Fucili e Santini
Nei mesi scorsi a Milano si è realizzata un’inedita collaborazione tra il Centro Ecumenico Europeo per la Pace (a cui partecipa la Diocesi di Milano) e l’Istituto nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione (INSMLI), con il Convegno su “Chiesa e guerra. Dalla benedizione delle armi alla Pacem in terris” e la mostra “Il volto religioso della guerra. Santini e immaginette per i soldati”.
La mostra, in particolare, raccoglieva immaginette sacre, libretti, medagliette, preghiere, manifesti che dalla guerra di Libia in poi fino alla Repubblica di Salò sono stati stampati a milioni di copie e distribuiti ai soldati o alla popolazione, documentando con grande efficacia l’intreccio tra patriottismo e “valori” religiosi con ricorso a tutte le possibili devozioni e superstizioni diffuse nella cultura popolare d’Italia. Un intreccio intenso, diffuso e benedetto anche dalle gerarchie ecclesiastiche. Una mostra ignorata dai media, ma che pone problemi e domande di fondo a tutto il pacifismo cristiano.
Il ruolo dei Cappellani
I santini erano conservati in trincea, nell’ospedale militare o in prigionia, erano espressione di fede genuina, ma spesso avevano anche un effetto scaramantico, conservati con cura nel portafoglio o nella giubba (o anche sotto l’elmetto in combattimento). Al santino distribuito dal cappellano militare si accompagnavano spesso altri testi, immaginette sacre, libretti con le preghiere, cartoncini funebri in memoria di un caduto, manifesti con raffigurazioni sacre affissi nelle caserme. Questa produzione di tipo devozionale, come è facile supporre, non era neutrale ma era espressione della capillare opera di propaganda tendente all’integrazione dei giovani nelle forze armate, all’accettazione dei valori bellici anche in quanto precetti religiosi. Oggetti devozionali da inserire in un contesto generale dominato, sul piano spirituale, dai riti al campo: la messa per i soldati, le assoluzioni e le benedizioni collettive, con l’affidamento al cappellano militare delle mansioni svolte ordinariamente dal parroco.
L’esame di questi materiali, considerati minori, ci immerge nella storia d’Italia. È con la campagna di Libia del 1911 che inizia la propaganda a favore dell’intervento militare e tutta la presenza della Chiesa italiana durante la grande guerra pose le basi per chiusura della questione romana. Fu una presenza inizialmente controversa (Benedetto XIV parlava di “inutile strage”), ma in continua crescita. Nel 1915 Cadorna reintrodusse il clero castrense di cui fecero parte 2200 ecclesiastici, mentre ventimila furono i preti e i chierici arruolati nelle forze armate, perlopiù nelle sezioni militari. L’Opera per la Regalità di Padre Gemelli, il fondatore dell’Università Cattolica, era il soggetto più attivo nello stampare, diffondere e inviare al fronte materiale devozionale.
La preghiera al Duce
Con l’avvento del fascismo, la chiusura dell’attività politica dei cattolici democratici organizzati nel Partito Popolare e la Conciliazione del ‘29 non ci furono più argini alla fusione tra guerra e crociata condotta in nome della civiltà cristiana. Negli anni trenta ogni arma ebbe un Patrono: S. Michele protettore della milizia (le camicie nere), la Madonna di Loreto patrona dell’Aeronautica, S. Rita patrona della Cavalleria ecc… Fu scritta la Preghiera al Duce (“Gesù, al Duce d’Italia a questa creatura Vostra…. concedete la grazia di servire per lunghi anni ancora Voi nella Patria e la Patria in Voi…”) e la preghiera al Re, fu intensa la partecipazione all’invasione dell’Etiopia e all’appoggio al colpo di Stato di Franco in Spagna. Il degrado della religione e la sua subordinazione al potere politico non poteva essere maggiore. Il materiale prodotto durante la seconda guerra mondiale fu nella stessa linea nel primo periodo, di grande imbarazzo dopo il 25 luglio e di continuità nel fascismo repubblichino, mentre nascevano le prime preghiere scritte dai partigiani “bianchi”.
Ci voleva la Lettera di don Milani ai Cappellani militari perché una riflessione nuova percorresse il mondo cattolico, una riflessione che è ancora ben lontana nel nostro Paese da essere patrimonio comune dai credenti nell’Evangelo.