Lungo il muro. Pellegrini di giustizia
Difficile separare l’immagine del pellegrino da quella del viandante, così come il pellegrinaggio dal cammino, dalla strada, dall’andare. E in questo viaggio, questo muoversi, questo cercare, il percorso è importante tanto quanto la meta. Essere pellegrini in Terra Santa pare renderlo ancora più evidente: questi sono i luoghi in cui Gesù si è manifestato, ha vissuto, ha pronunciato parole di salvezza.
Andarvi significa provare a mettersi in ascolto di ciò che è stato, di ciò che nei secoli è stato custodito, distrutto e celebrato, ma anche della terra e delle persone che vi abitano oggi. Si¬gnifica accogliere l’idea che oltre alle pietre esistano “pietre vive” che coesistono, si so¬vrappongono, dialogano e si fanno guerra: popoli, persone, religioni, confessioni.
È un ginepraio difficile da districare – a partire dal territorio, palestinese e israeliano, i cui confini in continuo movimento si riducono per il primo e si dilatano per il secondo – in cui le contraddizioni acquistano tinte forti, molte delle conquiste che sentiamo care sembrano non avere cittadinanza (difficile dire, ad esempio, come si possa declinare l’idea di laicità dentro quella terra in cui tutto pare permeato dall’appartenenza religiosa) ed emerge un essenziale desiderio di esistere.
In questo viaggio ci si imbatte in una realtà di guerra: armi, carri armati, filo spinato, posti di blocco, militari ovunque. Ma soprattutto ci si imbatte nell’emblema di ciò che annulla ogni possibilità di incontro: il muro.
Otto metri di altezza frammezzati da telecamere, filo spinato e torrette di guardia, otto metri che, per centinaia di chilometri, dividono terre, persone, città, quartieri, famiglie, uomini dalla loro terra, dal loro lavoro, villaggi dalle fonti d’acqua, ortaggi dai mercati, studenti dalle scuole, malati dagli ospedali: almeno 30 le donne che a Qalqilyia, città palestinese circondata dal muro, non hanno potuto raggiungere l’ospedale partorendo al checkpoint.
Divide e nasconde, quasi che la propria paura legittimi a costruire una gabbia per un popolo intero, così da renderlo inesistente piuttosto che inoffensivo. Posto che a offendere possa essere un intero popolo.
Abbiamo voluto guardarlo questo muro, attraversarlo, guardarne la terra ferita – già 400.000 ulivi sono stati estirpati per costruirlo.
Dal 9 al 16 agosto Pax Christi ha promosso un “pellegrinaggio di giustizia” in Palestina: ecco alcune delle immagini e delle testimonianze che è stato possibile guardare e ascoltare.
Sommario:
Le ombre del muro
Non è solo un fatto fisico, ma una ferita psicologica, il limite doloroso dell’incapacità di vivere insieme in Terra Santa.
David M. Neuhaus
Una tomba che risuona
Il vescovo melchita di Nazareth: “Vivere insieme fra diversi non è una condanna ma un privilegio”.
Elias Chacour
Io scelgo gli ultimi
Essere presenze internazionali all’interno di un conflitto armato significa sperimentare la forza della nonviolenza.
Cristina Graziani e Riccardo Carraio
Vivere a Birem
Storia e vita di un villaggio come tanti in Palestina, nel quale i cittadini sono abusivi, i diritti negati, l’esodo forzato quotidiano.
Ryad
Una città dilaniata
Gerusalemme, città di pace, divisa da un muro e da una storia lunga e dolorosa che ora impedisce a coloro che la abitano di vivere serenamente.
Geries Khoury
Note
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