CENTROAMERICA

Lo spettro della fame

In America Centrale crolla la produzione e cresce la miseria.
Colpa degli accordi di libero commercio con gli USA.
José Chacòn

Verso la metà del 2001, il mondo intero si rese conto dell’ondata di fame che aveva investito noi centroamericani. In quel momento i mezzi di comunicazione incolparono gli effetti dell’uragano Mitch che aveva flagellato l’istmo alla fine del 1998, il “corredor della siccità” e i terremoti di quell’anno in Salvador. Nell’ottobre del 2002 il Programma Mondiale di Alimentazione faceva conoscere cifre allarmanti, con più di 8,6 milioni di persone alla fame in Centroamerica. Secondo lo studio, in Nicaragua ci sono 2,6 milioni di persone colpite dal “corredor della siccità”, 2,2 milioni in Honduras, 1,3 milioni in El Salvador mentre in Guatemala sono 2,5. In sintesi, in Centroamerica una persona su quattro soffre la fame.
(c) Lucio Osseri/Archivio Mosaico di pace “Ciò che più preoccupa” i governi centroamericani, che già hanno sollecitato grandi quantità di donazioni di alimenti, è che bambini e bambine minori di 5 anni sono esposti alla denutrizione, che colpisce il loro sviluppo fisico e mentale. Le cifre sono allarmanti perché in Salvador si registra un 23% di denutrizione cronica; cifre che salgono al 33% in Nicaragua, 38% in Honduras e 48% in Guatemala. Solo nel 2002, il PMA intervenne con emergenza in Guatemala assistendo 6 milioni di bambini che erano sul punto di morire per la fame provocata da due anni di siccità e disoccupazione nelle aree rurali.

Dietro la fame
Sappiamo molto bene che la fame non è il risultato di eventi ambientali estremi come quelli che hanno colpito il Centroamerica negli ultimi anni, ma le sue radici stanno in fattori economici come la distribuzione della ricchezza e la distribuzione della produzione, in fattori sociali come l’isolamento delle comunità rurali, e politici come la partecipazione nella presa di decisioni che riguardano tutta la popolazione. Pertanto l’interrelazione di fattori adeguati aiuterebbe a risolvere il problema; ma i governi si sono concentrati unicamente nel sollecitare immense quantità di alimenti, lasciando la loro distribuzione a carico del PMA.
Questo atteggiamento semplicistico provoca dipendenza alimentare dagli aiuti esterni e la rottura della struttura produttiva rurale. Ancora, i Programmi di Aggiustamento Strutturale, insieme con i Trattati di Libero Commercio propugnati dagli Stati Uniti, dalla Banca Mondiale, dal Fondo Monetario Internazionale e dal Banco Interamericano di Sviluppo, hanno provocato la deviazione della produzione di alimenti primari per il consumo interno verso la produzione per l’esportazione e insieme a ciò si sono introdotti nuovi prodotti: soia, anile, cotone. Questa tendenza si riflette già nell’importazione crescente di alimenti provenienti principalmente dagli Stati Uniti, che crea disoccupazione nell’area rurale, spinge i salari verso il basso ed erode le iniziative di sicurezza alimentare propugnate dalle organizzazioni non governative che appoggiano le comunità rurali.
Con una così alta disoccupazione nell’agricoltura le persone non hanno di meglio che emigrare in città e cercare un impiego nelle fabbriche “Maquilas” con bassi salari, oppure emigrare verso il Nord in cerca di guadagni necessari per alimentare le proprie famiglie. I governi favoriscono l’importazione di alimenti “economici” che poi vengono comprati con le rimesse che inviano i lavoratori emigrati negli Stati Uniti. La tendenza è quella d’importare sempre più prodotti agricoli dagli Stati Uniti. Per esempio, il Salvador nel 1985 importava il 14% dei suoi alimenti, nel 1990 il 22%, nel 1999 il 38% e quest’anno ne importa il 45%.
Dalla prospettiva centroamericana, la tendenza è quella ad aumentare le sue importazioni. Nel 1999, s’importò il 43% del consumo di riso, il 78% di quest’importazione veniva dagli Stati Uniti; s’importò anche il 36% del consumo totale di mais, l’82% del quale veniva dagli Stati Uniti e la tendenza è uguale per l’importazione di carne, fagioli, pollame e latticini.

Il problema dei sussidi
Nelle negoziazioni attuali del Trattato di libero commercio tra Centroamerica e Stati Uniti, quest’ultimi si oppongono a che i governi appoggino le loro esportazioni attraverso sussidi o altre misure, ma gli stessi Stati Uniti hanno approvato un incremento ai loro sussidi agricoli di 18 miliardi di dollari all’anno per i prossimi dieci anni. Così il produttore statunitense medio produce 8 tonnellate di mais per ettaro e riceve 110 dollari di sussidio per ogni ettaro seminato. In questo modo il nuovo schema commerciale non tiene conto delle differenze economiche e sociali per la produzione tra i Paesi.
Con i Trattati di libero commercio, la produzione locale centroamericana di alimenti per il consumo locale è condannata a sparire e a essere sostituita dalle importazioni. Ma la domanda interna continuerà a crescere. La domanda attuale di mais in Centroamerica sorpassa i 5 milioni di tonnellate. Per cui il mercato centroamericano è molto attraente per la sostenibilità dei produttori di mais nordamericani. Qui è necessario ricordare che gli alimenti donati per la fame del Centroamerica da parte del PMA delle Nazioni Unite sono donati principalmente dagli Stati Uniti, che li hanno comprati dall’eccedenza della loro produzione locale perché semplicemente non erano stati venduti o perché rifiutati in quanto alimenti transgenici. In ultima analisi, la situazione attuale di povertà e fame in Centroamerica mette nuovamente sul tavolo della discussione il modello di sviluppo adottato dalla regione per le pressioni esterne.
Quanti proponiamo vie alternative di sviluppo riteniamo che per i Paesi centroamericani abbia senso solo un reinserimento nell’economia mondiale a partire dai progetti nazionali o regionali di sviluppo e che lo scambio commerciale debba essere parte di una strategia che garantisce una distribuzione più equa della ricchezza, un’elevazione dei livelli di vita della popolazione e uno schema di produzione in armonia con la natura. Auspichiamo inoltre che gli accordi internazionali debbano contribuire a ridurre le disuguaglianze tra le nazioni, all’interno dei Paesi, tra donne e uomini e tra razze.
Consideriamo anche che qualsiasi trattato debba riconoscere esplicitamente la priorità degli accordi internazionali sui temi ambientali, assumerli e stabilire i meccanismi per il loro compimento e che si dovrebbero stabilire meccanismi che proibiscano di ottenere vantaggi grazie alla carestia o alla non applicazione dei regolamenti ambientali.

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ambientalista di El Salvador

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