Ci riprovano ancora

I siti nucleari restano “impossibili”: eppure si ripercorrono le stesse strade di trent’anni fa e si ripropongono le stesse zone di allora, in assenza di una valutazione di impatto ambientale.
Virginio Bettini (Professore di analisi e valutazione ambientale Facoltà di Pianificazione del Territorio Università IUAV di Venezia)

Non avrei mai pensato di tornare, dopo oltre trent’anni, sull’improponibilità di centrali nucleari nei siti italiani già bocciati in passato per la loro non corrispondenza ai parametri ambientali. Ipotizzavo di concentrarmi sui problemi di mitigazione e compensazione delle energie rinnovabili, in particolare dell’impatto sul territorio, nelle aree costiere e montane, dell’eolico. Ultimamente, a seguito delle proposte azzardate di coprire i deserti con impianti solari, mi ero posto il problema della necessità della primaria copertura delle strutture edificate nelle aree in dismissione e in fase di bonifica nel quadro di un diverso modello energetico in ambito urbano, come già sperimentato a Totnes nel Devon. Ho coltivato il sogno dell’harvest the sun from space e di un reale avvio della sperimentazione per la cattura dell’anidride carbonica: non certo per giustificare il massiccio uso del carbone, ma per capire se la soluzione delle energie alternative a un alto livello di qualificazione tecnologica unite all’uso di tecniche avanzate per il controllo dell’anidride carbonica, fossero un matrimonio possibile nell’ambito della pianificazione delle risorse e del territorio.

Viaggio nelle regioni italiane

E invece eccoci di nuovo a insistere sul fatto che il nucleare italiano è un “nucleare impossibile”. Da tempo avevo segnalato le ragioni del NO da parte di molti Enti Locali (geologia, sicurezza, rifiuti radioattivi, decommissioning, incidenze economiche per nulla positive, il tutto verificabile anche in questi ultimi mesi nei siti di Flamanville e Olkiluoto, dove si stanno costruendo le nuove centrali europee EPR). Ed ecco che, oggi, Enti Locali e Regioni hanno un improvviso colpo di reni nei confronti del progetto di ritorno al nucleare da parte del governo di centro-destra.

La Regione Emilia-Romagna, il cui piano energetico fa decisamente leva sul risparmio e sull’efficienza, puntando sull’autosufficienza grazie alle energie rinnovabili e al metano, si è dichiarata contraria alla riattivazione del sito della centrale nucleare di Caorso, uno degli aborti nucleari dell’italietta degli anni Settanta, contestando i criteri di scelta dei siti che il governo sta per definire con il contributo di un proprio comitato di esperti, tutti assolutamente filo-nucleari. La presa di posizione della Regione Emilia-Romagna mi fa piacere in quanto segna un significativo cambiamento di orientamento programmatico. Nel 1972-1973 sono stato responsabile del settore ambiente della Regione Emilia Romagna: tra le problematiche da affrontare e risolvere avevo posto i dati negativi circa il sito della centrale di Caorso e, proprio a causa del significativo emergere dei dati sulla non accettabilità di quel sito, fui dimissionato.

Oggi però non è solo il sito della centrale di Caorso al centro dell’attenzione. 

Per la Regione Lazio si parla di due ipotesi: o la collocazione di una nuova centrale nel vecchio sito di Latina, oppure un decisivo “ritorno alle origini” per la centrale policombustibile di Montalto di Castro che a suo tempo, negli anni Ottanta, era stata progettata e proposta come la più avanzata centrale atomica italiana, poi cancellata dal Referendum. Nel Lazio però non si è avuta la medesima, decisa reazione dell’Emilia Romagna: l’amministrazione di centro-sinistra guidata da Pietro Marrazzo per ora resta attendista.

Possibilista la Calabria, una delle regioni, con la Puglia, preferita dai nuclearisti. La Giunta di centro-sinistra, guidata da Antonio Loiero, si dice favorevole a un mix energetico che comprenda anche l’atomo. Al contrario la Puglia ha in preparazione una legge negazionista nei confronti del nucleare.

La Lombardia, guidata da una Giunta di centro-destra, non sembra entusiasta del programma nucleare del Governo, anche perché intenzionato a proporre uno dei siti più errati in assoluto, quello di Viadana-San Benedetto Po, sul quale, con Giorgio Nebbia e altri, ho direttamente lavorato in una commissione promossa dalla Provincia di Mantova.

La Carta dei Siti

Credo quindi che, prima di ogni decisione in merito, prima naturalmente della militarizzazione del territorio che sarebbe stupidamente ed erroneamente motivata da necessità nazionali, si dovrebbe redigere una “Carta dei Siti” che tenga conto degli studi già condotti in passato, utilizzando una metodologia adeguata di valutazione dell’impatto ambientale, che si traduca in un progetto di Valutazione Ambientale Strategica per il programma energetico nucleare, basato sul bilancio di massa (Mass Balance) e sulla valutazione degli impatti cumulativi (CEA, Cumulative Effects Assessment).

In passato i Siti non sono mai stati qualificati in maniera puntuale dal C.N.E.N. (Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare, trasformato nel 1982 in E.N.E.A., Ente Nucleare ed Energie Alternative, nel 1991 l’acronimo viene mantenuto con il nuovo significato: Ente per le Nuove Tecnologie, l’Energia e l’Ambiente), non sono mai stati valutati nella loro complessità a livello nazionale; anzi, il passaggio dalla contestazione del nucleare nel suo complesso alla contestazione dei singoli siti e de siting nucleare nella sua complessità, in un paese dall’ambiente sensibile come il nostro a livello di coste e di ambiti fluviali, è stato considerato scorretto, in particolare da parte del prof. Umberto Colombo, nuclearista convinto e Presidente del C.N.E.N. nel momento del più acceso dibattito sul nucleare in Italia, a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso.

Anche in Francia – il solo paese europeo in preda a un vero delirio nucleare, energeticamente tributario quasi all’80% del nucleare e che deve al nucleare la sua posizione internazionale grazie alla Force de Frappe – il problema non è posto in termini diversi, nonostante gli incidenti di Tricastin e la contestazione della sicurezza di molti siti. In Francia la problematica dei siti sembra assolutamente fuori da ogni schema di valutazione e inutilmente la cerchereste anche nei testi più recenti sui problemi dell’energia e dell’ambiente.

Personalmente ritengo, ma non sono il solo, che il problema della scelta dei siti sia uno dei cardini delle politiche energetiche, anche se in ambiti scientifici qualificati e prestigiosi, quali le sedi dei Simposi della IAIA (International Association for Impact Assessment) a lungo e inutilmente è stato richiesto un adeguato approfondimento sui temi dell’impatto ambientale del ciclo completo dell’energia nucleare (in particolare negli ultimi incontri internazionali: Stavanger, Norvegia, 2006; Seoul, Corea del Sud, 2007; Perth, Australia, 2008).

Non per nulla una delle ragioni principali che spinsero il governo degli USA e l’Environmental Protection Agency a varare una specifica legislazione sulla valutazione di impatto ambientale, fu la problematica della scelta dei siti nucleari, sia degli impianti di produzione che dello stoccaggio e confinamento delle scorie.

Ho avuto modo di studiare in situ, negli USA, sia i modelli della stesura degli “Environmental Statement related to the operation of nuclear plants”, che le procedure per la definizione dei siti di deposito nucleare. In particolare ho esaminato a fondo la valutazione di impatto ambientale del confinamento delle scorie nell’area A 51, in cui si trova Yucca Mountain, come di alcune centrali nucleari, Midland nel Michigan (Unità 1 e 2 della Consumers Power Company) e Limerick, in Pennsylvania della Philadelphia Electric Company. Per questi impianti è la stessa NRC che redige la valutazione di impatto ambientale, la quale, indipendentemente dal parere finale positivo o negativo, definisce la procedura di verifica che ha consentito una partecipazione decisamente significativa da parte della popolazione interessata sulla base di una complessa analisi articolata in punti fondamentali: le ragioni della proposta di localizzazione, le alternative, la descrizione del progetto e degli ambiti interessati, le conseguenze ambientali, le azioni di mitigazione-compensazione, l’analisi costi benefici aperta anche alla parte ambientale, con approfondimenti sull’impatto dell’intero ciclo dell’uranio.

Quello che manca nell’ipotesi NRC, ma da cui non possiamo prescindere nella specifica situazione italiana, è la necessità di una valutazione ambientale strategica di tutto l’insieme dei progetti che interesseranno il territorio nazionale, sulla base di una forte partecipazione della popolazione e della valutazione degli impatti cumulativi. Mi sembra questa la strada da seguire a fronte delle decisioni che il governo si appresta a prendere: avviare, contemporaneamente, una valutazione dei siti singoli, tenendo conto delle valutazioni già espresse in passato e avviare una valutazione ambientale strategica sull’insieme del progetto nucleare a scala nazionale, aprendo anche a un’ipotesi referendaria sui risultati della VAS (Valutazione Ambientale Strategica).

 

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