La Giustizia nel Mondo
Per mettere in atto il Concilio Vaticano II, Paolo VI annuncia la regolare convocazione del sinodo dei vescovi. Il sinodo del 1971 produce un documento molto forte capace di sostenere l’azione attiva della Chiesa nei riguardi delle problematiche della giustizia e della pace a livello globale.
I vescovi cominciano con il riconoscere le strutture dell’ingiustizia nel mondo, e sottolineano la necessità di una conversione strutturale. Tale cambio deve incorporare il principio della giustizia nelle relazioni umane. La Chiesa, inoltre, deve affiancarsi ai poveri e oppressi per poter essere fedele al mandato del vangelo. L’esplicitazione della missione sociale della chiesa che trova la sua fondazione nel famoso paragrafo n. 6 del documento, bilancia definitivamente l’impegno della chiesa, non più vista come tutta impegnata per mondo ultraterreno.
Il sinodo affronta i punti critici del tempo: tecnologia, corsa alle armi, nazionalismo, divisioni razziali e di classe, istruzione, e la concentrazione della ricchezza del mondo nelle mani di pochi. La valutazione di tali fenomeni avviene alla luce di una teologia dell’incarnazione.
Il documento finisce con una nota di speranza. La creazione tutta geme e soffre nell’attesa della manifestazione della gloria dei figli di Dio. La radicale trasformazione del mondo, nella pasqua del Signore, dà pieno senso alla fatica umana tesa a ridurre l’ingiustizia, la violenza e l’odio, per progredire tutti insieme nella giustizia, nella libertà, nella fratel¬lanza e nell’amore.
INTRODUZIONE
1. Convenuti da ogni parte del mondo, in comunione con tutti i credenti in Cristo e con l’intera famiglia umana, ed aprendo il nostro cuore al soffio dello Spirito che tutto rinnova, noi ci siamo interrogati circa la missione che spetta al Popolo di Dio per la promozione della giustizia nel mondo.
2. Scrutando «i segni dei tempi» e cercando di scoprire il senso del divenire della storia, mentre partecipiamo alle aspirazioni e agli interrogativi di tutti quegli uomini che vogliono costruire un mondo più umano, intendiamo ascoltare la parola di Dio per convertirci all’adempimento del disegno divino per la salvezza del mondo.
3. Anche se non è nostro compito elaborare un’analisi approfondita della situazione nel mondo, abbiamo potuto cogliere, tuttavia, le gravi ingiustizie che intrecciano su questa terra degli uomini una rete di dominazioni, di oppressioni e di abusi, che soffocano la libertà e impediscono alla maggior parte del genere umano di partecipare all’edificazione e al godimento di un mondo più giusto e più fraterno.
4. Abbiamo, nel contempo, avvertito un intimo movimento che scuote il mondo fin dalle sue profondità. Ci sono - vogliamo dire - dei fatti che rappresentano un contributo per la promozione della giustizia. Si sviluppa nei raggruppamenti umani e tra gli stessi popoli una nuova consapevolezza che li scuote da un rassegnato fatalismo e li incita a volere la propria liberazione e la responsabilità del proprio destino. Si scoprono le aspirazioni degli uomini che esprimono la speranza di un mondo migliore e la volontà di cambiare tutto ciò che non si può ulteriormente tollerare.
5. Ascoltando il forte grido di coloro che soffrono violenza e sono conculcati da sistemi e da meccanismi ingiusti, e insieme l’appello del mondo che nella sua perversità contraddice al disegno del Creatore, ci siamo resi conto della vocazione della chiesa a esser presente nel cuore del mondo, predicando ai poveri la buona novella, agli oppressi la liberazione ed agli afflitti la gioia. Le speranze e gli impulsi, che scuotono profondamente il mondo, non sono alieni dal dinamismo del Vangelo, il quale, per virtù dello Spirito santo, libera gli uomini dal peccato personale e dalle sue conseguenze nella vita sociale.
6. L’incertezza della storia e le stesse convergenze, che pur fati¬cosamente sorgono lungo il cammino ascensionale della comunità umana, ci portano a rivolgerci alla storia sacra, nella quale Dio si è a noi rivelato, manifestandoci il suo disegno di liberazione e di salvezza nella sua progressiva attuazione e, una volta per sempre, compiutosi nella pasqua del Cristo. L’agire per la giustizia ed il partecipare alla trasformazione del mondo ci appaiono chia¬ramente come dimensione costitutiva della predicazione del Vangelo, cioè della missione della chiesa per la redenzione del genere umano e la liberazione da ogni stato di cose oppressivo.
I. LA GIUSTIZIA E LA SOCIETA’ MONDIALE
Crisi di solidarietà universale
7. Il mondo, nel quale la chiesa vive ed opera, è schiavo di un tremendo paradosso. Le forze, che lavorano per l’avvento di una società mondiale unificata, giammai erano apparse tanto potenti e dinamiche; esse si fondano sulla consapevolezza di una piena eguaglianza fondamentale, nonché della dignità umana di tutti gli uomini. Questi, essendo membri della medesima famiglia, sono indissolubilmente congiunti tra di loro nell’unico destino del mondo intero, alla cui responsabilità partecipano.
8. Le ultime possibilità offerte dalla tecnologia sono basate sull’unità della scienza, sulla globalità e simultaneità delle comunicazioni, sulla nascita di un «universo economico», completamente interdipendente. Gli uomini, inoltre, cominciano ad avvertire una nuova e più radicale dimensione dell’unità, scoprendo che le risorse, come i preziosissimi tesori dell’aria e dell’acqua, da cui la vita non può prescindere, e la piccola e fragile «biosfera» del complesso di tutti gli esseri che vivono sopra la terra, non sono illimitate, ma che, invece, devono essere conservate e preservate come un patrimonio unico di tutta l’umanità.
9. Il paradosso deriva dal fatto che, entro questa prospettiva di unità, le forze di divisione e gli antagonismi sembrano oggi aumentare la loro spinta. Le antiche divisioni tra nazioni e imperi, tra stirpi e classi possiedono ora nuovi strumenti tecnici di distruzione: la rapida corsa agli armamenti minaccia il sommo bene degli uomini, cioè la vita; immiserisce sempre più gli uomini e i popoli poveri, avvantaggiando soltanto quelli già potenti; ingenera un pericolo continuo di conflagrazione e, nel caso delle armi nucleari, minaccia di distruggere tutta la vita dalla faccia della terra. Nel medesimo tempo, sorgono nuove divisioni per separare l’uomo dal suo prossimo. Se non viene combattuto e superato mediante un’azione sociale e politica, l’influsso del nuovo ordinamento industriale e tecnologico non fa che favorire la concentrazione delle ricchezze, del potere, della capacità decisionale presso un piccolo gruppo, pubblico o privato, di dirigenti. L’ingiustizia economica e la mancanza di partecipazione sociale impediscono all’uomo il raggiungimento dei suoi fondamentali diritti umani e civili.
10. La speranza, che negli ultimi venticinque anni ha pervaso il genere umano - che cioè la crescita economica procurasse tanta quantità di beni da permettere che i poveri si alimentassero almeno con le briciole che cadono dalla mensa - si è dimostrata vana nelle regioni poco evolute e nelle sacche di miseria delle regioni ricche, a causa del rapido incremento della popolazione e dell’abbondanza di manodopera, a causa della stagnazione rurale e della mancata riforma agraria ed a causa del generale flusso migratorio verso le città, dove tuttavia le industrie, benché dotate di grandi capitali, forniscono ben pochi posti di lavoro, tanto che un quarto dei lavoratori non di rado rimane disoccupato. Questo stato di soffocante oppressione produce a ritmo costante schiere sempre più numerose di «emarginati», di uomini insufficientemente nutriti, abitanti in case disumane, analfabeti, privi di qualsiasi potere politico e della conveniente disposizione alla responsabilità e alla dignità morale.
11. Inoltre, la richiesta di risorse e di energia da parte delle nazioni più ricche - sia capitaliste che socialiste - è tale (al pari dell’inquinamento che dal loro uso risulta nell’atmosfera e nei mari) che gli elementi essenziali della vita sulla terra, quali sono l’aria e l’acqua, sarebbero irreparabilmente compromessi se gli alti tassi di consumo e di contaminazione, in continuo aumento, fossero estesi a tutta l’umanità.
12. Il forte impulso all’unità mondiale e la disparità di distribuzione, per cui le decisioni circa i tre quarti dei redditi, degli e del commercio sono affidate solo ad un terzo del genere umano, cioè a quella parte che gode di maggiore sviluppo - come anche l’insufficienza di un progresso puramente economico, proprio mentre si ha una nuova percezione dei limiti materiali della « biosfera » - ci spingono a renderci conto del fatto che, nel mondo moderno, stanno sorgendo nuove forme nel concepire la dignità umana.
Diritto allo sviluppo
13. Di fronte ai sistemi internazionali di dominio l’attuazione della giustizia viene sempre più a dipendere dalla volontà di promozione.
14. Nelle nazioni in via di sviluppo e nel cosiddetto mondo del socialismo, la volontà di promozione si afferma soprattutto attraverso la lotta per le forme di rivendicazione e di espressione, quale è determinata dall’evoluzione dello stesso sistema economico.
15. Questa aspirazione alla giustizia si afferma attraverso il supera¬mento della soglia da cui comincia la coscienza di « valere di più, essere di più » (cf. Pop. Progr. n. 15: AAS 59 [1967], p. 265), a livello sia dell’uomo nella sua interezza sia di tutti gli uomini: essa si esprime nella coscienza che si ha del diritto allo sviluppo. Questo diritto va considerato nella reciproca compenetrazione di¬namica di tutti quei diritti umani fondamentali, sui quali si basano le aspirazioni degli individui e delle nazioni.
16. Tale desiderio, però, non potrà soddisfare alle attese più vive del nostro tempo, se ignorerà gli ostacoli obiettivi che le strutture sociali frappongono alla conversione dei cuori, o anche all’attuazione dell’ideale della carità. Esso esige, al contrario, che sia superata la condizione generale di emarginazione sociale, che siano eliminate le strettoie o i circoli viziosi che sono ormai trasformati in sistemi. Essi, infatti, si oppongono all’ascesa collettiva ai frutti di un’adeguata remunerazione dei fattori della produzione, e rafforzano la condizione di diseguaglianza perché uno acceda alle possibilità e ai servizi collettivi, per cui gran parte degli abitanti ne è mantenuta estranea. Se le nazioni e le regioni che sono in via di sviluppo non giungono alla liberazione attraverso lo sviluppo, c’è davvero il pericolo che le condizioni di vita, create soprattutto dalla dominazione coloniale, possano evolvere verso una nuova forma di colonialismo, per la quale le nazioni in via di sviluppo resteranno vittime del gioco delle forze economiche internazionali. Un tale diritto allo sviluppo è, innanzitutto, un diritto alla speranza secondo la dimensione concreta, che offre oggi il genere umano. Per essere in grado di rispondere a questa speranza, sarebbe necessario purificare il concetto di evoluzione da quei miti e da quelle false convinzioni, che sono ancora insite in una certa struttura mentale, legata alla nozione deterministica e automatica del progresso.
17. Allorché prendono in mano il proprio futuro con questa volontà di promozione, i popoli in via di sviluppo - pur se non riescono ad arrivare al risultato finale - esprimeranno autenticamente la propria distinta personalità. E perché essi rispondano alle diseguali relazioni nell’ambito dell’odierno complesso mondiale, un certo nazionalismo responsabile conferisce loro l’impulso necessario perché raggiungano la propria identità. Da questa fondamentale autodeterminazione possono derivare i tentativi per l’integrazione dei nuovi complessi politici, i quali renderebbero possibile ai medesimi popoli il loro pieno sviluppo, e le misure necessarie per superare l’inerzia, che potrebbe rendere vano tale sforzo - come in certi casi la pressione demografica -, o anche nuovi sacrifici che l’incremento della pianificazione richiede a quella generazione che intende costruire il proprio futuro.
18. D’altra parte, non si può concepire una vera promozione senza riconoscere la necessità - nel quadro della politica prescelta - sia dello sviluppo, il quale risulta a un tempo dall’incremento economico e dalla partecipazione, sia dell’arricchimento, che implica anche il progresso sociale di tutta la comunità, la quale supera gli squilibri regionali e le zone isolate di floridezza. Questa stessa partecipazione, poi, costituisce un diritto che deve essere applicato tanto in campo economico, quanto in quello sociale e politico.
19. Mentre riaffermiamo il diritto dei popoli a conservare la propria identità, sempre più evidente ci appare l’assoluta inefficacia della lotta contro la modernizzazione come lesiva dell’indole propria delle nazioni, appellandosi unicamente alle sacre consuetudini storiche e alle venerande forme di vita. Orbene, se la modernizzazione si interpreta nel senso che sia a servizio del bene della nazione, gli uomini potranno creare una cultura che costituirà una vera e propria eredità quasi come una vera « memoria sociale », che è attiva e plasma un’autentica personalità creatrice nel concerto delle nazioni.
Ingiustizie senza voce
20. Noi riscontriamo nel mondo un complesso di ingiustizie, le quali costituiscono il nocciolo dei problemi del nostro tempo e la cui soluzione richiede fatiche e responsabilità in tutti i livelli della società, anche in quelli che si riferiscono alla società mondiale, verso la quale tendiamo in quest’ultima quarta parte del secolo XX. Pertanto, dobbiamo essere preparati ad assumerci nuovi impegni e nuovi compiti in ogni campo dell’attività umana e, particolarmente, nell’ambito della società mondiale, se veramente vogliamo praticare la giustizia. La nostra azione deve essere anzitutto diretta a quegli uomini e nazioni che, a causa delle varie forme di oppressione e dell’attuale indole della nostra società, sono vittime silenziose dell’ingiustizia, anzi non hanno modo di far sentire la loro voce.
21. E’ questo, ad esempio, il caso degli emigranti, che spesso sono costretti a lasciare la patria per cercare lavoro, ma davanti ai quali tante volte si chiudono le porte per motivi discriminatori, oppure, se viene aperta loro una porta, sano spesso obbligati a condurre una vita malsicura o sono trattati in modo disumano. Lo stesso avviene anche quando si tratta di ceti che hanno minor fortuna nella promozione sociale, come quello dei lavoratori e specialmente degli agricoltori, che rappresentano la parte più grande nel processo dell’evoluzione.
22. Si deve deplorare, in particolar modo, la condizione di migliaia e migliaia dì profughi, e dì qualsiasi ceto o popolo che è perseguitato - talvolta in forma istituzionalizzata - per la sua origine razziale o etnica oppure per ragioni tribali. Questa persecuzione per ragioni tribali può assumere, alcune volte, le caratteristiche di un genocidio.
23. In molte regioni la giustizia viene lesa molto gravemente nei riguardi di coloro che soffrono persecuzione per la fede, oppure sono sottoposti in molti modi e continuamente ad un’azione di oppressiva ateizzazione da parte delle fazioni politiche e dei pubblici poteri, oppure sono privati della libertà religiosa: sia perché non viene loro permesso di onorare Dio con culto pubblico, sia perché è loro proibito di insegnare e propagare pubblicamente la fede, sia perché si vieta loro di svolgere attività temporali in conformità ai principi della propria religione.
24. La giustizia é violata anche dalle antiche e nuove forme di oppressione, che derivano dalle limitazioni dei diritti individuali tanto nella repressione ad opera del potere politico, quanto nella violenza di una privata reazione, fino all’estremo limite delle condizioni elementari dell’integrità personale. Conosciamo molto bene i casi di tortura - specialmente contro i prigionieri politici - a cui, per di più, molte volte è negato un processo regolare o che sono sottoposti ad arbitrii durante il giudizio. Né sono da dimen¬ticare i prigionieri di guerra, i quali, anche dopo la convenzione di Ginevra, sono trattati in forma disumana.
25. La contestazione contro l’aborto legale, contro l’imposizione di mezzi anticoncezionali e le pressioni contro la guerra sono forme significative della rivendicazione del diritto alla vita.
26. Inoltre, la coscienza del nostro tempo esige la verità nei sistemi di comunicazione sociale, il che include anche il diritto all’immagine oggettiva, che gli stessi mass-media ci offrono, e la possibilità di correggerne la manipolazione. Si deve pure sottolineare che il diritto, soprattutto dei fanciulli e dei giovani, all’educazione, all’ambiente di vita e ai mezzi di comunicazione moralmente sani, ai nostri giorni è nuovamente messo in pericolo. L’azione delle famiglie nella vita sociale raramente e in forma insufficiente è riconosciuta dalle istituzioni statali. Né si deve dimenticare il numero crescente delle persone che spesso vengono trascurate dalla famiglia e dalla comunità: ì vecchi, gli orfani, gli ammalati e ogni altro genere di derelitti.
Necessità del dialogo
27. Per raggiungere la vera unità di intenti, richiesta dalla società umana mondiale, appare necessaria l’opera cosiddetta « di mediazione » per superare le continue opposizioni, gli ostacoli e i privilegi inveterati che si incontrano nel cammino verso una società più umana.
28. Ma una mediazione effettiva porta con sé la creazione di una duratura atmosfera di dialogo, nella cui progressiva instaurazione possano ritrovarsi gli uomini non costretti da condizioni geopolitiche, ideologiche, socio-economiche, e dalle differenze che esistono di solito tra le singole generazioni. Per restituire il senso della vita attraverso l’adesione ai suoi autentici valori, la partecipazione e la testimonianza dei giovani che ascendono sono tanto necessarie quanto la comunicazione tra i popoli.
II. IL MESSAGGIO EVANGELICO E LA MISSIONE DELLA CHIESA
29. Dinanzi a questa situazione del mondo moderno, contrassegnato dal gran peccato dell’ingiustizia, noi avvertiamo la nostra responsabilità nei suoi confronti, nonché l’impotenza dì poterla superare con le nostre forze. Una tale situazione ci sollecita ad ascoltare, con cuore umile e aperto, la parola di Dio, il quale ci indica nuove strade per operare in favore della giustizia nel mondo.
La giustizia salvatrice di Dio per mezzo di Cristo
30. Nell’antico Testamento, Dio ci rivela se stesso come liberatore degli oppressi e difensore dei poveri, il quale esige dagli uomini la fede in lui e la giustizia verso il prossimo. Soltanto con l’osservanza dei doveri di giustizia si riconosce veramente Dio come liberatore degli oppressi.
31. Attraverso la sua azione ed il suo insegnamento Cristo ha unito, in forma indissolubile, il rapporto dell’uomo con Dio e il suo rapporto con gli altri uomini. Cristo ha vissuto la sua vita nel mondo come una totale donazione di se stesso a Dio per la salvezza e per la liberazione degli uomini. Con la sua predicazione, egli ha proclamato la paternità di Dio verso tutti gli uomini e l’intervento della divina giustizia in favore dei bisognosi e degli oppressi (cf. Lc 6,21-23). Cristo si è reso fino a tal punto solidale con questi suoi « fratelli più piccoli » da affermare: Quel che voi avete fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me (Mt 25,40).
32. Fin dalla sua origine, la chiesa ha vissuto e inteso l’evento della morte e della resurrezione di Cristo come la vocazione di Dio alla conversione verso la fede di Cristo e l’amore fraterno, amore che trova il suo adempimento nell’aiuto reciproco estendentesi fino alla comunione volontaria dei beni materiali.
33. La fede in Cristo, Figlio di Dio e redentore, e l’amore del prossimo costituiscono un tema fondamentale degli scritti del nuovo Testamento. Secondo il pensiero di san Paolo, tutta quanta l’esistenza cristiana si riassume nella fede, la quale realizza quell’amore e quel servizio del prossimo che comprende l’esecuzione dei doveri di giustizia. Il cristiano vive sotto la legge della libertà interiore, ossia nella vocazione permanente alla conversione del cuore tanto dalla sua autosufficienza di uomo verso la fiducia in Dio, quanto dal suo proprio egoismo verso l’amore sincero del prossimo. E’ così che si verifica la sua autentica liberazione e la donazione di sé per la liberazione degli uomini.
34. Perciò, in base al messaggio cristiano, l’atteggiamento dell’uo¬mo verso gli altri uomini viene a integrarsi col suo stesso atteggiamento verso Dio; la sua risposta all’amore di Dio, che ci salva per mezzo di Cristo, si rivela come efficace nell’amore e nel servizio degli uomini. Ma l’amore cristiano del prossimo e la giustizia non possono essere separate tra loro. L’amore, infatti, implica un’assoluta esigenza di giustizia, ossia il riconoscimento della dignità e dei diritti del prossimo; la giustizia, a sua volta, raggiunge la sua interiore pienezza unicamente nell’amore. E poiché ogni uomo è in realtà immagine visibile dell’invisibile Dio ed è fratello di Cristo, appunto per questo il cristiano trova in ogni uomo Dio stesso e quell’assoluta esigenza di giustizia e di amore, che è propria di Dio.
35. L’odierna situazione del mondo, vista alla luce della fede, ci chiama a ritornare all’essenza stessa del messaggio cristiano, creando in noi l’intima coscienza del suo vero significato e delle sue urgenti esigenze. La missione di predicare il vangelo, ai nostri giorni richiede che ci impegniamo per la totale liberazione dell’uomo già nella sua esistenza terrena. Difatti, se il messaggio cristiano intorno all’amore e alla giustizia non dimostra la sua efficacia nell’azione a favore della giustizia nel mondo, più difficilmente esso acquisterà credibilità presso gli uomini del nostro tempo.
La missione della chiesa, della gerarchia e dei cristiani
36. La chiesa ha ricevuto da Cristo la missione di predicare il messaggio evangelico, che contiene la chiamata dell’uomo alla conversione dal peccato all’amore del Padre, e la fraternità universale e, perciò, l’esigenza della giustizia nel mondo. È questa la ragione per la quale la chiesa ha il diritto, anzi, anche il dovere, di proclamare la giustizia nel campo sociale, nazionale e internazionale, nonché quello di «denunciare» le situazioni di ingiustizia, allorché i diritti fondamentali dell’uomo e la sua stessa salvezza lo richiedono. La chiesa non è la sola responsabile della giustizia nel mondo: essa ha, tuttavia, una propria e specifica responsabilità, che si identifica con la sua missione di dare di fronte al mondo testimonianza dell’esigenza di amore e di giustizia, quale è contenuta nel messaggio evangelico, testimonianza che deve, poi, trovare puntuale riscontro nelle stesse istituzioni ecclesiali e nella vita dei cristiani.
37. Di per sé, non spetta alla chiesa, in quanto comunità religiosa e gerarchica, fornire soluzioni concrete in campo sociale, economico e politico per la causa della giustizia nel mondo. La sua missione, però, porta con sé la difesa e la promozione della dignità e dei diritti fondamentali della persona umana.
38. I membri della chiesa, in quanto membri della società civile, hanno il diritto e il dovere di perseguire, al pari degli altri cittadini, il bene comune. I cristiani devono adempiere con fedeltà e competenza le loro funzioni di ordine temporale. Essi devono operare, come un fermento del mondo, nella vita familiare, professionale, sociale, culturale e politica. Sta a loro assumersi in tutto questo dominio la propria responsabilità, seguendo come guida lo spirito del vangelo e la dottrina della chiesa. In tal modo, rendono testimonianza della potenza dello Spirito santo con la loro azione a servizio degli uomini in tutto quello che decide della esistenza e del futuro dell’umanità. E mentre attendono a quelle attività, essi operano in linea generale per iniziativa loro propria, senza coinvolgere la responsabilità della gerarchia ecclesiastica; tuttavia, in qualche modo impegnano la responsabilità della chiesa, essendo suoi membri.
III. L’ATTUAZIONE DELLA GIUSTIZIA
La testimonianza della chiesa
39. Molti cristiani sono portati a vere « affermazioni » di giustizia attraverso modi diversi di azione per la giustizia, ispirata dalla carità secondo la grazia che hanno ricevuto da Dio. Per alcuni di loro tale azione si verifica nell’ambito dei conflitti sociali e politici, nei quali i cristiani rendono testimonianza al Vangelo. dimostrando che nella storia esistono fonti di sviluppo diverse dalla lotta, cioè l’amore e il diritto. Questa proprietà dell’amore nella storia conduce altri cristiani a preferire la via della azione non violenta e l’azione nei confronti della pubblica opinione.
40. Se la chiesa deve rendere testimonianza alla giustizia, essa riconosce che chiunque ha il coraggio di parlare della giustizia agli uomini, deve lui per primo esser giusto ai loro stessi occhi. È quindi necessario che noi stessi facciamo un esame circa il modo di agire, i beni posseduti e lo stile di vita, che si hanno all’interno stesso della chiesa.
41. Devono essere rispettati i diritti in seno alla chiesa. Di conseguenza, qualunque sia il modo con cui uno è associato alla chiesa, non per questo dev’essere privato dei diritti, che abitualmente gli spettano. Coloro che servono la chiesa con il proprio lavoro - non eccettuati i presbiteri e i religiosi - devono ricevere i mezzi sufficienti per il proprio sostentamento ed usufruire di quelle assicurazioni sociali, che esistono in ciascuna regione. Ai laici devono essere assegnati un equo stipendio e una conveniente promozione. Rinnoviamo il voto che siano i laici a svolgere le principali funzioni per quanto attiene alle proprietà della chiesa, e abbiano parte nell’amministrazione dei suoi beni.
42. Vogliamo anche che le donne abbiano la propria parte di responsabilità e di partecipazione nella vita comunitaria della società e anche della chiesa.
43. Noi proponiamo che questo argomento venga sottoposto a profondo esame, con mezzi adeguati, per es. ad opera di una commissione mista composta di uomini e donne, di religiosi e laici, di diverse condizioni e competenze.
44. A tutti la chiesa riconosce il diritto a una conveniente libertà di espressione e di idee, il che include anche il diritto che ciascuno sia ascoltato nello spirito di dialogo, il quale mantiene una legittima diversità nella chiesa.
45. La procedura giudiziaria deve concedere all’imputato il diritto di conoscere i suoi accusatori, come anche il diritto di un’adeguata difesa. Per esser completa, la giustizia deve includere la rapidità del processo. Il che è richiesto, in particolar modo, nelle cause matrimoniali.
46. Infine, i membri della chiesa devono avere una qualche parte¬cipazione nella preparazione delle decisioni, secondo le norme date dal concilio Vaticano il e dalla Santa Sede, ad esempio per quanto riguarda la costituzione dei consigli a tutti i loro livelli.
47. Per quanto si riferisce alle cose temporali, qualunque sia il loro uso, non si deve mai giungere a un punto tale da rendere ambigua la testimonianza evangelica, che la chiesa deve rendere. La conservazione di alcune posizioni di privilegio dovrebbe essere costantemente sottoposta al criterio di questo principio. E benché in generale sia difficile stabilire un limite tra ciò che è necessario per il retto uso e ciò che è richiesto dalla testimonianza profetica, non c’è dubbio, però, che si debba ritenere fermamente il principio: la nostra fede esige da noi una certa parsimonia nell’uso delle cose, e la chiesa è tenuta a vivere e ad amministrare i propri beni in modo da annunciare il vangelo ai poveri. Se, al contrario, la chiesa si presenta come uno dei ricchi o dei potenti di questo mondo, risulta diminuita la sua credibilità.
48. Il nostro esame di coscienza deve raggiungere quello che è lo stile di vita di tutti: vescovi, presbiteri, religiosi, religiose e laici. In mezzo ai popoli bisognosi, ci si deve domandare se il fatto dell’appartenenza alla chiesa non introduca, nel contesto generale di un ambiente povero, in un’isola di agiatezza. Nelle società a più alto consumo, ci si dovrà chiedere se il proprio stile di vita dia realmente l’esempio di quella parsimonia riguardo al consumo, che noi predichiamo agli altri come necessaria per sostentare tante migliaia di affamati in tutto quanto il mondo.
L’educazione alla giustizia
49. La vita quotidiana del cristiano, operando come un fermento evangelico nella famiglia, nella scuola, nel lavoro, nella vita sociale e civile, è il contributo specifico che i fedeli portano alla giustizia, a cui, però, si aggiungono le prospettive e il significato che essi possono dare agli sforzi umani. Pertanto, il metodo di educazione deve essere tale da insegnare agli uomini a condurre una vita nella sua realtà globale e secondo i principi evangelici della morale personale e insieme sociale, che si esprima in una vitale testimonianza cristiana.
50. Sono, infatti, evidenti gli impedimenti a quel progresso, che vivamente auspichiamo per noi stessi e per gli uomini. La forma di educazione, che per lo più è ancora in vigore ai nostri giorni, favorisce un gretto individualismo. Una parte dell’umana famiglia vive come immersa in una mentalità che esalta il possesso. La scuola e i mezzi di comunicazione sociale, spesso ostacolati dall’ordine stabilito, permettono di formare unicamente l’uomo come l’ordine stesso lo vuole, fatto cioè a sua immagine; non un uomo nuovo, bensì la riproduzione dell’uomo così com’è.
51. Questa educazione, poi, esige il rinnovamento del cuore, basato sulla conoscenza del peccato nelle sue manifestazioni individuali e sociali. Essa suggerirà anche una forma autenticamente e integralmente umana di vivere nella giustizia, nella carità, nella semplicità. Susciterà, parimenti, la facoltà critica che porta a riflettere intorno alla società, nella quale viviamo, e ai suoi valori, preparando gli uomini ad abbandonare definitivamente quegli stessi valori quando cessano di essere utili a tutti gli uomini. Lo scopo principale di tale educazione alla giustizia, per le nazioni in via di sviluppo, consiste nel tentativo di scuotere la coscienza, onde si renda conto della concreta situazione, e nell’invito a con¬seguire un miglioramento totale; elementi, questi, da cui appunto comincia la trasformazione del mondo.
52. Questa educazione, in quanto capace di render tutti profondamente più umani, aiuterà gli uomini nel futuro a non rimanere oggetto di manipolazione né ad opera dei mezzi di comunicazione sociale, né ad opera delle forze politiche; al contrario, servirà a renderli idonei a regolare il loro proprio destino ed a formare delle comunità autenticamente umane.
53. Pertanto, tale educazione giustamente è detta permanente, in quanto si riferisce a tutti gli uomini ed a tutte le età. Essa è anche pratica, perché avviene mediante l’azione e la partecipazione, nonché il contatto vitale con le realtà stesse dell’ingiustizia.
54. La prima educazione alla giustizia avviene, anzitutto, nella fa¬miglia. Sappiamo bene che a questo contribuiscono non solo le istituzioni ecclesiastiche, ma anche le altre scuole, i sindacati e i partiti politici.
55. Il contenuto di questa educazione necessariamente comporta il rispetto della persona umana e della sua dignità. Poiché qui si parla della giustizia mondiale, prima di tutto si dovrà seriamente affermare l’unità dell’umana famiglia, in seno alla quale, secondo la disposizione divina, l’uomo nasce. Segno di questa solidarietà per i cristiani dovrà essere il fatto che tutti gli uomini sono desti¬nati a diventare, in Cristo, partecipi della natura divina.
56. I principi fondamentali, mediante i quali l’influsso evangelico ha operato nella vita sociale contemporanea, si trovano in quella sintesi organica di dottrina, che è stata proposta, in forma graduale e opportuna, dalla enciclica Rerum Novarum fino all’epistola apostolica Octogesima Adveniens. Con la costituzione del concilio Vaticano II Gaudium et Spes, la chiesa ha meglio compreso, come mai prima, quale sia la sua posizione nel mondo contemporaneo, nel quale il cristiano, praticando la giustizia, lavora per la propria salvezza. L’enciclica Pacem in Terris ci ha offerto la magna charta dei diritti dell’uomo. La giustizia internazionale nell’enciclica Mater et Magistra comincia a occupare il primo posto e, mentre nella Populorum Progressio si esprime più compiutamente in forma di un vero e proprio trattato del diritto allo sviluppo, nella Octogesima Adveniens si risolve in un complesso di elementi che riguardano l’azione politica.
57. Come l’Apostolo, noi esortiamo in forma opportuna e importuna, perché il verbo di Dio sia presente al centro delle situazioni umane. I nostri interventi intendono esprimere quella fede che oggi impegna la nostra vita e quella di tutti i cristiani. È nostro vivo desiderio che tali interventi siano sempre conformi alle circostanze di tempo e di luogo. La nostra missione ci impone il dovere di denunciare coraggiosamente le ingiustizie con carità, prudenza e fermezza, in un dialogo sincero con tutte le parti interessate. Sappiamo, infatti, che le nostre denunce potranno ottenere consenso solo nella misura in cui saranno coerenti con la nostra vita e si manifesteranno in un’azione costante.
58. La liturgia, la quale è il cuore della vita della chiesa e alla quale noi presiediamo, può essere di grande aiuto nell’educazione alla giustizia. Essa, infatti, è azione di grazie al Padre in Cristo, esprimendo al vivo, nella sua forma comunitaria, i vincoli della nostra fraternità e richiamandoci incessantemente la missione della chiesa. La liturgia della Parola, la catechesi, la celebrazione dei sacramenti ci aiutano molto a riscoprire la dottrina dei profeti, del Signore e degli apostoli riguardo alla giustizia. La preparazione al battesimo è l’inizio stesso della formazione di una coscienza cristiana. La prassi della penitenza deve render manifesta la dimensione sociale del peccato e del sacramento.
L’eucaristia, infine, costituisce la comunità e la pone al servizio degli uomini.
Cooperazione tra le chiese locali
59. Per essere veramente il segno della solidarietà quale la famiglia delle nazioni desidera, la chiesa deve dimostrare, nella sua propria vita, una maggiore cooperazione tra le chiese delle nazioni più ricche e quelle delle nazioni povere nella comunione spirituale e nella ripartizione delle risorse umane e materiali. Le presenti generose disposizioni all’aiuto reciproco tra le chiese potrebbero riuscire più efficaci attraverso un’effettiva coordinazione (Sacra Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli e pontificio consiglio « Cor Unum »), attraverso una prospettiva unitaria nell’amministrazione comune dei doni di Dio, attraverso una fraterna solidarietà che favorisca sempre l’autonomia e la responsabilità dei beneficiari in ordine sia alla determinazione dei criteri, sia alla scelta di obiettivi concreti e alla loro attuazione.
60. Una tale programmazione non deve esser per nulla limitata agli obiettivi economici, ma deve, al contrario, stimolare le iniziative atte a promuovere quella formazione umana e spirituale, che garantisca il fermento necessario per lo sviluppo integrale dell’uomo.
Collaborazione ecumenica
61. Ben consapevoli di tutto quanto è stato già fatto in questo campo, noi raccomandiamo sommamente, in adesione al concilio ecumenico Vaticano II, la cooperazione con i fratelli da noi separati per promuovere la pace nel mondo, per realizzare lo sviluppo dei popoli e per fondare stabilmente la pace. Questa cooperazione riguarda, innanzitutto, le attività a tutela della dignità dell’uomo e dei suoi diritti fondamentali, in particolare del diritto alla libertà religiosa; poi il comune sforzo contro le discriminazioni fon¬date sulla differenza di religione, di stirpe e di colore, di cultura, ecc. La collaborazione si estende, altresì, allo studio della dottrina del Vangelo, in quanto tale dottrina ha rapporto con tutta l’attività cristiana. Il segretariato per l’unione dei cristiani e la pontificia commissione «Iustitia et Pax» si sforzino, in comune intesa, di promuovere in maniera efficace una tale collaborazione ecumenica.
62. Animati da questo stesso spirito, raccomandiamo parimenti la collaborazione con tutti coloro che credono in Dio nel promuovere la giustizia sociale, la pace e la libertà; anzi, anche con quelli che, seppure non riconoscono l’autore del mondo, tuttavia hanno stima dei valori umani e ricercano sinceramente e con mezzi onesti la giustizia.
Azione internazionale
63. Poiché il sinodo riveste carattere universale, esso tratta di quelle questioni di giustizia che toccano direttamente tutta quanta la famiglia umana. Perciò, mentre riconosciamo l’importanza della cooperazione internazionale in ordine al progresso socio-economico, noi elogiamo prima di tutto l’opera inestimabile che hanno svolto, tra i popoli più poveri, le chiese locali, i missionari e gli organismi che li appoggiano; intendiamo, altresì, favorire quelle iniziative e istituzioni che lavorano per la pace, per la giustizia internazionale e per lo sviluppo dell’uomo. Esortiamo, pertanto, i cattolici a considerar bene le seguenti enunciazioni:
64. - 1. Sia riconosciuto che l’ordine internazionale è radicato sui diritti e sulla dignità inammissibile dell’uomo. La Dichiarazione dei diritti dell’uomo, fatta dalle Nazioni Unite, sia ratificata da tutti quei governi, che non hanno ancora aderito a tale convenzione, e sia integralmente rispettata da tutti.
65. - 2. Le Nazioni Unite - che in ragione del proprio fine devono promuovere la partecipazione di tutte le nazioni - e gli organismi internazionali siano sostenuti, in quanto costituiscono una prima forma di sistema avente una certa capacità di frenare la corsa agli armamenti, di dissuadere il traffico delle armi, di favorire il disarmo, di risolvere i conflitti con i mezzi pacifici dell’azione legale, dell’arbitrato e della polizia internazionale. È assolutamente necessario che i conflitti tra le nazioni non siano risolti attraverso la guerra, ma siano trovate per essi altre soluzioni che siano con¬formi alla natura umana. Deve essere, inoltre, favorita la strategia della nonviolenza, e le singole nazioni devono riconoscere e regolare mediante le leggi l’obiezione di coscienza.
66. - 3. Siano favoriti gli scopi del secondo decennio di sviluppo, tra i quali il trasferimento di una determinata percentuale del reddito annuale delle nazioni più ricche alle nazioni in via di sviluppo, la fissazione di prezzi più equi per le materie prime, l’apertura dei mercati delle nazioni più ricche e, in alcuni settori, un trattamento preferenziale per l’esportazione dei prodotti manufatti dalle nazioni in via di sviluppo; si tratta, infatti, dei primi lineamenti di una contribuzione progressiva e, insieme, di una prospettiva economica e sociale per tutto quanto il mondo. Non possiamo che rammaricarci ogni volta che le nazioni più ricche si chiudono dinanzi a questa ideale finalità di ripartizione e di responsabilità mondiale. Vogliamo sperare che una simile flessione della solidarietà internazionale non toglierà, in nessun caso, valore alle discussioni di carattere commerciale, che sta preparando la Conferenza della Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo (UNCTAD).
67. - 4. Il concentramento del potere, che consiste in un quasi totale dominio economico della ricerca e dell’investimento, dei trasporti per via mare e delle assicurazioni, deve essere progressiva¬mente equilibrato attraverso disposizioni istituzionali, che rafforzino l’autorità e le possibilità in ordine alla decisione responsabile delle nazioni in via di sviluppo e attraverso la piena e pari partecipazione nelle organizzazioni internazionali, che operano nel campo dello sviluppo. La recente loro esclusione, di fatto, dalle discussioni circa il commercio mondiale e anche le disposizioni monetarie, le quali incidono in maniera vitale sulla loro sorte, costituiscono un esempio di mancanza di potere, che non può essere ammesso in un ordine mondiale giusto e responsabile.
68. - 5. Pur riconoscendo che gli organismi internazionali possono perfezionarsi e rafforzarsi, al pari di un qualunque altro strumento umano, vogliamo anche sottolineare l’importanza degli organismi specializzati delle Nazioni Unite, in particolare di quelli che direttamente si occupano delle questioni immediate e più acute della povertà mondiale, nel campo della riforma agraria e dello sviluppo dell’agricoltura, della sanità, dell’educazione, dei posti di lavoro, dell’abitazione e dell’urbanizzazione esplosiva. In modo speciale ci sembra che debba essere indicata la necessità di un fondo comune, atto a procurare gli alimenti sufficienti e le proteine per il pieno sviluppo psichico e fisico dell’infanzia. Dinanzi all’esplosione demografica noi rammentiamo le parole con le quali il sommo pontefice Paolo VI ha definito i doveri dei pubblici poteri nella lettera enciclica Populorum Progressio: «è certo che i poteri pubblici, nell’ambito della loro competenza, possono intervenire, mediante la diffusione di una appropriata infor¬mazione e l’adozione di misure adeguate, purché siano conformi alle esigenze della legge morale e rispettose della giusta libertà della coppia» (n. 37: AAS 59 [1967]), p. 276).
69. - 6. I governi continuino a versare i loro speciali contributi al «fondo» in favore dello sviluppo, ma ricerchino anche il modo per cui la massima parte dei loro sforzi segua vie multilaterali, rispettando pienamente la responsabilità delle nazioni in via di sviluppo, le quali debbono essere associate alle decisioni da prendere circa la priorità e gli investimenti del denaro.
70. - 7. Ci sembra, inoltre, degno di essere sottolineato l’oggetto di una nuova preoccupazione mondiale, di cui si tratterà per la prima volta nella Conferenza sull’Ambiente Umano, che avrà luogo a Stoccolma nel giugno del 1972. Non è chiaro in qual modo le nazioni più ricche possano sostenere la pretesa di aumentare le proprie rivendicazioni materiali, se per le altre ne deriva la conseguenza o di rimanere nella miseria, o di correr pericolo di distruggere gli stessi fondamenti fisici della vita nel mondo. Coloro che già sono ricchi, son tenuti a far proprio uno stile di vita meno materiale, con minore sperpero, in modo da evitare la distruzione di quel patrimonio, nel quale essi debbono aver parte, in assoluta giustizia, insieme con tutti gli altri membri del genere umano.
71. - 8. Perché il diritto allo sviluppo abbia effettiva attuazione, è necessario che:
a) i popoli non siano impediti dal conseguire lo sviluppo secondo gli elementi culturali, ad essi propri;
b) attraverso la mutua cooperazione tutti i popoli possano divenire i -principali artefici del proprio sviluppo economico e sociale;
c) ogni popolo, come membro attivo e responsabile della società umana, possa cooperare al conseguimento del bene comune con diritto pari agli altri popoli.
Adempimento dei voti del sinodo
72. L’esame di coscienza, che noi tutti insieme abbiamo fatto, e che tocca la missione della chiesa nell’azione in favore della giustizia, rimarrà inefficace se non s’incarnerà nella vita delle nostre chiese locali, a tutti i loro livelli. Noi preghiamo le conferenze episcopali perché anch’esse continuino a seguire con costanza le prospettive che abbiamo esaminato durante i giorni di questa assemblea, e mettano in pratica ciò che abbiamo raccomandato, ad esempio l’istituzione di centri di ricerca sociale-teologica.
73. Preghiamo, inoltre, che alla pontificia commissione «Iustitia et Pax», d’intesa col consiglio della segreteria del sinodo e con le autorità competenti, siano raccomandate la descrizione, la valutazione e lo studio approfondito dei voti e dei desiderata di questa nostra assemblea, in modo che ciò che noi abbiamo comin¬ciato si traduca felicemente in pratica.
IV. UNA PAROLA DI SPERANZA
74. La potenza dello Spirito, che ha risuscitato Cristo dai morti, opera di continuo nel mondo. Il popolo di Dio è presente ininterrottamente, attraverso i figli generosi della chiesa, in mezzo ai poveri e fra coloro che soffrono l’oppressione e la persecuzione, poiché vive nella propria carne e nel proprio cuore la passione di Cristo e rende testimonianza alla sua resurrezione.
75. La creazione tutta, infatti, geme ancora e soffre nell’attesa ansiosa della manifestazione della gloria dei figli di Dio (cf. Rm 8, 22). I cristiani dunque, devono persuadersi che raccoglieranno i frutti della loro natura e del loro sforzo purificati da ogni impurità, in quella nuova terra che Dio, fin d’adesso, loro prepara e nella quale sarà il regno della giustizia e dell’amore: questo regno avrà pieno compimento solo quando tornerà il Signore.
76. La speranza del regno futuro viene ormai ad abitare nel cuore degli uomini. La radicale trasformazione del mondo, nella pasqua del Signore, dà pieno senso agli sforzi degli uomini, e segnatamente dei giovani, per ridurre l’ingiustizia, la violenza e l’odio, e per progredire tutti insieme nella giustizia, nella libertà, nella fratel¬lanza e nell’amore.
77. Nel momento stesso che proclama il vangelo del Signore, redentore e salvatore, la chiesa chiama tutti gli uomini, special¬mente i poveri, gli oppressi e gli afflitti, a cooperare insieme con Dio nel liberare da ogni peccato e costruire il mondo, il quale, solamente se sorgerà come opera dell’uomo per l’uomo, raggiungerà la pienezza della creazione.