G8, Armi e Diritti Umani
Alla vigilia del vertice dei Paesi del G8 che si è tenuto a Evian dall’1 al 3 giugno 2003, Amnesty International ha presentato un rapporto dal titolo “Un catalogo di fallimenti: esportazioni di armi dei paesi del G8 e violazioni dei diritti umani”. “Nonostante le assicurazioni contrarie – si legge nel rapporto – i governi dei Paesi del G8 forniscono armi ai peggiori violatori dei diritti umani su scala mondiale. La tecnologia militare e di sicurezza delle principali potenze del mondo continua a finire, grazie a controlli inadeguati, nelle mani di regimi che commettono gravi abusi dei diritti umani”. Almeno due terzi dei trasferimenti globali di armi avvenuti tra il 1997 e il 2001 hanno avuto origine da cinque Paesi del G8: Francia, Germania, Regno Unito, Russia e Stati Uniti. In questi, così come negli altri tre Paesi del G8 (Italia, Canada e Giappone) sono in vigore leggi che prevedono l'emissione di un’autorizzazione per le esportazioni militari. Eppure, in ciascun caso, il rapporto di Amnesty International dimostra come i controlli siano inefficaci o vengano scavalcati.
Fallimenti e complicità
Il rapporto fa un elenco minuzioso, dettagliato e documentato di tali fallimenti, cioè di esportazioni di armi provenienti dai Paesi del G8 che sono finite in zone di conflitto o di crisi per i diritti umani. E per ciascuno degli otto Paesi il catalogo è drammaticamente lungo. In particolare è evidente che, anche dopo l’11 settembre 2001, le promesse di più sicurezza e maggiori controlli non sono state rispettate: non si è fatto nessun passo concreto in avanti per prevenire conflitti e terrorismo. Il rapporto di Amnesty denuncia anche molti dei trasferimenti di armi che hanno infiammato conflitti in tutto il mondo. A partire dai casi più eclatanti: le ingenti forniture all’Iraq, durante la guerra con l’Iran negli anni ‘80, prima della guerra del golfo del 1991 e successivamente, in violazione dell’embargo ONU. Se c'è una lezione che il G8 deve imparare dal conflitto dell'Iraq, è quella che non si può consentire alla comunità internazionale di fornire armi a coloro che commettono gravi violazioni dei diritti umani e poi rafforzarli e proteggerli in modo che possano continuare ad agire impunemente.
Il Rapporto di Amnesty International segnala, poi, tre situazioni preoccupanti su cui i governi dovrebbero prendere delle decisioni con urgenza. Innanzitutto, si segnala che mediatori e trafficanti di armi che risiedono nella maggior parte dei Paesi del G8 forniscono armi ai Paesi violatori dei diritti umani semplicemente spostando i loro traffici in “Paesi terzi” dove vigono minori controlli. Poi, Amnesty accusa che la maggior parte dei Paesi del G8 non hanno leggi idonee a prevenire l’esportazione di forniture di sicurezza a forze di sicurezza straniere che sono solite usare strumenti leciti per infliggere torture e maltrattamenti, così come per impedire l’uso di strumenti come le armi elettriche fino a quando i loro effetti non saranno pienamente conosciuti. Infine, si pone l’accento sull’assenza di misure idonee di trasparenza: con la scusa della “riservatezza
(dalla dichiarazione del G8 di Evian sulla non proliferazione delle armi di distruzione di massa)
Il ruolo dell’Italia
Per quanto riguarda l’Italia, il rapporto di Amnesty International presenta alcuni casi emblematici a partire proprio dal rischio, denunciato dalla “Campagna contro i mercanti di armi – Difendiamo la l. 185/90”, che l’approvazione del disegno di legge presentato dal governo per la ratifica dell’Accordo per la ricostruzione dell’industria bellica europea tra Italia, Francia, Regno Unito, Spagna, Germani e Svezia e le modifiche alla l. 185/90 possa provocare minori controlli sulle esportazioni. Inoltre, il rapporto di Amnesty sottolinea che in Italia, uno dei principali produttori ed esportatori di armi piccole e leggere, i controlli sull’export di tali armi sono decisamente poco rigorosi e frammentari, in particolare se paragonati alle procedure previste dalla l. 185/90, che si applica però quasi esclusivamente a grandi sistemi d’arma.
E, infine, Amnesty International chiede al governo italiano di approvare al più presto una legislazione per controllare e punire gli intermediatori di armi che risiedono in Italia. Ci sono prove e documenti, ad esempio, che attestano la vendita illegale di armi a uno dei più sanguinari gruppi armati di opposizione del continente africano, il Fronte rivoluzionario unito della Sierra Leone. Ma per le gravissime lacune presenti nella legislazione italiana è assai difficile procedere in giudizio nei confronti di persone accusate di traffico illegale di armi originato e svoltosi al di fuori del territorio italiano. Insomma l’Italia si può considerare un paradiso per trafficanti di armi senza scrupoli che non esitano a violare gli embarghi ONU contando sull’impunità che deriva dal fatto che l’Italia continua a non porsi il problema di fermare questo commercio del terrore.
Richieste e proposte
Amnesty International si oppone ai trasferimenti di equipaggiamento e tecnologia militare, di sicurezza e di polizia che possano contribuiranno alle violazioni dei diritti umani nel Paese ricevente. L'organizzazione continua a chiedere ai Paesi del G8 di rispettare questo principio, a lungo riconosciuto ma mai attuato nella pratica. Per fare questo Amnesty International chiede l’adozione di controlli internazionali per favorire la prevenzione dei conflitti, la trasparenza nel commercio internazionale di armi, rigidi controlli sui traffici degli intermediatori. E in particolare, Amnesty International chiede con forza l’adozione di un trattato internazionale sul commercio delle armi, volto a rafforzare e armonizzare i meccanismi nazionali di controllo e interrompere il flusso di armi verso chi viola i diritti umani.