che trasforma la cenere grigia dei nostri giorni, che fa sintesi dei nostri tentativi e li trasfigura.