Profetesse di pace
Da vivere insieme.
Dal racconto del mattino della risurrezione emerge un incontro molto emblematico che contiene un messaggio circa la missione di vita e di pace delle donne. È una conversazione che inizia con una domanda di Gesù: “Donna, perché piangi?”. La donna risponde, però non direttamente alla domanda, bensì facendo un appello: “Se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai messo e io lo prenderò!”. Maria vuole “prendersi cura” del corpo di Gesù: un gesto tipicamente femminile. Segue
poi un’interazione feconda. Gesù eleva l’interlocutrice dallo stato di afflizione e di perdita a uno stato di dignità, chiamandola per nome, e Maria scopre Gesù, scopre se stessa e riceve la missione di annunciare il trionfo della Vita.
Cosa rispondere oggi alla domanda “Donna, perché piangi?”. Siamo consapevoli che le ragioni sono molteplici: figli uccisi e perduti, dignità calpestata, diritti negati, discriminazione in famiglia, a scuola, nei posti del lavoro, violenza in casa, durante il tempo di guerra. Ciò nonostante, oggi più che mai numerose donne hanno cessato di essere vittime, sono coscienti della propria dignità e scoprono la loro missione specifica di far trionfare la vita sulla cultura della morte. Mi vengono in mente innumerevoli gruppi di donne, a livello locale, nazionale, regionale e internazionale che si schierano a favore della pace, della giustizia e della vita. L’attività di tanti gruppi di donne, infatti, è il motore che ha generato la Risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza nel 2000 “Donne e pace e sicurezza” che riconosce il ruolo e la partecipazione attiva dei gruppi femminili nei processi di pace.
La crisi mondiale che si è scatenata dopo l’11 settembre ha visto le donne pronunciarsi come singole, come gruppi, associazioni e organizzazioni contro la guerra . Pace e non vendetta è stato il motto ripetuto per frenare l’attacco all’Afghanistan. Uno degli slogan che dominava durante la campagna contro la guerra in Iraq era “Le donne dicono ‘NO’ alla guerra”. È in questo contesto generale del movimento femminile per la pace che si innesca il cammino delle religiose. Le donne consacrate si collocano dentro questo fermento globale e offrono un apporto al cammino d’insieme tessendo le reti di collaborazione con altri gruppi e unendo gli sforzi a livello intercongregazionale. La modalità di impegno delle religiose ha varcato le mura del convento. Le loro attività vanno dallo sforzo per il cambiamento strutturale presso le istituzioni internazionali alle proteste contro la militarizzazione, al lavoro educativo, alle attività sociali di promozione, all’assistenza umanitaria e spirituale nelle zone in conflitto.
Lavoro in rete
Le scelte particolari delle singole congregazioni si diversificano perché riflettono i singoli carismi in relazione all’impegno per la costruzione della pace. Esiste però un comune punto di partenza derivante da una convinzione: “La pace è un dono di
Dio affidato all’umanità”. Quindi la preghiera diventa un aspetto costitutivo all’impegno per la pace. Il campo di azione per la costruzione della pace vede le religiose sempre più attivamente coinvolte per i cambiamenti strutturali e sistemici anche a livello internazionale.
Questo è reso visibile soprattutto attraverso la presenza e le attività di coscientizzazione, campagna e pressione negli incontri sponsorizzati dall’ONU sui temi dei diritti umani, dello sviluppo sostenibile, della lotta contro la povertà, le malattie e le disuguaglianza tra uomo e donna con l’attenzione specialmente per i più poveri, le minoranze etniche, gli emarginati, i rifugiati ecc.. Sono già numerose le congregazioni femminili che hanno lo statuto consultivo presso la Commissione EconomicoSociale dell’ONU e cercano di dialogare e incidere sulle decisioni che riguardano la vita dei popoli e delle nazioni in modo sistematico e organizzato.
Nella mia partecipazione ai vari incontri sulla donna come Beijing +5 svoltasi a New York 2000, le Sessioni della Commissione sullo Status della Donna (CSW), 2001 e 2003, sempre a New York, mi sono ritrovata con un gran numero di religiose di varie congregazioni presenti con lo scopo di incidere sulle decisioni che avrebbero potuto dare un apporto all’avanzamento della dignità delle donne a livello mondiale. È da evidenziare che in questi spazi, le religiose si mettono in rete con altri gruppi femminili che hanno gli stessi interessi e la comune visione di vita per farsi sentire da coloro che detengono i poteri decisionali.
Un altro spazio che vede l’attiva partecipazione delle religiose è quello creato dalla società civile ossia i Forum Sociali. All’ultimo di questi, svoltosi a Porto Alegre dal 23 al 28 del gennaio scorso, hanno partecipato 6000 religiosi/e in maggioranza donne. Questo indica una scelta contro la globalizzazione economica e uno schierarsi con coloro che lottano con la convinzione che “un altro mondo è possibile” e che la globalizzazione deve avere un volto umano in pieno rispetto dei diritti di ogni persona.
No agli armamenti
Una delle attività profetiche e che sconvolge ogni schema mentale sulla considerazione delle religiose è la protesta a favore del disarmo. Nell’ottobre dell’anno scorso, Vidimus Dominum ha riportato la notizia che riguarda tre suore domenicane negli Stati Uniti, che sono state arrestate durante una manifestazione contro le installazioni missilistiche di Colorado Springs. In un comunicato, hanno sottolineato che le ricerche militari spaziali del governo degli Stati Uniti “portano allo spreco di miliardi di dollari, risorse umane e materiali, causando la distruzione dell’ambiente e l’inquinamento dello spazio”. Lo slogan della loro protesta era “Solo Dio è padrone dello spazio” .
Ancora negli Stati Uniti, nel mese di gennaio, otto suore sono state condannate al carcere per le manifestazioni antimilitaristiche organizzate da School of the Americas Watch (SOA Watch) a Fort Benning in Georgia. Da anni, nel mese di novembre, si realizza questa protesta davanti ai cancelli del centro militare responsabile dell’addestramento dei vertici militari latinoamericani responsabili di torture e violazioni dei diritti umani. Il coraggio di denuncia e addirittura la cosciente trasgressione delle leggi imposte dai poteri politici ed economici che investono sulla violenza e sulla morte diventa un gesto profetico che non ha paura delle conseguenze da pagare.
L’opzione di lavorare a favore della pace, la giustizia e l’integrità del creato appare scelta prioritaria degli organismi regionali e internazionali delle religiose. Rilevante il lavoro dell’Unione Internazionale Superiore Generali (UISG): nell’assemblea generale tenutasi a Roma nel mese di maggio 2001, c’è stata un’esplicita dichiarazione che esprime l’impegno di circa 800 Superiore Generali, che rappresentano un milione di membri di congregazioni cattoliche di tutto il mondo.
La parte del documento riguardante la costruzione della pace proclama: “Quali donne, impegnate a tutelare i diritti umani, dichiariamo ancora una volta la nostra solidarietà con i Paesi più poveri e riaffermiamo il nostro impegno di lavorare per la cancellazione del Debito Internazionale. Quali donne che si oppongono ai continui conflitti, violenze e guerre, esprimiamo il nostro impegno a promuovere una cultura di pace e ci appelliamo inoltre ai responsabili dei governi e
Una delle più grandi risorse che, da qualche anno, i capitoli generali hanno creato all’interno delle singole congregazioni sono le commissioni di giustizia, pace e integrità del creato.
Questi organismi hanno lo specifico compito di:
1. Riflettere e fare analisi critica sulla situazione mondiale ed ecclesiale circa questa realtà sociale globalizzata, spesso ingiusta e oppressiva nei confronti dei poveri
2. Riflettere alla luce dei propri carismi quale contributo sia possibile portare per collaborare alla creazione di una società meno violenta e più giusta
3. Dare informazione e fare proposte ai consigli generali e provinciali
4. Dare informazione e fare formazione all’interno della congregazione sui temi della giustizia, della pace,delle diversità, della nonviolenza
5. Lavorare in rete con le commissioni di giustizia e pace delle conferenze dei religiosi maschili e femminili
6. Lavorare in rete con le commissioni di giustizia e pace ecclesiali e con le commissioni dei diritti umani della società civile e degli organismi che fanno analisi e pressione sociale.
Quali donne dedite alla preservazione della nostra Madre Terra, ci adopreremo, quando e dove sarà possibile, per cambiare il comportamento distruttivo che causa il riscaldamento globale e il cambiamento del clima e minaccia ogni forma di vita sul nostro pianeta”. L’anno seguente c’è stata un’altra assemblea a Nairobi dal titolo “Donne Discepole, insieme per creare una cultura di pace”. È interessante citare la parte conclusiva della dichiarazione finale dove si legge: “Il sogno di una donna sola può rimanere un’utopia; il sogno di molte donne insieme diventa profezia; il sogno condiviso nelle e tra le Costellazioni diventa realtà” . Il lavoro in rete quindi è auspicato come una strategia che trasforma le parole in fatti.
Oltre le parole
Da donne e da religiose, non si può pensare di lavorare per la pace senza prestare attenzione alle grandi situazioni di sfruttamento delle donne. Nella convinzione di tale correlazione, nello stesso documento sopra citato emerge l’opzione preferenziale in termini di determinazione di lavorare insieme in solidarietà nelle comunità religiose e nei Paesi in cui operano per denunciare a ogni livello, l’abuso sessuale e lo sfruttamento di donne e di bambini.
A dare seguito a tale proposito il Gruppo di Lavoro della GPIC sul Traffico delle Donne e dei Bambini di tredici Congregazioni femminili, insieme a due Congregazioni maschili, ha pubblicato un dossier intitolato “Traffico delle donne e dei bambini. Un dossier di informazione e suggerimento per i laboratori sul tema”. Tale materiale è realizzato soprattutto per le congregazioni religiose con la finalità di suscitare maggiore coscienza su un fenomeno di sfruttamento che mercifica da 700 mila a 2 milioni di donne e bambine/i ogni anno.
L’apporto di numerose religiose alla costruzione della pace, comunque, è scritto più nei cuori delle persone che sulle carte. Non si può esprimere esaurientemente una scelta consapevole e pericolosa di rimanere con la popolazione e di essere presenza che infonde coraggio e conforto nei giorni di incubo creato dai bombardamenti. Hanno fatto tale scelta tante religiose in Iraq durante l’attacco degli Stati Uniti e Gran Bretagna. Non si hanno parole sufficientemente espressive per dire il coraggio di intraprendere il viaggio dalla Giordania all’Iraq, una nazione che era sotto la pioggia delle bombe, per essere tenerezza agli orfani di guerra. Hanno fatto questa scelta due Suore di Madre Teresa di Calcutta. Non bastano le parole a dire la cura e l’assistenza offerta da tante religiose agli ammalati di HIV/AIDS, malaria e tubercolosi in Africa e in tante parti del mondo. Non bastano le parole per scrivere i disagi affrontati per sfamare le vittime della siccità, i rifugiati, gli espulsi della guerra.
Si può concludere che in mille modi le religiose sono state sempre educatrici e mediatrici di pace. Si nota che oggi c’è un crescente rivestimento del ruolo di profetesse di pace. Forse che la pace gode di maggiore opportunità perché iniziano a prenderla in mano le donne?