Le alternative ci sono
Perché l’Italia è ancora in ritardo?
Avete presente la tangenziale di Mestre? Ne hanno fatto anche uno spot pubblicitario. Ebbene, ogni giorno su quell’arteria transitano circa 120.000 veicoli, di cui un terzo automezzi pesanti. E tutto nel cuore di una città. Si fa presto quindi a dire mobilità sostenibile. Ma da queste parti la sfida è titanica. La camera a gas, che toglie sei mesi di vita ogni 10 microgrammi di Pm10 per metro cubo, avvolge molte città italiane, per non parlare delle grandi metropoli internazionali. Se poi ci aggiungiamo l’inquinamento da attività industriali, le conseguenze sulla salute dei cittadini sono molto preoccupanti.
Ma rimaniamo alla mobilità. La crescita incontrollata degli autoveicoli, un tempo simbolo di libertà di movimento, sta facendo collassare il sistema della mobilità, proprio nei luoghi dove si svolge la vita quotidiana di migliaia di persone, e segna nelle aree urbane più inquinate un aumento del 40% del rischio di tumore ai polmoni. Non stupisce quindi che centinaia di cittadini si organizzino in comitati per la tutela del diritto alla salute e contro l’inquinamento da traffico. Tutti chiedono interventi urgenti, politiche della mobilità e dei trasporti, cambiamenti comportamentali e culturali sia individuali che collettivi.
Ci provano con una certa fatica gli Enti locali che, nelle politiche per la mobilità sostenibile, da tempo si sono visti assegnare un ruolo guida, non solo come pianificatori e attuatori di interventi infrastrutturali di regolazione del traffico, ma anche come punti di riferimento per la comunità locale. Uno dei provvedimenti per ridurre l’inquinamento, oltre alle ordinanze di circolazione a targhe alterne o la totale chiusura dei centri urbani, è l’istituzione del Mobility Manager, figura con il compito
di gestire al meglio gli spostamenti casa-lavoro dei dipendenti di aziende con più di 300 addetti. Obiettivo principale: promuovere modalità ecologiche di pendolarismo, riducendo al minimo gli effetti del congestionamento del traffico con l’utilizzo del Car sharing, .
C’è poi il Piano Urbano del Traffico che i Comuni sono tenuti ad adottare, prevedendo la realizzazione di corsie preferenziali per il trasporto pubblico; la definizione e l’ampliamento delle zone a traffico limitato; una complessiva riorganizzazione delle soste con nuovi parcheggi (scambiatori) e differenziazione delle tariffe (chi posteggia la propria autovettura al centro città, paga salato); la messa a regime di un sistema semaforico per attivare automaticamente gli impianti in relazione ai carichi di traffico; telecamere per controllare gli accessi vietati; lo sviluppo delle piste ciclabili.
Sul fronte delle due ruote, il Comune di Venezia ha da poco istituito l’Ufficio Biciclette. Una esperienza positiva. Questi uffici, previsti da una direttiva europea, stanno ormai sorgendo come funghi (capofila è il Comune di Ferrara). Si tratta di promuovere l’uso della bici, agevolando la consapevolezza dei cittadini che le corsie riservate alle due ruote stanno diventando sempre più una realtà. Da un sondaggio compiuto negli istituti di scuola media superiore di Mestre, appare che il 41% dei ragazzi usa sempre o frequentemente la bicicletta per arrivare a scuola.
Ma la sfida più grande rimane il passaggio dal traffico commerciale su gomma a quello su rotaie. Qui veramente entrano in gioco le scelte strategiche di un Paese, gli investimenti per creare luoghi di interscambio delle merci e per sostenere le alternative che già esistono. La prima è il sistema di Autostrade viaggianti (in Italia attualmente ne funzionano due: la Novara-Stoccarda e la Verona-Trento-Bolzano e zona di confine austro-tedesco). Si tratta di caricare su appositi vagoni ferroviari, tir e automezzi pesanti, in particolare trasporti pericolosi. L’Austria, Paese notoriamente molto sensibile su questo fronte, eroga un contributo di 200 euro per ogni camion trasportato su treno. Qui da noi, come si dice, manca la volontà politica.
La seconda alternativa sono le Autostrade del mare. Occorre favorirne lo sviluppo. E l’Adriatico sembra fatto a posta per collegamenti da Trieste e Venezia a Brindisi e Catania.
Non va dimenticato poi il recupero delle reti fluviali (pensiamo alla navigabilità di fiumi come il Po per collegamenti est-ovest). Le alternative, dunque, ci sono. E il ritardo dell’Italia, rispetto ad altri Paesi dell’Unione Europea, a operare per una mobilità ecosostenibile che riduca l’intasamento delle strade e autostrade, l’inquinamento dei centri abitati e il numero di incidenti stradali sempre più drammatici, è decennale e colposo.