POLITICA

Un’arte nobile e difficile

Politica e antipolitica, democrazia e partecipazione: breve vocabolario per ripartire dalla Costituzione e ricostruire la cittadinanza attiva.
Sergio Paronetto

Non esiste l’“antipolitica”, che è sempre un modo di fare politica. In Italia è un fenomeno di lunga durata che ha assunto vari nomi: dannunzianesimo, futurismo, “sovversivismo delle classi dominanti”, qualunquismo, berlusconismo.
In ambito letterario sono state coniate immagini efficaci come “fattoria degli animali”, “grande fratello”. La definizione che spesso si usa è “populismo”, aperto a soluzioni riduttive o distruttive della democrazia. È anche per questo che sono nati “i regimi reazionari di massa” e che molte personalità della cultura hanno aderito a regimi totalitari di matrice fascista, nazista o stalinista.

Le forme dell’antipolitica

Oggi l’antipolitica, collegata alla distruzione dello stato di diritto, è una grande famiglia di forme antipolitiche che si sorreggono a vicenda. Parto dall’antipolitica “maggiore”: le organizzazioni mafiose (soprattutto la ‘ndrangheta); l’economia del crimine analizzata dal Financial Crimes Enforcement Networ; la “finanza nera” col circolo vizioso criminalità-traffico di droga e armi-riciclaggio del denaro sporco; l’ideologia totalitaria del “mercatismo” e delle guerre in nome dell’“esportazione” della democrazia; la

Ciò che conta non è fare tante cose ma fare delle “scelte radicali”: in primo luogo “la scelta della laicità” non come “spazio neutro” ma come vocazione, come dono, come missione; in secondo luogo, la revisione di certe logiche anticristiane: l’accumulo di ricchezze, l’avarizia, l’accaparramento, il consumo, la concorrenza sleale, la corsa ai posti migliori, la corruzione clientelare, il doppio o triplo stipendio, le raccomandazioni nei concorsi, tutti capisaldi attorno ai quali articolare quella revisione di vita che ridarà nuova forza profetica ai laici cristiani.
Don Tonino Bello
in Il vangelo del coraggio, San Paolo
guerra del terrorismo e il terrorismo della guerra (preventiva e nucleare); il terrorismo italiano neobrigatista, insurrezionalista; i comitati d’affari di molte compagini societarie e dei consigli d’amministrazione di grandi aziende pubbliche e private; le vecchie e nuove P2; le logge massoniche politiche; i paradisi fiscali; la pratica della corruzione, della raccomandazione e dell’evasione fiscale; il potere legato alle teorie dello “scontro di civiltà”; i vari filoni del fondamentalismo; la demagogia razzista che parla di guerra di liberazione (dalla democrazia), di fucili pronti a sparare, di maiali antislamici, del “vi bruceremo tutti” o di “morte agli zingari” in nome della “civiltà occidentale” o della “padania cristiana” o che si organizza per usare la fede cattolica come arma di offesa e di conquista.
C’è poi un’altra antipolitica “minore”che ha tante buone ragioni, ma spesso confusa e ambigua. Il “grillismo”, ad esempio, rappresenta un disagio reale, ma promuove un’agitazione distruttiva verso i partiti (terreno di coltura di qualunque dittatura), gli ‘indultati’ (per annullare la legge Gozzini), i rumeni (in nome dei “sacri confini”). L’urlo indifferenziato contro “la casta politica” non solo è ingiusto verso tanti politici onesti e laboriosi, ma rischia di coprire il vero pericolo di altre caste “primarie”, scambia gli effetti con le cause. Infine, il turpiloquio costante, il ‘vaffa’ urlato per sfogarsi e strappare applausi è un penoso insulto razzista, segno di omologazione alla volgarità diffusa, identico a quello leghista o neofascista.

La paura e il nemico

L’antipolitica “minore” è inefficace perché assomiglia a quella maggiore, riproduce la logica del personalismo e della demagogia. A volte si presenta come un moderno “santo uffizio”, lancia condanne contro tutto e tutti, generando rassegnazione e cinismo. Se le antipolitiche si assomigliano, si entra nel vortice dell’impoverimento civile, del populismo demagogico e dell’esibizionismo mediatico, che trasforma la politica in un nervoso avanspettacolo.
A chi giova la guerra di tutti contro tutti se non ai “padroni” dei centri di potere e delle oligarchie economiche che lavorano per lo scontro di inciviltà, per la limitazione dei diritti, per lo svuotamento della Costituzione?
È possibile essere radicali e alternativi senza vittimismi aggressivi, esorcismi verbali, turpiloquio permanente? È possibile superare o ridurre la logica del nemico? È possibile evitare il degrado senza degradarsi tutti? Contrastare la “barbarie” senza diventare “barbari”?
Per un operatore di pace, il fine presunto buono non può giustificare mezzi cattivi. La democrazia è nonviolenza in azione. È sempre un compito, un percorso, una realtà in divenire. Per fare questo, è bene non farsi rovinare dalle “litanie delle paure”, osservava nel 1988 don Tonino Bello.
Anche la birmana Aung San Suu Kyi, nel suo libro “Libera dalla paura” (1996), considera la paura una vera corruzione mentale e sociale. Essa, infatti, incattivisce tutti i rapporti e tutti i linguaggi, crea disperazione e cinismo anche nella ribellione, semplifica con violenza le soluzioni. L’hanno ribadito nei mesi scorsi a Milano più volte sia la Caritas che la diocesi quando hanno evidenziato la necessità di una politica sociale rivolta alla “sicurezza globale e umana”, sia il Coordinamento delle comunità di accoglienza col documento sulla sicurezza sociale nelle città.

La questione morale

La prima emergenza è quella della democrazia. Nel 2003, la rivista dei gesuiti “Jesus” ha parlato a lungo di “emergenza democrazia” identificata in cinque “punti di sofferenza”: il disprezzo della legalità, il rischio di un conflitto permanente tra istituzioni e società, la patologica concentrazione del potere mediatico in poche mani, l’eclissi del “ruolo europeista e pacifista” dell’Italia sulla scena internazionale, il dilagare della “religione del mercato”.
Oggi la sofferenza rischia di diventare patologia cronica. La nuova questione morale appare radicale e globale. Oggi più di ieri essa riguarda il cuore della politica, la sostanza della democrazia. Se il sistema legislativo stesso si orienta alla cura dell’interesse privato, la questione morale si installa nel midollo dello Stato. Oggi la situazione sembra peggiore di quella del 1992, sia perché il discredito coinvolge tutti i partiti (e parte della magistratura) sia perché l’interesse privato sembra dominare anche la società “incivile”, dove spiccano vaste zone di illegalità, di intolleranza, di nichilismo etico.
Il conflitto etico-culturale, infatti, non è tanto tra vertici e base, istituzioni e popolo ma è interno al popolo e alle istituzioni, è diffuso ovunque. Ha a che fare col “nichilismo” (perdita di senso etico e di spirito pubblico). Il compito di una politica nonviolenta è immenso perché si tratta di ricostruire il cervello etico politico dell’Italia devastata dalla logica del più forte, del più ricco, del più furbo.

Che pensare-fare?

L’azione nonviolenta punta sulla qualità del sistema democratico. Penso sia necessario percorrere tre strade: ripartire (dalla Costituzione), riattivare (la cittadinanza attiva), ricostruire (la politica).
Ripartire dalla Costituzione, riconfermata dal voto popolare del 2006, perché contiene principi “indisponibili” contro ogni “relativismo”. La Costituzione costituisce una bussola fondamentale per l’etica pubblica e per una civiltà del diritto. Frutto di un incontro tra culture diverse, essa è modello di convivenza

Ogni grande e generoso sentimento – la pace va ‘rapita’ come il Regno dei cieli – ha bisogno di profonde radici e di duri propositi, in cui l’azione profetica, che desta e mobilita le coscienze, anticipi le istanze che l’azione politica gradualmente e tempestivamente deve tramutare in impegno. L’azione profetica, che esplode da un’intima e incontenibile commozione e porta a una decisa rottura con qualche cosa che non si riesce più a far nostro nel senso umano e cristiano, non si organizza; si organizza, invece, l’azione politica, che si sforza di concretare in nuove strutture le anticipazioni del profeta. Però, dove la coscienza non si leva in piedi audacemente, pronta e decisa ad affrontare il rischio della pace, ogni tecnica politica è destinata all’insuccesso.
Primo Mazzolari in Tu non uccidere, 1955
sulla base di alcuni temi generatori: il diritto al lavoro e quindi la lotta alla precarietà, il riscatto dalla quale deve essere pagato da tutti (anche dagli imprenditori); la rimozione degli ostacoli che limitano lo sviluppo della persona; una cittadinanza quotidiana e planetaria basata sulla costruzione della pace che oggi può attivare una grande Campagna per il disarmo nucleare (“Un futuro senza atomiche”), per la difesa nonviolenta (“corpi di pace”), per la “sicurezza umana”, per la cooperazione in Italia, nel Medio Oriente, in Europa e nel mondo. Questa è la democrazia come “gloria del diritto” che difende soprattutto i più deboli e promuove un progetto di convivenza radicato nell’intreccio vitale di libertà, uguaglianza, fraternità.
Essere movimento di cittadinanza attiva. Ogni cittadino, secondo l’art. 49 della Costituzione, può “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Il “movimento dei movimenti” nella sua varietà operante è soggetto determinante di cittadinanza attiva che afferma in primo luogo il valore della persona umana e incarna la democrazia in azione.
Senza trasformarsi in partito, esso può diventare lievito profetico di ogni ambiente capace di tessere pace, etica, economia, politica, pedagogia e profezia.
Nel 2007, da Nairobi ad Assisi esso ha depositato semi e lanciato segnali. Quelli del Forum Sociale Mondiale e quelli della Tavola della pace con la marcia Perugia-Assisi del 7 ottobre idealmente collegata a Nairobi, col suo corposo programma “Le politiche di pace del governo Prodi” contenente proposte riguardanti: la cooperazione internazionale; Medio Oriente, Palestina-Israele, Libano, Iraq e Afghanistan...; la politica estera e di difesa, le basi nucleari, le spese militari e per armamenti, il commercio d’armi, l’industria bellica; l’ambiente e il clima; i diritti umani e l’educazione alla pace; l’informazione e la comunicazione; la lotta alle mafie; i migranti e il pluralismo culturale.
In tale ambito possono diventare buoni strumenti operativi sia il testo “La pace si fa a scuola” del 4 ottobre 2007, firmato dal ministro Fioroni e dal Sacro Convento di Assisi, sia l’argomentazione emersa al Corso di Studi della Cittadella di Assisi su “lo scandalo della mitezza”, dove il vescovo di Locri ha proposto un percorso di lotta nonviolenta contro le mafie.
È possibile ricostruire la politica sia aggregando forze in ambito politico (Partito Democratico, Sinistra Democratica, Lista Civile) sia, soprattutto, organizzando una società nonviolenta (Tavola della pace, Libera, Comunità libere della Calabria, Comunità di accoglienza, Campagne per il disarmo e un’economia di giustizia). È possibile vivere la pace come “cuore pensante” della politica. La politica può trovare nella pace il suo radicamento. L’azione per la pace può diventare politica come arte paziente di costruire la convivenza. Pace, politica e democrazia si sostengono e si rafforzano a vicenda. Operare per la pace significa dare sostanza alla democrazia come partecipazione, esercizio della sovranità civile, gestione dei conflitti, etica della liberazione.
In tal modo può riemergere la politica come “arte nobile e difficile” (Gaudium et spes 75); come “maniera esigente di vivere l’impegno cristiano a servizio degli altri” (Paolo VI); come “l’attività religiosa più alta dopo quella dell’unione intima con Dio. Perché è la guida dei popoli, una responsabilità immensa, un severissimo servizio” (La Pira); come passaggio “dalla profezia del gesto alla profezia della legge” per inaugurare “la stagione degli uomini liberi” (Tonino Bello, Ti voglio bene, La Meridiana, Molfetta 1994, p. 52).

Un nuovo inizio

Nella Chiesa si sta riparlando di dottrina sociale e di bene comune. C’è una riflessione sull’avidità di ricchezze come “idolatria”(il Papa a Velletri, Ravasi, Le porte del peccato) e sulla lotta alla criminalità (esortazione di Bagnasco). Il Papa a Loreto ha invitato i giovani a essere “vigilanti e critici”, a preferire “le vie alternative indicate dall’amore vero: uno stile di vita sobrio e solidale; relazioni affettive sincere e pure; un impegno onesto nello studio e nel lavoro; l’interesse profondo per il bene comune”.
È un appello alla liberazione dalle paure. Ci aiuta in questo cammino la testimonianza della Birmania. Essa incarna la nonviolenza come virtù pubblica e come progetto politico. Si collega alla forza della verità di Gandhi, al potere dell’amore di L. King, al perdono-ubuntu di Desmond Tutu, alla convivialità di Tonino Bello.
L’agire politico, animato dalla profezia della pace, può generare un nuovo inizio.

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