Un contributo mennonita e cattolico al Consiglio ecumenico delle Chiese. Il Decennio per il superamento della violenza.
Introduzione.
Tra il 1998 e il 2003 si è svolto un dialogo internazionale tra Cattolici e Mennoniti, iniziando col tema “Verso la guarigione dei ricordi”, e concludendo con una relazione dal titolo “Chiamati insieme ad essere pacificatori” (Called Together to be Peacemakers - CTBP). Nella speranza che Cattolici e Mennoniti sulla base di questo dialogo possano fare proposte per il “Decennio per il superamento della violenza” (Decade to Overcoming Violence - DOV) del Consiglio ecumenico delle Chiese, specialmente in relazione alla “Convocazione mondiale delle Chiese per la pace” (International Ecumenical Peace Convocation - IEPC) del 2011, che dovrebbe costituire il suo culmine, il Consiglio pontificio per la promozione dell’Unità dei cristiani e la Conferenza mondiale mennonita hanno indetto, consultato l’ufficio del DOV, una breve conferenza dal 23 al 25 ottobre 2007, che si è svolta a Roma nel Centro Pro Unione. Come risultato vorremmo presentare alcune riflessioni che Cattolici e Mennoniti, impegnati al superamento della violenza, possono condividere come testimonianza di pace nel contesto ecumenico. Speriamo che queste riflessioni possano essere di aiuto alla preparazione della IEPC.
Iniziamo con l’indicare i fondamenti biblici e teologici della pace, che appaiono sotto le rubriche Creazione, Cristologia ed Ecclesiologia. Segue a ciò un capitolo su Pace e discepolato. A conclusione alcune sfide e raccomandazioni, che possono essere considerate come punti centrali dei gruppi di lavoro in occasione della IEPC.
1. Fondamenti biblico – teologici della pace.
A. Creazione: Pace come dono e promessa
Dall’inizio della creazione, il Dio…dello shalom, che “da un solo ceppo ha fatto discendere tutte le stirpi degli uomini, e le ha fatte abitare su tutta la faccia della terra (At 17,26), ha stabilito per tutti gli uomini un unico e stesso fine, cioè la comunione con Dio. Questa relazione armonica ci ricorda che siamo creati a immagine e somiglianza di Dio e siamo perciò chiamati a condurre una vita in unione tra noi, con reciproca donazione. (cfr. Gn 1,26; Gv 17,21 e seg.) Sebbene il peccato abbia deturpato la nostra relazione armonica con Dio e tra di noi, la redenzione tramite Cristo ha ridato alla creazione la possibilità della pace perturbata dal peccato (Gn 9,1-17; Col 1,19 e seg. Ap 21,5). Come nuova creazione di Dio i cristiani sono chiamati a vivere in pace tra loro, con tutti gli uomini e con l’intero creato (At 10,36; 2Co 13,11; Rm 12,18).
La profondità dello shalom donato da Gesù si mostra nel suo discorso d’addio ai suoi discepoli (Gv 14,27-31). Nel saluto di commiato giudaico è consuetudine offrire pace come regalo d’addio. Gesù va più a fondo, offrendo il dono della pace attraverso la partecipazione al suo vero sé. La pace di Cristo scorre dal suo vero essere, che è unito al Padre nell’amore. Il mondo non può dare questa pace, poiché esso non conosce questo intimo “Essere in pace” con l’autore di tutta la pace. La pace, che dà Gesù è la pace ricolma dello spirito delle Beatitudini. Questa pace rende possibile la nonviolenza, poiché i veri garanti di essa parlano e agiscono conforme alla logica dell’amore altruista di Gesù Cristo.
La visione biblica della pace come shalom comprende la difesa della integrità della creazione (Gn 1,26-31; 2, 5-15; 9,7-17; Salmo 104). La Chiesa chiama gli uomini a vivere come amministratori e non come sfruttatori della terra. Il dono della pace scorre dal vero essere del Dio misericordioso ed è destinato all’intera creazione. Poiché Dio è munifico e rimane fedele alla sua promessa della pace, dobbiamo anche noi accettare questo dono e utilizzarlo responsabilmente nel nostro rapporto con Dio, che ha affidato l’uno all’altro e l’intera creazione alla nostra cura.
B. Cristologia: Gesù Cristo, fondamento della nostra pace.
La testimonianza di fede sia dei Mennoniti che dei Cattolici è radicata in Gesù Cristo “Egli infatti è la nostra pace, che ha fatto dei due una sola cosa… facendo la pace e per riconciliare entrambi con Dio in un solo corpo mediante la croce” (Ef 2,14-16). Che cosa sia pace, lo capiamo attraverso l’insegnamento, la vita e la morte di Gesù Cristo. Egli ci insegna a porgere l’altra guancia, ad amare i nostri nemici, a pregare per i nostri persecutori (Mt 5,39 e seg.), a non usare alcuna arma micidiale. (Mt 26,52). Nella sua missione di riconciliazione Gesù rimase fedele fino alla morte, manifestando con ciò la dimensione pacificatrice dell’amore divino e confermando la profondità di Dio come amante dell’uomo. La fedeltà di Gesù fu confermata nella resurrezione.
La Pace e la Croce.
Dio manifestò il suo amore per l’uomo in Gesù Cristo, che morì sulla croce come conseguenza del suo messaggio del Regno di Dio. La croce è il segno dell’amore di Dio per i nemici (Rm 5,10 e seg.) La fondamentale sfida personale ed ecclesiale per i Cattolici come per i Mennoniti consiste nell’indicare chiaramente le conseguenze della croce sulla nostra dottrina circa pace e guerra e sulla nostra risposta all’ingiustizia e alla violenza.
Guardando alla croce di Cristo comprendiamo cosa significhi per noi il suo sacrificio espiatorio. Come scrive l’apostolo Pietro: “Egli ha preso su di sé i nostri peccati e li ha portati nel suo corpo sulla croce, affinché, morti al peccato, noi vivessimo la giustizia: dalle sue piaghe siete stati guariti” (1Pt 2,24). Ciò significa che Gesù attraverso la croce procura la nostra pace con Dio, il quale ci ha offerto lo shalom di una nuova creazione, “mentre ancora eravamo peccatori”(Rm 5,8). Nel contempo la croce ci chiama a seguire le orme di Gesù, il quale “non stimò un bene irrinunciabile l’essere uguale a Dio” (Fil. 2,6). Al contrario “insultato, non rispondeva con l’insulto; soffrendo, non reagiva con minacce, ma si affidava a Colui che giudica rettamente” (1Pt 2,23). Così, “in Cristo, è una nuova creatura nuova” (2Co 5,17), chi prende la propria croce e segue la sua via di pace e di giustizia.
Pace e sofferenza
Riconosciamo la sofferenza come possibile conseguenza della nostra testimonianza per il Vangelo della pace. Non viviamo in un mondo utopico. Seguire Cristo può costar caro ai suoi discepoli. Mennoniti e Cattolici vivono nella prospettiva che il discepolato porti con sé sofferenza. Gesù ci sollecita “ Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8,34). La fede che l’amore sia più forte della morte sostiene i Cristiani nella loro sofferenza. Siamo chiamati a soffrire e a lenire le sofferenze, non a moltiplicarle. I Cattolici affermano con Giovanni Paolo II : “E’ unendo la propria sofferenza per la verità e per la libertà a quella di Cristo sulla Croce che l’uomo può compiere il miracolo della pace ed è in grado di scorgere il sentiero spesso angusto tra la viltà che cede al male e la violenza che, illudendosi di combatterlo, lo aggrava.”… Centesimus Annus 25 Gaudium et Spes 42 e 78).
La stessa convinzione si rispecchia in una nuova Professione di fede mennonita:
“Mossi dallo Spirito Santo, testimoniamo tutti, cominciando dalla Chiesa, che la violenza non è volontà di Dio… La nostra suprema lealtà va al Dio della grazia e della fede, che giorno per giorno guida la Chiesa a vincere il male con il bene, che ci qualifica a operare giustizia, e ci rafforza nella magnifica speranza nel pacifico regno di Dio “ (Confession of Faith in a Mennonite Perspective (Scottdale/Waterloo:Herald Press, 1995, Art. 22).
Sia i Mennoniti che i Cattolici si ispirano a testi del Vangelo, come Mc 10,35-45 e Lc 22,24-27, nei quali Gesù raccomanda ai suoi discepoli di offrire la propria vita come servi. Constatiamo con gioia che ci è comune l’apprezzamento per i martiri,”la grande nube di testimoni” (Eb 12,1), che hanno dato la propria vita nella testimonianza per la verità. Siamo uniti nella convinzione che la”stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Co 1,25) Tutto ciò ha conseguenze su come comprendiamo la Chiesa e su cosa significhi essere Chiesa nel mondo.
C. Ecclesiologia
Le caratteristiche ecclesiologiche di una Chiesa di pace derivano dal suo messaggio di riconciliazione, dall’impegno alla nonviolenza così come dalla sua libertà, dalla sua missione, dalla sua unicità e dalla sua speranza di salvezza.
Pace e riconciliazione
Cattolici e Mennoniti affermano assieme che è vera vocazione della Chiesa l’essere comunità di riconciliati e di riconciliatori. Accogliamo tale chiamata “da Dio, il quale ci ha riconciliati con sé mediante Cristo, e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione “ (2Co 5,18). Le nostre affini identità come “Chiese di pace”(Mennoniti) e come “Chiesa pacificatrice” (Cattolici) vengono dal nostro impegno ad essere seguaci e imitatori di Cristo, Principe della pace e Signore della Chiesa. Attraverso la loro dedizione a Cristo nel battesimo tutti i cristiani sono chiamati sulla via della pace e della riconciliazione.
Pace e nonviolenza
In un mondo che non ha imparato ad accogliere o praticare la pace che Cristo dà, è santa vocazione della Chiesa di rendere testimonianza, con il suo vero essere, per la pace e la nonviolenza. La Chiesa è chiamata ad essere Chiesa di pace. Questa vocazione si poggia sulla convinzione comune di Mennoniti e Cattolici, che la Chiesa, fondata da Cristo, sia segno vivo ed efficace strumento di pace, superando ogni forma di inimicizia e riconciliando tutti gli uomini nella pace di Cristo (Ef 4,1-3). E’ nostra comune convinzione che riconciliazione, nonviolenza e pacificazione attiva appartengono al cuore del Vangelo (Mt 5,9; Rm 12,14-21; Ef 6,15).
Mennoniti e Cattolici ribadiscono che la forza di Cristo supera le divisioni tra i popoli (Ef 2,13-22 Gal 3,28). Su questa base la Chiesa fonda la responsabilità di operare in nome di Cristo per il superamento della violenza etnica e religiosa e di contribuire alla costruzione di una cultura della pace tra razze e nazioni.
Mennoniti e Cattolici concordano che la via della violenza non risolve il problema dell’inimicizia tra uomini, gruppi o popoli. La pacificazione cristiana comprende la nonviolenza attiva nella trasformazione del conflitto nelle controversie sia interne che internazionali. Inoltre noi consideriamo una tragedia e un peccato grave che cristiani abbiano odio e si uccidano tra loro. La disponibilità di risorse in singoli gruppi e governi per la pratica della nonviolenza diminuisce la tentazione di ricorrere alle armi come estrema via di uscita.
Pace e libertà
Cattolici e Mennoniti sono concordi nella convinzione che la Chiesa dovrebbe essere indipendente dalle organizzazioni umane della società. Ciò significa che la Chiesa deve godere di libertà religiosa e di autonomia sotto la signoria di Cristo, Principe della Pace. La libertà della Chiesa dal controllo statale le dà la possibilità di rendere testimonianza senza dover essere di impaccio alla società. In virtù della loro dignità come figli di Dio, inoltre, tutti gli uomini e tutte le donne possiedono il diritto alla libertà di religione e di coscienza. Nessuno dovrebbe venire costretto ad agire contro la propria coscienza, specialmente se si tratta di questioni di uso della forza armata.
Pace e missione.
La missione appartiene indiscutibilmente all’essenza della Chiesa. Abilitata dallo Spirito Santo, la Chiesa reca a tutti i popoli la Lieta Novella della salvezza, annunciando con la parola e con l’azione il Vangelo dello shalom fino ai confini della terra (Is 2,1-4; Mt 28,16-24; Ef 4,11 e seg.). La missione della Chiesa viene orientata al mondo tramite ogni seguace di Gesù Cristo, religioso o laico che sia.
Una significativa dimensione della missione della Chiesa si realizza nel vero costituirsi della Chiesa da comunità di fede interetniche. La Chiesa è un popolo della fede, chiamata ad esserlo da popoli di molte lingue e nazioni (Gal 3,28; Ef 4,4-6; Fil 2,11). La missione sollecita che i Cristiani cerchino di divenire “uno” per la loro testimonianza a Gesù Cristo e al Padre, (Gv 17,20-21) e che siano “ solleciti nel conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace” (Ef 4,3). Appartiene alla missione della Chiesa annunciare al mondo la pace di Gesù Cristo e diffondere l’opera di Cristo, lo shalom di Dio, tra le donne e gli uomini di buona volontà in tutti i paesi.
Pace e unicità.
Uno degli essenziali segni distintivi della Chiesa è la sua unità. Questa unità rispecchia la vera unità del Dio unitrino. Perciò i Cattolici e i Mennoniti prendono sul serio con gli altri discepoli di Cristo i testi biblici, i quali esortano i Cristiani ad essere uno in Cristo. La nostra testimonianza della rivelazione di Dio in Cristo è indebolita se viviamo in disaccordo (Gv 17,20-23). Come possiamo esortare il mondo a vivere in pace, se noi stessi non ottemperiamo all’invito “di conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace” (Ef 4,3)? Ci chiediamo insieme cosa significhi per le Chiese confessare “un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio e Padre di tutti” (Ef 4, 5-6)? Il contributo sul dialogo cattolico - mennonita reca il titolo “Chiamati insieme ad essere pacificatori”. Questo titolo deve essere un segno pieno di speranza dell’ “unità dello Spirito”.
Pace e salvezza.
Cattolici e Mennoniti convengono che la Chiesa sia un segno eletto della presenza di Dio e della promessa di salvezza per tutta la creazione. I Cattolici descrivono ciò con le parole “ che la Chiesa è “l’universale sacramento della salvezza” (Lumen Gentium, 9), che svela e insieme realizza il mistero dell’amore di Dio per l’uomo” (Gaudium et Spes, 45).
I Mennoniti esprimono il carattere di promessa della Chiesa, testimoniando che “il rinnovamento del mondo è iniziato nel popolo di Dio” (Douglas Gwyn et al. A Declaration on Peace, Scottdale/Waterloo, Herald Press 1991) e che “la Chiesa è la nuova comunità di discepoli inviata nel mondo per annunciare il Regno di Dio e per offrire un anticipo della gloriosa speranza della Chiesa (Confession of Faith in a Mennonite Perspective, Scottdale/Waterloo: Herald Press 1995, Art. 9). Mentre la Chiesa è ancora sulla via verso il pacifico regno di Dio, indica già qui ed ora segni del suo carattere escatologico e offre un assaggio della gloria che verrà. Questa gloria non è altro che lo shalom di Dio, il quale, amando l’uomo, ci invita a “compiere la giustizia, amare con tenerezza, camminare umilmente dinanzi al tuo Dio” (Mic 6,8)
II - Pace e discepolato.
Alla luce delle riflessioni sopra riportate sui fondamenti biblici e teologici della pace è nostra comune convinzione che essere discepoli di Cristo significhi essere testimoni per la pace. La sequela di Cristo si basa su una spiritualità che radica il discepolo nella vita di Cristo, il quale “è nostra pace” (Ef 2,14-16) e ci conduce all’azione per la pace.
A. Spiritualità.
Per i Cristiani la spiritualità consiste nel seguire l’insegnamento e la vita di Gesù e nel fare nostro il suo stile di vita. “La testimonianza cristiana di pace appartiene essenzialmente al nostro cambiamento di vita come seguaci di Cristo e alla vita della Chiesa come “familiari di Dio” (Ef 2,19) e “dimora di Dio nello Spirito” (Ef 2,22) (CTBP 181). Come imitatori di Cristo siamo chiamati ad amare i nemici e ad esercitare il perdono (CTBP 180). La pace deve essere costruita attraverso la prassi della pace. Per questo motivo la Chiesa deve essere una scuola di virtù, dove “le virtù della pace” sono apprezzate, insegnate, praticate e sempre ravvivate. Esse comprendono “Disponibilità al perdono, amore per i nemici, attenzione per la vita e la dignità degli altri, autocontrollo, gentilezza, misericordia e abnegazione” (CTBP 184). Noi vorremmo in particolar modo richiamare l’attenzione su quattro virtù che contribuiscono alla pacificazione: nonviolenza, disponibilità al perdono, contrizione, devozione.
Nonviolenza.
Qualificati dalla loro unione con Cristo, e imitando Cristo come suoi seguaci, i Cristiani sono chiamati a praticare la nonviolenza sforzandosi di “vincere il male con il bene” (Rm 12,21 Centesimus Annus). I Cattolici hanno ribadito in crescente misura che la nonviolenza ha un posto centrale nel Vangelo e nella loro testimonianza nel mondo; e i Mennoniti da parte loro hanno similmente esteso la loro comprensione del principio di non resistenza includendo la pratica della nonviolenza attiva. Poiché la pacificazione cristiana si compie sotto il segno della croce, la sofferenza è il prezzo inevitabile che deve essere pagato in un mondo peccaminoso per l’amare i nemici. (CTBP 182; Centesimus Annus, 25).
Per i Mennoniti come per i Cattolici la pacificazione tramite la nonviolenza è una chiamata individuale, ma anche un fare comunitario. Ciascuna delle nostre comunità intende la propria “responsabilità di distinguere i segni dei tempi e di affrontare sviluppi ed eventi con adeguate iniziative di pace, basate sulla vita e sull’insegnamento di Gesù” (CTBP 181). Nella Chiesa mennonita questo riconoscimento dei segni dei tempi è praticato sia a livello di congregazione che in organismi ecclesiali più grandi, talvolta anche in organi specializzati, come il Comitato centrale mennonita. Nella Chiesa Cattolica ciò avviene a diversi livelli e in una varietà di ambiti d’azione: nelle parrocchie, nelle comunità di laici e di religiosi, nelle commissioni per la giustizia e la pace, nei sinodi dei vescovi e in parte della gerarchia (cfr. CTBP 181). Ispirato dal Vangelo, questo discernimento comunitario dei segni dei tempi conduce i discepoli ad essere Chiesa in un mondo pieno di conflitti. Attraverso un tale riconoscimento dei segni dei tempi e attraverso le attività che da ciò derivano, la Chiesa può essere sale e luce del mondo (Mt 5,11-16)
Disponibilità al perdono.
Accanto alla nonviolenza appartiene al discepolato il perdono come fondamentale espressione della vita cristiana. Gesù ci insegna a perdonarci a vicenda e con la sua morte diede sommo esempio di perdono (Lc 23,34). Di conseguenza la Chiesa ha un ruolo speciale nel promuovere la riconciliazione. La Chiesa, specialmente la Chiesa locale, è il luogo dove le nostre comunità apprendono il perdono: i Cattolici nel sacramento della riconciliazione; i Mennoniti nel modo in cui la Chiesa insegna e pratica il perdono e la riconciliazione nella vita quotidiana, ed esercita la mutua correzione nell’ambito della Cena del Signore. Siamo consapevoli del nostro dovere di chiedere e concedere perdono, singolarmente e comunitariamente. Riconosciamo che nel passato le nostre Chiese su questo punto hanno spesso mancato.
Salutiamo l’estensione nel nostro tempo delle manifestazioni pubbliche di perdono e lo sviluppo dei programmi di riconciliazione nei conflitti interni e internazionali. Come scrisse Giovanni Paolo II: “non c’è pace senza giustizia,, non c’è giustizia senza perdono” (Giornata della Pace 2002).
Queste iniziative rappresentano un progresso nella vita pubblica, sul quale i cristiani non possono che gioire. Nel contempo i Cristiani dovrebbero essere lievito di pace nel mondo, esercitando il perdono nella propria vita e promuovendo il pubblico perdono come un elemento necessario di pacifica riconciliazione. E’ con il perdono che la Chiesa costruisce una cultura di pace per il mondo.
Veracità.
Così come la pace esige giustizia, la vera riconciliazione esige veracità. Nel nostro dialogo abbiamo imparato, come altri hanno imparato nei loro sforzi per la riconciliazione, che non può essere superata la storia dolorosa della divisione e non può essere realizzata la guarigione senza una purificazione dei ricordi e uno spirito di contrizione (CTBP 190-198). Primo: la guarigione dei ricordi implica la disponibilità “a uscire dall’isolamento del passato e a pensare passi concreti verso nuovi rapporti “(CTBP 191). Secondo: la purificazione del ricordo consiste nel permettere alle nostre coscienze di essere purificate da tutte le forme di risentimento e di violenza che abbiamo ereditato dal nostro passato, e nello stimolare al rinnovamento dei nostri modi d’agire (CTBP 192). Infine lo spirito di contrizione si manifesta nella risolutezza di risolvere le future controversie attraverso il dialogo (CTBP 198). Se questi devono essere modelli convincenti di riconciliazione in Cristo per il mondo, i Cristiani debbono ripetutamente fare questo cammino di guarigione, purificazione e contrizione.
Preghiera.
La preghiera è componente essenziale per la pacificazione cristiana. Attraverso i secoli i cristiani hanno tratto ispirazione e forza per la propria testimonianza dalla preghiera, dalla contemplazione della vita di Cristo e dalla vigile apertura allo Spirito di Dio. Lì essi sperimentano tramite la Grazia di Cristo la “pace, che è più grande di ogni ragione” (Fil 4,7). Così anche nel nostro tempo la devozione è un segno distintivo del pacificatore. Inoltre la testimonianza ecumenica delle Chiese attraverso la preghiera, nella quale le divisioni sono superate e sperimentiamo la comunione con Dio, è una benedizione sia per i cristiani che per il mondo (CTBP 185).
B. Azioni
La pratica della preghiera, nella vita privata come nella celebrazione liturgica della Chiesa, porta smisurati frutti nella pacificazione sia individuale che nella partecipazione comunitaria alla testimonianza di pace della Chiesa. Cattolici e Mennoniti condividono la convinzione “che riconciliazione, nonviolenza e attiva pacificazione appartengono al cuore del Vangelo” (Mt 5,9; Rm 12,14-21; Ef 6,15 CTBP 179). Promuovendo la nonviolenza nella soluzione di conflitti nazionali e internazionali, sostenendo programmi di soluzione di conflitti e di trasformazione dei conflitti, rafforzando la riconciliazione tra avversari – talvolta insieme con i loro secolari partner, talvolta senza di essi, – i Cristiani trovano vie per realizzare il “Vangelo della pace” nel mondo d’oggi. Coltivando l’amore per i nemici e lo spirito del perdono, contribuiscono anche a creare una duratura cultura della pace nel nostro tempo.
Sappiamo però anche che senza giustizia e diritti dell’uomo la pace sia un’illusione, una mera assenza di conflitti. Perciò crediamo “che giustizia, intesa come rapporti schietti e autentici è l’insuperabile compagno della pace” (CTBP 177). Quindi “la visione evangelica della pace comprende la nonviolenza attiva per la difesa della vita umana e dei diritti umani, per la promozione della giustizia sociale per i poveri e il rafforzamento della solidarietà tra i popoli” (CTBP 178). La nonviolenza attiva gioca un ruolo fondamentale nel cambiamento delle ingiuste condizioni sociali in un ordine più giusto, rispecchiante i valori del Regno di Dio (CTBP, 178-179,184). Per questo motivo l’educazione, l’addestramento e il perfezionamento dei Cristiani nella pratica della nonviolenza attiva, costituiscono un essenziale contributo che la Chiesa e le organizzazioni ecclesiali possono fornire nel nostro tempo. La Chiesa ha la responsabilità di costruire un mondo pacifico in sintonia con gli ideali biblici dello shalom e del Regno di Dio (cfr CTBP 177,184).
III Speciali Sfide/Raccomandazioni/Proposte per eventuali Workshops durante la IEPC.
Accanto alle riflessioni teologiche che abbiamo presentato vorremmo indicare anche alcune speciali sfide, che potrebbero essere l’oggetto di speciali sedute o Workshops durante la IEPC. Esse si basano sul fatto che il movimento ecumenico nei suoi sforzi di riconciliare Cristiani separati, conforme alla sua essenza, è un movimento di riconciliazione e di pace.
1. Il movimento ecumenico ha contribuito per oltre un secolo alla riconciliazione tra le comunità cristiane che per secoli sono state divise. Poiché la riconciliazione di Cristiani come tale è un contributo alla pace, raccomandiamo che la IEPC offra opportunità ai partecipanti di apprendere da alcune delle più importanti conquiste del movimento ecumenico, che hanno contribuito ad abbattere gli ostacoli della disunità e a creare nuovi rapporti tra le comunità cristiane, che nel passato erano tra loro divise.
2. Nello sfondo delle secolari divisioni tra i Cristiani stanno amari ricordi sui conflitti tra i Cristiani che nelle diverse epoche della storia della Cristianità hanno causato tali divisioni. Diverse relazioni sul dialogo ecumenico si sono occupate della questione della purificazione e riconciliazione o guarigione dei ricordi. Raccomandiamo che sia intrapreso uno studio sulle diverse prospettive della guarigione dei ricordi che sono state sviluppate nei dialoghi o tramite determinate Chiese, ciò con lo scopo di promuovere una comune testimonianza cristiana in questa questione così necessaria per la pace.
3. Confermiamo che l’insegnamento e l’esempio di Gesù debbono essere il criterio per tutti i Cristiani. Nel contempo siamo consapevoli che i Cristiani nel corso della storia hanno assunto e ancora oggi assumono diversi punti di vista e posizioni nei confronti dei gravi conflitti nella società. Vi fanno parte le teorie della guerra giusta, le forme di nonviolenza attiva e il pacifismo.
Raccomandiamo che la Convocazione del 2011 miri a raggiungere un consenso ecumenico su come i Cristiani possano impegnarsi con forza, insieme, per sostituire la violenza come mezzo per risolvere i gravi conflitti nella società. Proponiamo come un passo in questa direzione che siano studiate e valutate criticamente assieme le varie posizioni, comunemente sostenute, su quali siano le alternative alla violenza.
Queste comprendono per esempio
a) il diritto per tutti gli uomini e le donne all’obiezione di coscienza alla partecipazione alla guerra
b) il diritto dell’obiezione di coscienza selettiva, cioè il diritto e il dovere di rifiutare il servizio nelle guerre considerate ingiuste, o di eseguire ordini ritenuti ingiusti.
c) la posizione presa di recente dalla WCC “La responsabilità del proteggere”
d) l’idea del “Just Policing” (cfr Gerhard w. Schlanbach, Just Policing, Not War: An Alternative Reponse to World Violence, Liturgical Press 2007).
4. Negli ultimi decenni i Cristiani hanno partecipato con aderenti ad altre religioni mondiali, dando testimonianza per la pace, per es. agli incontri di Assisi (1986, 1993, 2002) su invito di papa Giovanni Paolo II, oppure ai lavori della “Conferenza mondiale per la religione e la pace” e altro. Nella convinzione che oggi la cooperazione tra le religioni mondiali è vitale nella ricerca della pace, raccomandiamo che la Convocazione del 2011 crei opportunità per lo studio di queste iniziative con la speranza di imparare da esse e di costruire su di esse.
Partecipanti alla Conferenza Mennonita-Cattolica, 23-25 Ottobre 2007
Mennoniti
Ricardo Esquivia, Lenemarie Funck-Späth, Helmuth Harder, Nancy Heisey, Henk Leegte, Larry Miller, Paulus Sugeng Widjaja
Cattolici
Joan Back, Gosbert Byamungu, Drew Christiansen, SJ, Bernard Munono, James Puglisi, SA, John A. Radano, Teresa Francesca Rossi
Consiglio ecumenico delle Chiese
Hansulrich Gerber, Fernando Enns
19 Gennaio 2008
Traduzione a cura di Leone Sticcotti