Per una smilitarizzazione dei territori
Dividerò il mio intervento in due parti: la resistenza civile e quella ecclesiale.
A. La resistenza civile
Possiamo dire che l'esperienza della resistenza alla costruzione alla nuova base militare americana “Dal Molin” a Vicenza ha avuto due fondamentali modalità espressive e due essenziali “frutti”, personali e sociali.
1. Le modalità
1. La prima modalità si è visibilizzata nella costituzione dell'Assemblea Permanente dei cittadini contro la base, la quale si ritrova al Presidio del "Comitato No Dal Molin”, installatosi nei pressi dello spazio destinato allo scopo militare.
In questo ambito è emersa con evidenza e forza la soggettività femminile (quello che è stato chiamato "il popolo delle casalinghe"), la quale ha determinato e determina molte delle linee e degli atteggiamenti di azione di resistenza.
In particolare si può far risalire ad essa il clima di accoglienza verso tutti i soggetti sociali e la allargata partecipazione al movimento da parte di persone provenienti da diverse posizioni sociali e politiche.
2. La seconda modalità si può individuare nel passaggio dal localismo alla dimensione nazionale e internazionale delle questioni.
Dalla reazione e resistenza sulle questioni di tipo “ambientale” (ossia il depredamento e inquinamento, ulteriore, della terra, dell'aria, dell'acqua; il problema della “base vicino a casa”, vicino agli insediamenti abitatiti dei cittadini; la questione della futura viabilità; ecc.) si è avuta una presa di coscienza progressiva delle problematiche inerenti alle basi militari, alle guerre in corso (e future), al “sistema di guerra” in cui siamo entrati in questi ultimi anni e alla teoria e pratica della “guerra preventiva”, agli strumenti di morte che sono, comunque, gli armamenti, ai legami e alle dipendenze politiche internazionali del nostro paese (i cosiddetti “accordi segreti”), allo stato, preoccupante, della vita politica in Italia (ossia il rapporto o, meglio, non rapporto della classe politica con i cittadini e le loro espressioni sociali; qui si inserisce, infatti, la questione della "democrazia mancante", la quale fa scoprire la crisi attuale della rappresentatività e, tanto più, della informazione, consultazione, partecipazione reale alla cosa pubblica dei cittadini - che si sono sentiti emarginati e presi in giro).
Già la prima Manifestazione contro la base, del 2 dicembre 2006 - prima di quella più conosciuta del 17 febbraio scorso - aveva fatto fare un salto in questa importante presa di coscienza da parte di persone non abituate, normalmente, ad interessarsi di fattori sociali e politici più ampi del proprio quotidiano e non allenate ad approfondire, da vari punti di vista, le problematiche in campo.
In questo senso, ed in particolare, va collocata la “scoperta”, da parte della "gente comune”, del collegamento esistente tra i progetti della nuova base militare americana a Vicenza e le già costituite, o costituende, basi di... Taranto, Napoli, Aviano, Ghedi, Cameri,...
Può essere utile, a questo punto e in questa sede, che vi legga ciò che ha scritto Raniero La Valle, nella parte finale della sua rubrica, su “Rocca, 1 aprile 2007”:
“ 'Profeti armati, ma contro chi?”, cioè a che serve la base di Vicenza? Questa domanda che ci ponevamo nel numero scorso di Rocca ha avuto una risposta nell'ultimo minuto del dibattito sulla fiducia al Senato. La verità nascosta è stata proclamata dal senatore a vita Cossiga, che ha espresso soddisfazione (“americano e guerrafondaio come sono”, ha detto con autoironia) per la conferma “dell'autorizzazione data al Pentagono del raddoppio della base militare di Vicenza e della riunificazione su di essa del 173° reggimento d'attacco 'Airborne', strumento del piano di dissuasione e di ritorsione nucleare denominato 'Punta di diamante' ” (dal resoconto stenografico del 28 febbraio). Dunque Vicenza serve alla guerra nucleare. Come Comiso. Ne riparleremo”. (evidenziatura mia).
In effetti è in atto una militarizzazione dei territori, di cui stiamo parlando, perché, nel "sistema di guerra" attuale, vi è una estensione della militarizzazione a tutti gli aspetti del vivere: alla cultura, alla politica, all'economia, all'informazione...
A questo proposito - come ha già sottolineato ampiamente chi mi ha preceduto, vale a dire Alessandro Marescotti - il lavoro di informazione e controinformazione, in vista di un'azione comunitaria, consapevole ed efficace, si è rivelato per tanta “gente comune”, solitamente meno preparata, come uno strumento indispensabile per la resistenza. Ricordiamoci che, sempre, questo è un “passaggio obbligato” per un cammino resistenziale.
2. I “frutti”
1. Il primo frutto del movimento di resistenza che si è avviato a Vicenza è stato ciò che viene chiamato un “processo di individualizzazione attraverso un processo collettivo”: ossia le persone partecipanti a queste iniziative hanno avuto ed hanno l'opportunità di scoprire maggiormente se stessi (le proprie paure ma anche le propre risorse e potenzialità), l' identità personale e sociale (l'essere cittadini e non sudditi...), la situazione reale della propria condizione di giovani, di casalinghe, di uomini, e, se vogliamo, alla fin fine, il senso della propria vita e delle realtà-valori per le quali ci si sta “spendendo” o ci ci può "spendere".
2. Il secondo importante e prezioso frutto che sta venendo fuori come conseguenza del movimento di resistenza, è quello che possiamo definire come un cammino di liberazione, personale e collettivo.
Un fenomeno che appare evidente - leggendo attentamente e complessivamente le dinamiche in atto - è il superamento, da parte delle persone che vi partecipano, di remore antiche, di “blocchi” passati, di paure manifeste. La gente, insomma, “prende parola”, fatto di altissimo valore esperienziale a livello personale, e di grande incidenza sociale a livello collettivo. Anzi, sappiamo che ogni movimento di resistenza inizia e si accompagna proprio alla “presa di parola” dei soggetti coinvolti, i quali non si accontentano più, anche a livello più strettamente “politico”, del meccanismo della “delega” - deresponsabilizzante e, alla fine, dannoso, per tanti aspetti, nei confronti del bene dei cittadini - ed assumono in proprio l'azione politica, in senso lato, come necessità ed espressione di una soggettività matura e maturata.
Concretamente “il popolo delle casalinghe”, ma non solo, diventa capace di mobilitazione autonoma e responsabile di fronte alle vicende che interessano tutti gli uomini e tutti i popoli, mediante iniziative, di protesta e di proposta, alternative al costume politico vigente e alle sue legittimazioni “castranti”: occupare i binari della linea ferroviaria o la strada davanti alla base americana già esistente per la “spentolata” settimanale, diventano, per fare degli esempi, un modo effettivo di “dire” il proprio cammino di crescita e di liberazione, personale e comunitario.
B. La resistenza ecclesiale
Nella Chiesa Vicentina si sono verificati due posizioni ed atteggiamenti diversificati e, per certi aspetti, contrapposti.
Quello di chi ha preferito “tacere”, “non prendere posizione”, mantenere - pur annunciando la necessità della pace, ma anche della difesa armata - una "posizione neutrale" (... come se il non prendere posizione non sia anch'essa una scelta di fronte agli eventi), ed, invece, la posizione e l'impegno di chi “si è mosso” con iniziative di riflessione e di ricerca, di azione e di intervento, atte a testimoniare l'annuncio profetico del Vangelo e a contrastare il progetto mortale che si vuole mettere in atto.
a. Del primo caso, la "posizione neutrale", o, comunque, ambigua, posso citarvi - trascurando altri soggetti e scritti altrettanto poco liberi, a mio avviso, nella 'fierezza apostolica' cui è chiamata la Chiesa... - il, tardivo, Comunicato del Consiglio Pastorale Diocesano, il quale, accanto a riflessioni interessanti e positive, come quella che vi leggerò fra poco, nella sezione titolata “La difficoltà di un discernimento nel pluralismo” afferma: Diciamo non alla guerra e agli strumenti che conducono alla guerra, pur consapevoli che i percorsi storici per giungere a questo non sono univoci né sempre e immediatamente chiari”. E' chiaro, invece - almeno così sembra a me - che, in tale modo, si può dire “una cosa ed il contrario di essa”, ossia, è chiaro che qui ... “ci sta dentro tutto”: anche, appunto, la nuove base militare, la “guerra preventiva”, ecc. ecc.
La conclusione, comunque, apre alla speranza di una Chiesa che si interroga e si lascia provocare maggiormente dagli eventi storici alla luce del Vangelo e del servizio all'uomo, in particolare al povero. Eccola: “La questione 'Dal Molin' ha infatti al contempo evidenziato la carenza nelle nostre comunità di un forte impegno quotidiano di attenzione e formazione sule problematiche relative al vivere civile locale, nazionale e internazionale. Tale evento offre alle nostre comunità, anche a quelle non direttamente coinvolte un'opportunità per una verifica sul versante pastorale per riprendere in maniera ordinaria una riflessione ed in confronto su temi, quali quello della pace, dell'ambiente, della povertà della vita, della famiglia, della legalità, che vanno al di là della costruzione della nuova base.
Dalla vicenda “Dal Molin” la nostra Chiesa deve uscire più matura, più capace di interrogarsi quotidianamente su tali questioni, in grado di proporre percorsi di fede in Gesù Cristo e di missionarietà, in particolare per i laici, chiamati ad essere testimoni del Signore risorto nella storia, accettando anche le provocazioni che questa propone” (dal Documento pubblicato sul settimanale diocesano “La Voce dei Berici del 25.2.07).
b. Diversamente, ed in modo opposto, vi sono i soggetti che, individualmente e in modo associato, si sono mobilitati, esplicitamente e fermamente, contro la nuova base militare americana. Vi cito, ad esempio, il “Gruppo Famiglie per la pace”, le Comunità Papa Giovanni XXIII, il gruppo vicentino di Pax Christi che sta ricostituendosi, alcuni Gruppi Scout, e così via.
Si sono svolte due partecipate Assemblee di riflessione e di discernimento, ed incontri nelle Parrocchie e ovunque ci chiamassero ad esprimere dubbi e perplessità, contrarietà e opposizioni ai progetti di morte; sono in programma Veglie di preghiera e diffusione ulteriore di materiale informativo, continuando, così, il nostro cammino di resistenza cristiana.
Vi leggo - anche a mo' di conclusione e di auspicio rispetto all'impegno della Chiesa - ciò che mi è capitato di scrivere nel mio intervento pubblico del 13 dicembre 2006, apparso pure, successivamente, sul Settimanale Diocesano: “Mi aspetto, ora, come credente e pastore di questa Chiesa che è in Vicenza, una bella presa di posizione dei cristiani, obiettori di coscienza per scelta: obiettori agli eserciti, obiettori alla produzione e commercio delle armi, obiettori alle guerre.
Di che cosa ci dobbiamo vergognare, noi cristiani? Di essere nonviolenti? Di voler destinare i soldi per i poveri del mondo e non per le armi? Di essere per l’abolizione della pena di morte? Ma è assurdo...
Sarebbe bello se la nostra Chiesa locale prendesse posizione con chiarezza, come fece la Chiesa pugliese, quando, volendo i programmi militari della Nato, trasformare la Puglia in “arco di guerra” (portaerei per il Mediteranneo e il Medioriente), contrappose, la sua vocazione ad essere, invece, “arco(baleno) di pace”, come si esprimeva don Tonino Bello (tanto stimato, ora...; tanto citato, “usato” da tutti)”.
Sì, credo che questo dobbiamo fare, oggi, come Chiesa, vicentina ed italiana: non, come mi capita di notare sempre più spesso, di usare abbondantemente e ovunque i bei testi "spirituali" di don Tonino Bello, ma di continuare, con la riflessione e la vita, l'atteggiamento e le scelte che lui stesso ha vissuto, dandoci testimonianza e indicazione di cosa significhi,... e anche cosa comporti, una vera e autentica profezia del Vangelo della pace che incroci, oggi e sempre, la “resistenza dal basso”.
* Nota: per la prima di questo intervento mi sono avvalso del contributo fondamentale che mi ha offerto Enrico Marchesini, del “Comitato No Dal Molin”, che qui ringrazio sentitamente.