Lettera aperta al Papa

23 settembre 2007 - Antonino Drago

Caro Papa,
mi ritengo cattolico, assieme a mia moglie; quindi ho Lei come riferimento istituzionale più alto in materia di morale.
Da più di trentacinque anni mi sono interrogato in coscienza sui temi della pace e della guerra e, nella mia piccolezza di fronte ai giganteschi arsenali di guerra che sono stati costruiti nel secolo XX, ho visto come prima via da seguire quella della in-nocentia, di cercare di uscire dalla responsabilità di essere coinvolto come sostenitore di qualcosa di terribile che non posso accettare moralmente.
Avrei voluto dichiararmi obiettore di coscienza, ma sono stato esonerato dal servizio militare perché ammogliato con prole. E’ anche grazie a questo tipo di obiezione di coscienza che la Caritas Italiana, usufruendo di migliaia di obiettori di coscienza in servizio civile l’anno, ha potuto trasformare l’azione sociale della Chiesa italiana, sia nelle singole parrocchie che nelle Curie diocesane; ed ha giustamente premuto, assieme ad altri Enti di Servizio civile, affinché cambiasse la legge in proposito. La nuova legge (230/98) ha introdotto innovazioni eccezionali, tra le quali il principio di una difesa alternativa da insegnare ai giovani (art. 8). Disposizione che è stata confermata dalla successiva legge sul servizio civile diventato volontario (64/01) che all’art. 1 lett. a stabilisce che i giovani e le giovani in servizio civile debbono “contribuire alla difesa della Patria” “con mezzi ed azioni non militari”.
Se non sono stato obiettore al servizio militare però, quando nel 1970 sono stato nominato professore di ruolo negli istituti tecnici e sono stato richiesto di giurare fedeltà a tutte le leggi (quindi anche a quella della coscrizione obbligatoria militare), mi sono rifiutato (pur essendo conscio, assieme a mia moglie, di mettere così a rischio la mia famiglia di quattro figli). Sono stato licenziato prima da professore di ruolo e poi, essendo rientrato come incaricato, anche dall’incarico. Pur persistendo nel mio rifiuto del giuramento, ho potuto poi recuperare un insegnamento all’università (certamente per l’aiuto del cielo, più che per le mie modeste forze intellettuali).
Nel frattempo il Suo predecessore Giovanni Paolo II aveva invitato gli scienziati ad “uscire dai laboratori di morte”. Non so di persone che abbiano seguito quell’invito, ma io come laureato in fisica, mi sono tenuto fuori dal giro della ricerca per armamenti, anche al costo di un conflitto con il mio gruppo di ricerca, che alla fine mi ha fatto restituire un contratto di lavoro.
Ho poi partecipato alla campagna di obiezione di coscienza alle spese militari, perché certamente è con le tasse dei cittadini che vengono costruiti quegli arsenali di cui dicevo prima. Sono venticinque anni che mi sottopongo ad uno stillicidio di pratiche che mi vedono sconfitto inesorabilmente, perché lo Stato, ad un suo cittadino che non gli versa tutto quello che esso stabilisce, gli entra in casa col fabbro ferraio per eventualmente sfondargli la porta se la trova chiusa, e gli pignora oggetti familiari per guadagnarci la somma dovuta. Ultimamente a chi non paga tutto quello che è fissato lo Stato è arrivato a bloccare la automobile (anche se questo fatto impedisce di lavorare) e a prelevare forzosamente una quota del salario. Tutte cose che indicano quanto lo Stato sia sensibile a questo aspetto delle tasse.
Allora interrogo lei come massima autorità morale della istituzione religiosa più importante nel mondo:
1) capisco che una cosa è che il singolo fedele si dichiari obiettore alle leggi dello Stato in materia militare, rischiando da solo la sua coscienza davanti a Dio, ed una cosa è che la Chiesa inviti all’obiezione. Ma Le chiedo se non sia tempo di affermare che hanno fatto bene gli obiettori di coscienza nel passato. C’è da pensare di sì, dato in questi giorni il processo di beatificazione di Franz Jagerstatter, obiettore alle SS, sta facendo grandi avanzamenti. Ma si trattò di un atto solo individuale oppure di un esempio da seguire, come fu quello di S. Massimiliano nel IV secolo? Può lei ripetere quanto in una parata militare affermò il compianto Vescovo di Molfetta Antonio Bello: “Benediciamo coloro che in guerra combatterono per la pace e coloro che nella pace combattono contro la guerra”? Può invitare l’Ordinario militare a dichiarare pace con Don Milani, che nel 1967 dovette difendere da solo gli obiettori di coscienza dall’accusa di essere estranei al Vangelo?
2) Quando all’interno di uno Stato (come quello italiano e tanti altri europei) in cui più della metà della gioventù si dichiarava obiettrice, e in un contesto internazionale in cui nel 1996 la Corte dell’Aia è rimasta incerta con un voto di parità sulla illegittimità delle armi nucleari, non sarebbe bene ricordare agli Stati che se finora la Chiesa non ha condannato la ricerca, la produzione, la conservazione delle armi di distruzione di massa, ma solo l’uso in battaglia (vedasi La Gaudium et Spes e il Catechismo n. 2314 sulla condanna come “crimine contro Dio e l’uomo ogni atto di guerra di distruzione di massa”), già negli anni ’80 i Vescovi USA si interrogarono angosciosamente sulla leicità morale del possesso delle armi nucleari e che numerose autorità morali cattoliche (don Milani e Mons. Bello in Italia, il cappellano militare cattolico dell’isola di Guam dalla quale partì l’attacco nucleare al Giappone, P. Zabelka) hanno sentito quelle armi come peccato (“Un macello di inaudita grandezza”, disse Paolo VI delle bombe sul Giappone)? Non sarebbe giusto almeno ripetere che la guerra moderna “alienum a ratione est” (Pacem in Terris di 45 anni fa) e ricordare agli Stati che le promesse internazionali solenni fatte a tutti i popoli (eliminare le armi nucleari) devono essere mantenute?
3) Cento anni fa un indù ha insegnato all’umanità che il comandamento dell’amore può smuovere le montagne. Pochi ci hanno creduto, ma la storia ha dimostrato che le guerre e le rivoluzioni possono essere vinte anche nonviolentemente. Lo dice anche la Centesimus annus (n. 23) a proposito delle rivoluzioni del 1989: “l’ordine europeo uscito dalla seconda guerra mondiale… è stato superato dall’impegno nonviolento di uomini che… hanno saputo trovare di volta in volta forme efficaci per rendere testimonianza alla verità.” Oggi in Italia le leggi volute dagli obiettori sanciscono che lo Stato riconosce anche una difesa alternativa, non armata e nonviolenta. Il magistero della Chiesa ha già valutato positivo questo tipo di testimonianza sociale (“Non possiamo non lodare coloro che...” GS 79). Ma oggi, dopo che i laici cattolici hanno aperto novità sociali che rinnovano la società tutta, il magistero sostiene questa nuova legislazione e la promuove come quella più rispondente al rispetto della vita nel mondo e all’insegnamento cristiano? “… costruire strumenti efficaci per la soluzione dei conflitti internazionali alternativi alla guerra,… sembra essere questo il problema che la comunità internazionale deve ancora risolvere:.”(Centesimus annus 20) Può il magistero applicare alla difesa nazionale quanto affermato da Lei nel febbraio scorso a proposito della nonviolenza, o lo Stato italiano dovrà laicisticamente sopravanzare la Chiesa nell’applicare la nonviolenza alla struttura della società? Già da sei anni in Italia esistono corsi di laurea sulla Pace (Pisa e Firenze) dove si insegnano nonviolenza e difesa popolare nonviolenza. Non possono le tante università pontificie iniziare e sviluppare corsi analoghi per i tanti religiosi che certamente, quando si spargeranno nel mondo, avranno molto a che fare con la guerra e si chiederanno quale è al risposta nonviolenta?
Le beatitudini sono “la magna charta della nonviolenza cristiana, che non consiste nell’arrendersi al male – secondo una falsa interpretazione del "porgere l’altra guancia" (cfr Lc 6,29) – ma nel rispondere al male con il bene (cfr Rm 12,17-21), spezzando in tal modo la catena dell’ingiustizia. Si comprende allora che la nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità. L’amore al nemico costituisce il nucleo della "rivoluzione cristiana", una rivoluzione non basata su strategie di potere economico, politico o mediatico. La rivoluzione dell’amore, un amore che non poggia in definitiva sulle risorse umane, ma è dono di Dio che si ottiene confidando unicamente e senza riserve sulla sua bontà misericordiosa. Ecco la novità del Vangelo, che cambia il mondo senza far rumore. Ecco l’eroismo dei "piccoli", che credono nell’amore di Dio e lo diffondono anche a costo della vita.” (Angelus del 18/2/07)
Pace, Forza e Gioia nel Cristo Risorto
Antonino Drago

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