Audiant et laetentur
Significa rifiutare gli idoli del potere, le suggestioni del denaro, il fascino delle ideologie.
C’è un elemento capace di illuminare in maniera unitaria una vita così ricca come quella di don Tonino? Riteniamo di sì. E va colto nello stemma episcopale: una croce sorretta da due ali e un versetto del salmo 34: Audiant et laetentur (Ascoltino i poveri e si rallegrino).
Il salmo in oggetto è un canto caratterizzato dall’entusiasmo di chi si sente amato da Dio, ne avverte la sua presenza salvifica e vuole che tutti, soprattutto i poveri e gli emarginati, sperimentino la gioia dell’incontro con Lui, mai escludente.
Alla ricerca da parte dell’uomo c’è sempre la risposta di Dio che libera.
Il salmo nella sua interezza trova eco nello stile di vita di don Tonino, il quale non ha mai smesso di stupirsi dinanzi allo splendore che traspare dietro ogni volto, inteso come irripetibile espressione di Dio. A lui non bastava incontrare la gente, alla gente si dava.
E per questo era più facile incontrarlo lungo la strada o nei luoghi frequentati dalla gente che nei salotti o nei saloni dei “palazzi”. Al bar era un avventore come gli altri. Dal barbiere era ligio nel rispetto delle precedenze già acquisite da quanti erano entrati prima di lui e, anzi, con questi condivideva i discorsi che spaziavano dai risultati dell’ultima giornata di campionato ai problemi di lavoro non sottraendosi alle recriminazioni che non poche volte alcuni esprimevano verso gli uomini di Chiesa e le strutture.
E se doveva spostarsi la seconda classe del treno gli avrebbe permesso incontrare e parlare con qualche compagno di viaggio.
Da questa profonda convinzione circa l’alta dignità di ogni creatura nasce anche il suo costante invito a rifuggire il degrado dell’uomo e nell’uomo e a vivere sempre con eleganza.
Già al suo primo incontro con la gente, il giorno del suo ingresso in diocesi, don Tonino fa trasparire dalle sue parole questo impegno: “La buona notizia che vengo a portarti, fresca di giornata, ma anche antica quanto l’eternità, è questa: Gesù Cristo è il Signore, il solo Signore, il solo Santo, il solo Altissimo, il solo Re della gloria, non ce n’è altri...
Ma comprendiamo bene che cosa significa che Gesù Cristo è Re e Signore?
… Significa rifiutare gli idoli del potere, le suggestioni del denaro, il fascino delle ideologie.
Significa andare contro corrente in un mondo che ogni tanto si popola di nuove divinità o obbliga a prostituirsi davanti ad esse.
Significa combattere i soprusi dei più forti, le violenze degli arroganti, le assolutizzazioni delle strutture.
Significa contestare la logica della sopraffazione e dell’asservimento dell’uomo all’uomo.
Significa impedire che i criteri dell’efficienza siano il metro per misurare i fratelli.
…Significa proclamare che la nostra storia, personale e comunitaria, ha un senso, non è inutile, non è disarticolata, si muove verso un traguardo, ha una sua traiettoria, è, in una parola, un frammento di Storia della Salvezza.
Questo è il lieto messaggio che il Signore mi ha comandato di annunciarvi oggi.
Come non leggere in queste affermazioni il programma di un episcopato vissuto per dare senso a un tale annuncio di liberazione?
Tutte le scelte operate nel corso del ministero episcopale, non esclusa la malattia, trovano in questa omelia le motivazioni più profonde e la traduzione più chiara e attuale del lieto messaggio presente nel salmo 34.