EDITORIALE

Pace per tutti i presepi

La redazione

“Grazie, Signore, nostra pace, che sei venuto sulla terra ‘a fare dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo’. Grazie perché quest’anno potremo costruirti la grotta del Natale con le pietre rotolate dal muro della vergogna. E con le cortine di ferro, che troppo a lungo hanno diviso popoli della stessa stirpe, recinteremo nei presepi campi di pastori sonnolenti. (…) Grazie perché con le promesse di arsenali che si svuoteranno adorneremo i pagliai della capanna, e con i lampi di bombe che non brilleranno più di luci sinistre accenderemo firmamenti di comunione”.
Don Tonino Bello scriveva queste parole nel Natale del 1989. Un Natale carico di speranza nuova ma non privo di nuvole che attraversavano l’orizzonte. Oggi, a distanza di 14 anni dagli avvenimenti a cui si fa riferimento è triste constatare che un altro muro viene innalzato e altre muraglie si erigono dentro la testa, i cuori, le coscienze della gente in Israele come in Italia, altri crepitii di mitraglia si odono al Sud e a Oriente. La guerra torna ad essere scolpita a caro prezzo nelle piaghe della terra da armamenti di nuova generazione in operazioni camuffate. La propaganda dice che sono guerre inevitabili, umanitarie, intelligenti, preventive, per la democrazia e la libertà dei popoli… ma la verità parla di ragioni economiche, di sfruttamento delle risorse, di controllo geopolitico, di strategie in vista di una ricomposizione dello scacchiere mondiale. Di fronte a tutto questo come davanti al terrorismo non possiamo rassegnarci. Al contrario pensiamo che il vagito del bambino di Betlemme e tutti i bimbi che vengono al mondo, ci obbligano a una responsabilità vitale di fronte al presente e al futuro dell’umanità.
Betlemme ci ricorda con tutta evidenza che Dio ha costruito il ponte più lungo che la storia conosca per incontrare e confondersi con gli abitanti di questo pianeta che continuiamo a descrivere come un villaggio globale.
Quel borgo della Galilea diventa monito affinché non dimentichiamo i luoghi remoti e apparentemente insignificanti per i grandi mezzi di comunicazione: anche quelle zolle di terra soffrono violenza e chiedono dignità.
La Palestina di ieri e di oggi chiede di non essere lasciata sola e di essere garantita da regole comuni in cui la solidarietà della comunità internazionale soccorra e promuova la pace e la convivenza.
La famiglia di Nazareth sussurra ad ogni famiglia di essere abitata dalla pace e di vivere la concordia fino a diventare vero e proprio laboratorio di riconciliazione.
Con questi sentimenti e propositi nei cuori, in ogni presepe e su ogni abete di Natale ci sia scritto PACE, come annuncio, dovere, impegno, monito, sfida. Siano i bambini a scriverlo con i colori dell’arcobaleno. Abbiamo tutti bisogno di disintossicare mente e cuori dai tentativi subdoli di camuffare la guerra con gli abiti della pace, di purificarci dai discorsi retorici sul patriottismo vestito in grigioverde e di distinguere le vittime dai martiri. Don Tonino conclude quella preghiera di Natale col cuore colmo di gratitudine: “Grazie perché i nostri occhi, rattristati per l’agonia lenta di tutti i Sud della terra, tornano a guardare a Oriente, da dove nasce il sole, e ne intravedono all’orizzonte i primi raggi di giustizia. Possiamo chiederti, Signore, che al più presto si costruisca finalmente un presepe coi reticolati ormai smessi dei campi profughi palestinesi o con gli abeti della Cambogia, con le mitragliere in disuso del Libano o con i bossoli disinnescati che devastano Timor? Non deluderci, Signore”.
La nonviolenza evangelica, annunciata agli Erode di tutti i tempi, è l’unico insegnamento di cui trasuda il Vangelo.
Incoraggiamo, pertanto la parola delle Chiese cristiane su queste strade perché al fanatismo distruttivo del terrorismo di matrice islamica si possa rispondere col linguaggio radicale del nazareno e non con gli strumenti del potere. Non solo i credenti ne hanno bisogno ma tutto il mondo mendica una parola di pace autentica, estranea ai calcoli delle convenienze politiche, smarcata dai compromessi di parte, che non giustifichi e non benedica la guerra in nome di Dio né i martiri in nome di Allah.
Mostreremmo di preferire un vicolo cieco ai sentieri di Isaia. Che la pace abbia lo stesso colore degli occhi del bambino di Betlemme.

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