Il diavolo e l'Occidente
E della responsabilità morale di ciascuno...
Papa Giovanni XXIII ci ha abituato a ritenere che la modernità può non negare la fede, ma imporci di capire meglio il senso della fedeltà al Vangelo. Sul “diavolo” il bisogno di verificare quale ne sia per noi il significato è di grande attualità: il mondo è pieno di conflitti che coinvolgono le religioni e ragionare di “bene” e “male” come se la nostra responsabilità non fosse in gioco – anche per la scarsa conoscenza teologica dei “satana” che nominiamo – può generare confusione, equivoci e superstizioni anche gravi.
Rilevante, pertanto, l’importanza del convegno tenuto a Bologna (9 11 maggio) su “Il diavolo e l’occidente”, a cura dell’associazione laica Biblia. I titoli delle relazioni sono di per sé indicativi: Archeologia del diavolo nell’Iran e nel Vicino Oriente antichi (Paolo Xella,); Il diavolo nell’Antico Testamento (Piero Capelli); Il diavolo nel Nuovo Testamento (mons. Manicardi dello Studio teologico di Bologna); La lotta contro il diavolo nel monachesimo (Grazia Mara); Streghe, indemoniati, esorcismi e roghi (Anna Foa); Una rilettura dell’insegnamento della chiesa (Agnese Tassinari); Il demoniaco nel mondo di oggi (Carlo Prandi); Il diavolo in Dostoewskij (Cesare De Michelis); Il diavolo nella tradizione islamica (Ida Zilio); Da Lilit al Golem, il demoniaco nella tradizione ebraica (rav Della Rocca).
L’antropologia insegna che il demoniaco nasce anticamente dalla materializzazione dei pericoli della vita, dall’attribuzione della responsabilità originaria per le violazioni delle leggi o per giustificare l’odio verso il presunto nemico. Il politeismo offre rappresentazioni plurime delle forze chiamate “divine” e, quindi, di demoni, spiriti, ombre dei morti; il monotesimo, invece, di contro al dio unico che è “il bene” finisce per attribuire al “male” valore metafisico. L’uomo, in entrambi i casi, si trova deresponsabilizzato
e confonde i suoi valori con i disvalori.
Nel Nuovo Testamento la situazione esce dagli schemi delle diverse tradizioni: tutto va ricondotto alla salvezza operata da Dio. Ermenegildo Manicardi sostiene che l’azione di Gesù ha sorpreso i contemporanei per i prodigi che lo hanno fatto confondere con gli esorcisti ellenistici; ma nei Vangeli si può rinvenire una teologia, una cristologia, un’antropologia, non una demonologia. Dalle esasperazioni della spiritualità medievale deriverà il sospetto per ogni reazione considerata trasgressiva a giudizio del clero, che costruirà descrizioni e definizioni oggettive del demoniaco e, di conseguenza, inquisizioni, tribunali, persecuzioni.
La tradizione dei secoli ha mantenuto la credenza nel diavolo come realtà concreta; anche se il Vaticano II non lo cita, lo stesso Giovanni Paolo II lo menziona nei suoi interventi, sebbene mai con la maiuscola. È lui, infatti, che indusse al peccato Adamo; anche se oggi Adamo deve fare i conti con il poligenismo dell’umanità e, forse, è venuto il tempo non solo di ritenere satana inessenziale, ma di riprenderci le responsabilità che competono a noi e non a lui, il vecchio Avversario che copre le nostre tentazioni, iniquità, eresie. In Dostoevskij l’interrogativo profondo non è sull’esistenza del diavolo, ma di Dio.
Anche gli ebrei, che leggono nella Bibbia il rifiuto di ogni idolatria, insegnano a percorrere la via del cammino di Dio, nella maturazione delle nostre capacità e conoscenze, mentre gli islamici – che nel Corano”, parola di Dio, accolgono ogni voce, anche quella del Satana che ha sfidato Dio nella storia per vincerlo nell’uomo – hanno, nell’interpretazione del Cordovese (X secolo), un’alternativa allo stereotipo del destino di peccato per il fango da cui fu tratto il primo uomo. Infatti il fango è terra e la terra è vita, stabilità, mentre demoniaco appare il fuoco, distruttivo, labile, instabile: ma sul fango Dio ha soffiato.