L’atomica su Nagasaki
1- L’orribile colonna di luce
Anche il 9 agosto 1945, come membro della “squadra informazioni” composta da alunni della scuola media, sono andato a lavorare nella fabbrica della Mitsubishi che costruiva siluri e mine per i sottomarini. Avevo quindici anni. Per sostituire i lavoratori chiamati al fronte come soldati, ci avevano fatto interrompere gli studi e obbligati a lavorare alle macchine, in aiuto ai pochi operai rimasti.
Quella mattina mi fu affidato il compito di portare alla sede centrale dei pompieri la notizia di un possibile attacco aereo dell’esercito americano. La sede distava circa un chilometro e mezzo. Verso le 11 mi trovavo nella veranda, in attesa di una risposta. Alle ore 11:02, appena percepito il frastuono di un aereo sopra di noi, fui investito da una immensa colonna di luce che sembrava sprigionare lampi in tutte le direzioni, e venni violentemente sbattuto sul pavimento. (Si dice che sul luogo dell’epicentro, la velocità del vento provocato dalla esplosione fu di ca. 500 metri al secondo!). Ripresa coscienza e aperti gli occhi, sopra di me erano ammassati i corpi di due o tre giovani. I due più sopra avevano il volto e la gola trafitti da una miriade di schegge di vetro. Uno di loro era ormai senza vita. Quasi per miracolo io rimasi solo leggermente ferito.
La sede dei pompieri, dove mi trovavo, dista circa 2 chilometri e 800 metri dall’epicentro. L’edificio, in tralicci di ferro, pur deformato e devastato, era rimasto in piedi. All’interno dei locali rimasti c’era gran confusione, urla e panico. Vidi anche molti feriti.
Poco dopo, da tutta la zona leggermente collinosa di Urakami, su cui era stata sganciata la bomba, vidi salire come un vortice di altissime fiamme impazzite apparire e scomparire tra una immensa colonna di fumo nero.
Erano passati circa 10 minuti. Davanti ai me una donna dai capelli bruciati e scarmigliati correva disperata a piccoli passi. Un uomo sfigurato con le braccia a penzoloni e la pelle a brandelli camminava senza meta. Poi un’altra donna con in spalla un bambino coperto di sangue che gli spruzzava dal capo. Le mie gambe e tutto il corpo tremavano di fronte a quell’orrore. Era una visione infernale, con strade percorse da mostri e fantasmi orribili. (Si pensa che la temperatura al suolo sotto la colonna di fuoco emanata dalla bomba atomica abbia raggiunto i 3 o 4 mila gradi!) Fino a quel momento nessuno sapeva che si trattasse di una bomba atomica. La sede centrale dei pompieri annunciò che un nuovo tipo di bomba, simile a quella sganciata sopra Hiroshima 3 giorni prima, aveva dilaniato la città di Nagasaki causando molte vittime. Passato qualche tempo pensai di uscire da quell’inferno e ritornare a casa mia, distante poco più di dieci minuti. Ovunque guardassi i miei occhi scoprivano soltanto gruppi di corpi completamente carbonizzati. Giunto nella zona, tra i ruderi degli edifici distrutti non ho saputo riconoscere quale fosse la mia casa.
Una donna quasi completamente nuda vagava tra le macerie. Le parti scoperte del corpo erano di colore rosso vivo, e dalle scottature colava sangue. Provai una tale paura che fuggii da quel luogo, e disperatamente corsi di nuovo alla sede dei pompieri che avevo appena lasciato. Una commissione composta di americani e inglesi, inviata in Giappone 3 o 4 mesi dopo per verificarne gli effetti dell’atomica del 9 agosto, pubblicò dei dati circa le vittime di quel giorno. I dati vennero poi ripetutamente corretti; ma solamente nel 1950 un comitato giapponese pubblicò delle cifre attendibili. Sono le seguenti, comunemente ritenute oggettive anche oggi.
Morti 73,884
Feriti 74,909
Dispersi 1,929
Da quel giorno però altri 70,000 inermi cittadini sono morti prematuramente per gli effetti delle radiazioni atomiche subite.
I fedeli registrati nella parrocchia di Urakami, situata nella zona molto vicina all’epicentro, erano circa 12.000. Di questi ben 8,500 morirono in quel giorno. (Per avere un’idea della gravità della cosa, ricordo che i fedeli cattolici della Diocesi di Nagasaki sono oggi ca. 66,000, di cui 1,100 sacerdoti.)
2- L’incontro con la madre
La bomba atomica aveva distrutto completamente la mia casa, la scuola che frequentavo e anche la fabbrica della Mitsubishi. Molti amici e parenti morirono o rimasero gravemente feriti, ma in quelle circostanze fu impossibile raccogliere notizie precise. Io sono figlio unico e mia madre era vedova. Da quando la salutai la mattina del 9 agosto non ho saputo più nulla di lei. Rimasto senza casa e senza alcuno cui riferirmi, rimasi presso i pompieri, che mi accolsero come orfano di guerra, dandomi un pasto al giorno e un posto per dormire. Stavo con loro sempre e lavoravo con loro, come potevo, al ripristino delle strade gravemente danneggiate e ovunque interrotte dal perdurare di vasti incendi. A me fu affidato l’incarico di distribuire le gallette di pane secco, un pasto molto modico, verso il mezzogiorno. Diversi giorni dopo, durante il mio solito servizio di distribuzione di quel misero cibo, nella zona della stazione centrale di Nagasaki, per caso ho scoperto il volto di mia mamma che guardava fuori da un rifugio antiaereo semidistrutto. Vi lascio immaginare la commozione e le lacrime che hanno scolpito nella mia memoria il calore dell’abbraccio di mia mamma miracolosamente ritrovata!
Senza dire nulla ai pompieri rimasi con lei in quel rifugio. Tra gli “abitanti” vi trovai anche mia nonna. Giaceva immobile per terra in una situazione penosissima. La sua casa era nella zona più disastrata, quella accanto al luogo dell’epicentro, e lei era rimasta imprigionata sotto le travi della sua casa, distrutta dall’esplosione. Respirava a fatica. Il volto era sfigurato, la mascella spezzata e sanguinante, la carne dell’anca destra era dilaniata fino all’osso.
3- La vita fra le macerie
Ogni giorno la portavamo ad un vicino ambulatorio da campo, caricandola su di una porta trovata tra le macerie. All’ambulatorio c’era un medico, ma non disponeva né di medicine né di altri strumenti. L’unica cura e medicina consisteva nel disinfettante tutti i tipi di ferite o di scottature con un liquido di colore rosso, la tintura di iodio penso. Nessuna operazione o cura fu possibile. Un gruppo di donne volontarie della città ogni giorno ci portava del cibo.
Alle persone sane davano un “nighiri” (una polpetta di riso cotto) al giorno. Troppo poco per colmare la nostra fame. Per trovare qualcosa da aggiungere al povero pasto, io andavo ogni giorno a cercare fra i ruderi di una fabbrica di scatolame. Rovistando tra le macerie trovavo spesso delle scatole di ostriche esternamente intatte. Ma dopo averle aperte con fatica, usando dei chiodi, normalmente trovavo che il contenuto era completamente carbonizzato. Benché bruciac¬chiato e puzzolente raccoglievo quanto era ancora mangiabile. In mezza giornata di lavoro riuscivo a mettere insieme alcuni bocconi di roba disgustosa; una parte era per la nonna, il rimanente per noi due.
Durante la notte, in diversi punti attorno al nostro rifugio, si bruciavano i corpi dei morti. Questo mesto lavoro durò a lungo. Mi rimangono scolpite nella mente e nel cuore le scene strazianti di famigliari che tengono abbracciato il defunto e non vogliono consegnarlo alle fiamme. E poi l’insopportabile olezzo sprigionato dai cadaveri, che invadeva tutto e rimaneva inesorabilmente appiccicato a noi! Tormento indescrivibile!.
Non si trovava la legna sufficiente. Ragazzo di 15 anni, passando con orrore e ripugnanza sopra i corpi abbandonati, partecipai attivamente anch’io alla quotidiana e faticosa alla ricerca della legna necessaria. Un lavoro ben più pesante e difficile della ricerca del cibo. Siamo giunti a dissotterrare anche la parte inumata dei pali della luce, pur di racimolare il necessario. Lascio a voi il compito di immaginare quanto abbia sofferto la popolazione di Nagasaki superstite alla bomba atomica: pane quotidiano era il dolore, il pianto, il disgusto, e la morte.
4- La notizia dell’arrivo degli americani e la fuga da Nagasaki
Un giorno la notizia dell’imminente sbarco dell’esercito americano si sparse tra la popolazione, seminando panico e confusione. La paura di essere violen¬tate spinse le donne a fuggire dalla città, chi verso le montagne e chi verso la campagna. Mia mamma riuscì ad affittare una barca ormeggiata nel porticciolo del mercato dei pesci, e con la nonna, sempre in gravissime condizioni, fuggimmo a Fukumi, una piccola frazione di Narao, nel lontano arcipelago di Goto. Qui si era rifugiato anche mio nonno durante l’ultimo periodo di perse¬cuzione dei cristiani, nel 1873. Il viaggio durò oltre 6 ore. Il primo segno di vita che avvistammo avvicinandoci all’isola fu la Croce posta sopra la chiesa, una bella costruzione in mattoni rossi. Illuminata dal sole, la Croce sembrava brillare e avvicinarsi a noi sopra le onde, segno di libertà e di speranza.
Io spero che nessuno dei siluri o delle mine, costruite contro voglia dalle mie mani intrise di grasso, abbia colpito e affondato una nave nemica. Dopo aver ricevuto la Cresima nella chiesa di Urakami, io avevo smesso di frequentare la chiesa. Non avevo dimenticato la chiesa, dico la verità. Il lungo e pesante lavoro quotidiano nella fabbrica della Mitsubishi, cui ero stato obbligato, mi aveva tolto la libertà e il tempo di andarvi. La gioia di essere ormai lontano da quella penosa situazione e la vista della chiesa di Fukumi risvegliarono dentro di me l’assopito cuore di credente. Fu una riscoperta indimen¬ticabile: non mi fu possibile fermare o conterete le calde lacrime di commozione. Sbarcati sull’isola, oltre che dalla paura fummo finalmente liberati anche dalla fame cronica; ma dopo circa una settimana, in seguito a vomito prolungato di un liquido giallastro e di sangue, la nonna morì, certamente per gli effetti letali delle radiazioni atomiche subite. Fukumi era una piccola chiesa succursale senza sacerdote. Per partecipare alla Messa, una delle successive domeniche andai alla chiesa di Kiri, lontana tre ore di cammino. Ricordo bene che stentavo a stare al passo degli altri e che, non essendomi confessato da molto tempo, dubitai se accostarmi o no alla Comu¬nione. Ma poi dentro di me pregai: “Signore, perdonami. D’ora in poi andrò in chiesa e mi confesserò al più presto…”, e serenamente ricevetti l’Eucaristia.
5- Perché Nagasaki?
Nella zona compresa tra due chiese famose (entrambe totalmente distrutte dall’atomica), Nakamachi, al centro città, e Urakami, la cattedrale di Nagasaki costruita in periferia, erano condensati i maggiori impianti industriali della Mitsubishi: i cantieri navali, le acciaierie, e le fabbriche di impianti elettrici e di armi. L’85~90% della manodopera della città era impiegata da queste industrie, uno dei nuclei più importanti dell’industria bellica nazionale.
L’aereo con la bomba atomica lanciata su Nagasaki era partito per un’altra destinazione, Kokura, nella città di Kita Kyushu, altro importantissimo centro industriale. Tuttavia le condizioni meteorologiche di quella mattina fecero mutare la rotta dell’aereo, e così la bomba atomica venne sganciata su Nagasaki, seconda città nella lista degli obiettivi prefissati.
Nell’elenco delle industrie danneggiate dall’atomica, pubblicato dalla città di Nagasaki nel 1977, figurano le seguenti: cantieri per navi da guerra, cantieri per navi da trasporto, fabbriche di attrezzature per le navi, generatori di corrente, motori, impianti speciali di illuminazione, impianti industriali. Non appare esplicitamente l’industria per la produzione di armi, ma pare evidente che Nagasaki sia stata scelta per indebolire le potenzialità belliche del Giappone.
6- Paolo Nagai
Il periodo della rinascita del quartiere e della chiesa di Urakami è caratterizzato dalla presenza e dalla attività del dottore Paolo Nagai, rappresentante e guida dei fedeli colpiti dalle radiazioni, chiamato anche il “santo dell’atomica”. Tutti lo ricordano come il personaggio centrale del cinema “Le campane di Nagasaki”. Paolo Nagai fu colpito dalle radiazioni mentre era al lavoro nell’Ospedale dell’università di medicina di Nagasaki. Sua moglie fu totalmente consumata dalla fiamma atomica nella sua casa, lasciando come unico segno della sua presenza la sua corona del Rosario. Paolo Nagai curò personalmente l’educazione dei suoi due figli. Dopo essersi prodigato ella cura degli ammalati e alla rinascita della comunità dei fedeli di Urakami, fu ridotto all’immobilità totale. Scelse quindi di vivere in una piccolissima stanza di poco più di 3 metri quadri, dedicandosi allo studio degli effetti delle radiazioni atomiche, anche sul suo corpo, e a mettere per iscritto quanto lui aveva intensamente vissuto. Di lui conservo anch’io un vivissimo ricordo che risale al maggio 1951. Sono molto conosciuti i suoi scritti “Lasciando questi miei figli”, “La corona del Rosario” “Le campane di Nagasaki”, base del film che ha avuto molta risonanza sia in Giappone che all’estero. Ricorrendo questo anno il centesimo anniversario dalla sua nascita, a Nagasaki sono programmate numerose manifestazioni in suo ricordo e per far conoscere alle nuove generazioni il suo profondo amore e desiderio di pace. Recentemente i suoi due figli, Makoto e Ayano, sono successivamente scomparsi a poca distanza di tempo. Un nipote ne custodisce le memorie, e continua a trasmettere ai gruppi di studenti, che ogni giorno visitano il piccolo mausoleo, il suo splendido messag¬gio tratto dal Vangelo: “Ama ogni uomo come te stesso”.
7- Il contributo di Nagasaki alla pace nel mondo.
Nella zona che comprende l’epicentro la città di Nagasaki ha costruito un immenso “parco della pace” e un moderno e bellissimo museo dell’atomica, con numerosi reperti e abbon¬dante materiale illustrativo circa il problema delle armi nucleari. Ogni anno nel “parco della pace” si svolge la solenne cerimonia di comme¬morazione e di preghiera per quanti sono deceduti a causa dell’atomica. In questa occasione il Sindaco di Nagasaki invia al mondo il suo messaggio per la pace. L’anno scorso, dopo aver pronunciato dure parole verso quei paesi che invece di dimi¬nuirlo stanno rendendo più grave e attuale il pericolo della proliferazione del nucleare, nel testo del messaggio il Sindaco citò le parole che Paolo Nagai aveva scritto circa l’importanza della pace. Numerosi gruppi, tra i quali anche organizzazioni cattoliche, arricchiscono la cerimonia con canti e manifestazioni varie. Numerosissime le delegazioni estere. Tra queste, ogni due anni, giunge a Nagasaki un folto gruppo di giovani israeliti e palestinesi, invitati dalla Diocesi di Nagasaki per studiare insieme i problemi della pace e pregarla insieme. Un ragazzo palestinese mi disse: ”Mi hanno ucciso i famigliari. Non mi è ancora possibile cancellare dal cuore l’odio e il desiderio di vendetta. Ma qui a Nagasaki ho potuto ridimensionare questi sentimenti. Quanto ho appreso in questo luogo un giorno mi aiuterà sicuramente a diventare un costruttore di pace.” La Diocesi di Nagasaki, la sera del 9 agosto ogni anno, celebra una Messa speciale di suffragio per i defunti e di preghiera per la pace sul piazzale del parco della pace. Dalla chiesa di Urakami parte la processione aperta da una portantina con il volto della statua della Madonna. È una preziosa “reliquia”: il volto bellissimo della statua della Madonna Assunta che era posta al centro dell’abside della chiesa andata distrutta. Fu ritrovato tra le macerie. Le occhiaie sono vuote e bruciacchiate. Gli occhi, originariamente di materiale vetroso, si sono sciolti per l’altissima temperatura scatenata dall’esplosine atomica, lasciando sulle gote la tracce della fusione, come di sofferte lacrime nere. Le torce nelle mani dei fedeli illuminano la strada e la lunga processione orante fino al parco della Pace. Questo volto è ora conservato in una particolare teca posta sopra l’altare della piccola chiesa laterale come preziosa memoria di quel giorno, perenne segno e promessa di amore e di pace. Sul lato sinistro della medesima cappella sono posti dei pannelli di rame con incisi i nomi di tutti gli 8,500 fedeli defunti sotto l’atomica. Questo volto della Madonna fu portato a Cernovil in Bielorussia, per la solenne messa in suffragio dei defunti in quella famosa calamità atomica, come segno di fraterna condivisione del dolore e preghiera per la pace da parte dei fedeli di Nagasaki.
La cittadinanza di Nagasaki, una delle due città giapponesi devastate dalle armi nucleari, sente molto profondamente il problema della pace, ma ci pare che il mondo non percepisca sufficientemente il nostro grido di sofferenza e il nostro appello alla pace. Durante il Summit di Sapporo nel 2007, abbiamo invitato tutti i capi di stato a visitare il “Padiglione dell’atomica” allestito appositamente in quella città da Hiroshima e Nagasaki, ma nessuno di loro lo visitò. Il fatto che il processo del disarmo atomico non progredisca nella società internazionale è per noi, vittime dall’atomica, fonte di nuova sofferenza e di delusione.
Parlando di Pace non posso dimenticare “La Campana di Nagasaki”. Come richiesta di perdono per l’insensato bombardamento di Pearl Harbor, divenuto motivo della guerra tra il Giappone e l’America, e segno visibile del nostro desiderio di riconciliazione e di pace, l’associazione delle vittime dell’atomica su Nagasaki nel 1990 inviò alla città di Honolulu una
copia della “Campana di Nagasaki”. Copie di essa sono state installate in America, in Russia, in Cina e in diversi altri luoghi: ovunque il loro suono invoca su tutto il mondo la pace. Le originali “campane di Nagasaki” furono abbattute e distrutte insieme alla cattedrale. Di alcune di esse si fece copia, ed ora sono installate nella torre campanaria della nuova chiesa di Urakami. Una parte della torre campanaria originale rimane tuttora semisepolta sul fondo della scarpata, accanto al rigagnolo, conservata come testimonianza della tragicità della guerra atomica e come appello alla pace per tutti I passanti.
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8- Noi coniugi, entrambi colpiti dalle radiazioni atomiche.
Anche mia moglie è vittima dell’atomica. Viveva a 1 chilometro e 800 metri dall’epicentro. Risultò come “dispersa”, perché era rimasta ferita e immobilizzata sotto le macerie della sua casa. Fu tratta in salvo la sera del 9 agosto da uno suo zio, un chierico ritornato a Nagasaki per le vacanze estive. Venne curata da Paolo Nagai nel piccolo ospedale da lui aperto a Mitsukeyama. Porta ancora varie cicatrici sia nel corpo che nella testa. A causa delle radiazioni dovette subire l’asportazione delle ghiandole paratiroidali. Divenuta di salute cagionevole tuttora deve ricorrere quasi quotidianamente a visite mediche e a medicine. I due fratelli di mia moglie soffrirono di leucemia e morirono preco¬cemente di tumore. Quando io scappai da Nagasaki per rifugiarmi a Fukumi mi pareva di godere buona salute. Ma in realtà le gengive erano sempre sanguinanti. Anche questo è uno degli effetti delle radiazioni subite. Le cure durate tre mesi ebbero buono effetto e finalmente guarii, procurando sollievo a mia mamma preoccupata. Lei invece accusò presto gravi disagi nella salute ed è morta di tumore.
9- La paura di raccontare e di essere riconosciuti come vittime
Il matrimonio tra noi due, entrambi vittime dell’atomica, fu possibile grazie alla premurosa opera di persuasione di un sacerdote nostro parente. Occorre qui ricordare che a quel tempo l’opinione comune riteneva che gli effetti delle radiazione subite avrebbero causato gravi malattie ereditarie. Non furono rari i casi di tragedie familiari causate dal fatto che uno dei coniugi aveva nascosto all’altra parte il fatto di essere stato esposto alle radiazioni. Ricordo che a un mio compagno di lavoro, annunciatore televisivo, fu negato il matrimonio con una giovane di Tokyo, peraltro già fissato nei dettagli, solamente perché si venne a sapere che i suoi genitori erano vittime dell’atomica. Anche un fedele della chiesa di Urakami, mio caro amico, mi disse di non aver rivelato allo sposo di sua sorella di essere stato “toccato” dalle radiazioni, e tuttora non rivela a nessuno il suo segreto. Nel museo dell’atomica aperto al pubblico nel 1955 (oltre 10 milioni di persone lo hanno già visitato) attira l’attenzione di tutti una gigantesca fotografia di un bambino con in mano una polpetta di riso, in piedi accanto a sua mamma. Questa donna è deceduta per tumore causato dall’atomica, ma quel bambino è oggi un adulto in piena salute. La foto racconta in modo quasi crudele la tragedia della guerra, ed è famosa in tutto il mondo. Non penso che l’interessato senta vergogna di quella foto purché lo ritrae sporco e con in testa un cappello imbottito, usato per difendersi durante i bombardamenti. Ora ha 67 anni compiuti, ma ancora non ha fatto conoscere a nessuno la sua storia e il suo nome. Io lo incontro ogni domenica alla messa. Quando si avvicina la data del 9 agosto e si risveglia in me lo spirito di giornalista, ogni anno provo a proporgli di sciogliere il suo silenzio. Ma lui, dopo uno strin¬gatissimo: “Quello…”, che lascia appena percepire la bufera di dolore che porta nel suo cuore, scompare triste nel silenzio.
Proprio nella prima sala del medesimo museo c’è un’altra scena agghiacciante. Giganteschi pannelli fotografici presentano ai visitatori lo stato pietoso, o meglio, le rovine di Urakami, conosciuta nel mondo come una delle più belle chiese dell’Oriente. Sulla parete di fronte, con i ruderi ricuperati è ricomposta una parte di parete con una colonna della facciata, autentiche reliquie. Al trovarsi di fronte alla realtà qui ricostruita, i visitatori rimangono come inchiodati al pavimento, immobili nello sgomento che li avvolge. Recentemente il numero delle scolaresche che vengono a visitare il museo pare sia in diminuzione. È invece in forte incremento il numero di quanti vengono in visita privata. Ricordo quanto un pilota dell’aviazione italiana scrisse nell’album aperto ai visitatori nel 1984.
“Con due aerei ho portato a Nagasaki più di 100 aspiranti piloti dell’aviazione militare. Non siamo venuti per far loro studiare l’uso delle armi atomiche, ma per far vedere a questi giovani quali tragedie esse producono, e far loro desiderare che l’Italia mai accetti di possedere e di usare simili ordigni!”.
10- I nostri tre figli sono sani
I parenti guardavano al nostro matrimonio con una certa preoccupazione. Ma i nostri tre figli non hanno mai avuto problemi di salute. Per non suscitare in loro la paura di essere portatori di malattie ereditarie, fino alla loro giovinezza anche noi due abbiamo tenuto il segreto sul fatto di essere vittime dell’atomica. Ma ai nostri nipoti ogni anno, anche per aiutarli a fare i loro compiti delle vacanze, raccontiamo apertamente la nostra esperienza. Un giorno raccontai ad un nipotino di avere mangiato un gabbiano che aveva abboccato all’amo della canna da pesca al posto di un pesce. Lui sgranò gli occhi per la meraviglia. Ma è la verità. Era molto bello e bianchissimo. La parte buona da mangiare era molto poca, ma in quel momento storico fu per me fonte di energia e di vita. Ogni anno, quando vedo i gabbiani sorvolare di nuovo il fiume vicino a casa, dentro il mio cuore confesso loro il mio passato: “Dovete scusarmi. Quella volta non avevo nulla da mangiare. Non ho resistito alla tentazione della fame. Ho preso un vostro compagno e l’ho mangiato.” Un’altra nipotina, di nome Kaori, a quindi anni ha vinto un concorso bandito dalla città di Yokohama tra gli alunni della scuola media, con un tema basato su quanto io le avevo raccontato. Come premio fu inviata a Nuova York, “Ambasciatore di Pace” alla sede centrale dell’ONU.
11- “Nagasaki. Le lacrime del nonno”. Il tema di Kaori.
Che cosa vedono i tuoi occhi?
I miei vedono la mia famiglia, gli amici, i professori…
Non hai mai pensato che tutto questo possa scomparire in un solo istante?
Nelle vacanze d’estate io vado sempre a Nagasaki. Anche durante le vacanze della quarta elementare sono andata a casa del nonno. Qui ho scoperto un orologio pendolo tutto rovinato. Le lancette erano ferme sulle 11:02. “Perché tieni questo orologio così brutto e tutto rotto?” chiesi a mio nonno. Con il volto triste e molto lentamente il nonno iniziò a raccontarmi la storia di quell’orologio: “Si è fermato al momento dell’esplosione atomica”.
In quella occasione e per la prima volta ho sentito queste paurose parole: bomba atomica..
Nel cortile della scuola elementare vicina ci sono 50 ciliegi. Li chiamano “I ciliegi di Kayoko”. Davanti a quelle piante, con gli occhi tumidi di lacrime, mio nonno mi raccontò la loro storia. Mi disse che aveva pianto anche quando, per la televisione, lì lui aveva intervistato Hayashi Tsue, la mamma di Kayoko. Kayoko aveva 15 anni, come me ora. Amava i fiori e la musica. Come a Kayoko anche a me piace tanto la musica e faccio parte della banda della scuola. Per il concerto di due anni fa abbiamo scelto di suonare “Expiation”, un brano musicale che fa riflettere sulla guerra. Durante le prove e l’esecuzione abbiamo intensamente pregato che mai più gli uomini ritornino a farsi guerra. Se io vorrò continuare lo studio della musica, che tanto mi piace, lo potrò fare con tutta libertà. Ma la bomba atomica su Nagasaki in un baleno infranse il sogno e rubò la vita di Kayoko. Per ricordare la figlia, che amava tanto i fiori, sua mamma Tsue decise di piantare questi ciliegi, perché per decenni e per secoli continuassero a far risplendere i loro fiori. Da quando sentii per la prima volta i racconti del nonno su Nagasaki, io li ho custoditi nel profondo del cuore, ma non ho mai trovato il coraggio di raccontarli ai miei amici. Ora che ho raggiunto l’età di Kiyoko mi sembra giunto il momento di dire a tutti quanto mio nonno mi ha insegnato: “Il Giappone e il mondo intero ancora non possiedono la vera pace”. Le piante di ciliegio sono un simbolo di pace. Continuano a fiorire per decenni e per secoli. Come una pianta di ciliegio che conserva a lungo la vita e continua a fiorire, così il nostro paese continui a far fiorire e conservare la pace.
Quanto io posso fare ora è raccontare a tutti l’esperienza di mio nonno e quanto io sento dentro il mio cuore, per pensare insieme al vero significato della parola pace. Si dice che quanto è intensamente pensato e desiderato sicuramente diventa realtà. Io prego inces¬santemente che in voi ci sia sempre la “vera pace”.
12- Conclusione
Dal quel 9 agosto, il giorno dell’atomica su Nagasaki, sono passati ormai oltre 63 anni. Nonostante le intense ricerche delle organizzazioni assistenziali, molti “resti umani” sono ancora senza un nome. L’età media della popolazione colpita dalle radia¬zioni è ormai salita a ca. 75 anni. Molte cose, molti particolari e molti ricordi stanno scom¬parendo con la morte di chi ha custodito nel segreto del suo cuore la sofferta memoria di quel giorno, senza poterla manifestare ad altri. Per raccontare quel giorno alle nuove generazioni e a quanti desiderano la vera pace e a tutto il mondo, stiamo preparando materiale illustrativo e formando persone capaci di trasmettere il nostro messaggio.
A- La tomba di famiglia .
Permettete che vi parli della tomba della mia famiglia. Questa accoglie le ceneri di 17 persone, tra cui quelle di una intera famiglia uccisa dalla atomica. Quando, nel 2004, feci visita ad un anziano sacerdote mio parente, questi mi sorprese dicendo: “Nella tua tomba è sepolta una certa Kikuchi. Tu sai chi è?” Non lo sapevo. Stimolato da quella domanda a lungo cercai qualcuno con quel nome, ma invano. Solo per caso, frequentando il Centro Cattolico come volontario, mi accorsi che tra i dipendenti c’era una suora chiamata suor Kikuchi. Le chiesi quindi se lei sapesse qualcosa della persona sepolta nella tomba della mia famiglia, e con mia grande sorpresa ho potuto scoprire che la Kikuchi nostra “ospite” era una mia zia suora. Dalla sua morte erano passati ben 59 anni. Solamente tre anni fa ho potuto saperne di più. Una televisione privata, “rivale” e in concorrenza con quella per cui io lavoravo, mi chiese di accettare una intervista. Avrei voluto rifiutare la proposta, sennonché mi dissero che l’intervista riguardava una mia zia suora. Difficile descrivervi la sorpresa e la gioia provata quando, davanti alla telecamera, mi raccontarono quanto segue.
“Di fianco all’attuale Centro Cattolico di Nagasaki ora c’è un asilo cattolico tenuto dalle “Suore di Gesù Bambino”. Anticamente le medesime Suore gestivano qui una scuola superiore per ragazze. La bomba atomica del 9 agosto la dilaniò e ridusse in cenere, uccidendo ben 210 alunne e professori. La gente ricorda che durante tutta la notte da quel cortile si sentiva provenire un delicato coro di voci femminili cantare bellissime melodie in latino. A tratti le voci si spegnevano, ma poi il canto di lode riprendeva, finché l’acro odore del fumo spense il canto e ogni segno di vita. La mattina seguente la gente trovò nel cortile il cadavere di 7 o 8 suore che si tenevano per mano, unite nel sacrificio della vita e nel canto di lode fino alla morte. Una delle suore era quella mia zia, suor Kikuchi.
B- La ricostruzione della città di Nagasaki.
Già l’anno dopo, nel 1946 la città di Nagasaki ha iniziato numerose attività rivolte alla ricostruzione. Più che la ricostruzione materiale, le varie attività intendevano riportare la cittadinanza alla serena vita normale. Nelle strade apparvero dei tram con i fianchi coloriti di fiori. Si organizzarono delle parate di studenti con danze e musiche, e altre manifestazioni. Tutto questo nella parte della città risparmiata dalla bomba atomica; ma nella zona di Urakami, quella più colpita, comparvero solamente delle isolate lunghe baracche di legno, adibite ad abitazione. Successe però una cosa strana. La popolazione di Nagasaki subì una forte crescita del 16%, salendo a 190,000 unità (ora gli abitanti sono 446,000). L’inatteso incremento era causato dal ritorno in patria di emigrati in sud America, e di militari che la lunga guerra aveva inviato nei paesi asiatici limitrofi. Questo incremento rese più evidente la scarsezza di cibo. La crisi venne superata nel 47, con l’arrivo di ingenti quantità di cibarie come “aiuto del popolo americano”, e grazia anche ad un inizio di ripresa della produzione nazionale. Solo leggermente più tardi si potrà verificare una fattiva ripresa delle attività della chiesa cattolica. Nagasaki aveva perso le due chiese principali e numerosissimi fedeli. Con lo stabi¬liz¬zarsi della pace fu possibile organizzare tre grandi celebrazioni.
La prima, nel maggio del 1949, per ricordare il 400º anniversario dell’arrivo del Saverio in Giappone. La Messa di apertura delle celebrazioni venne fatta all’aperto, fra i ruderi della chiesa di Urakami, lasciati lì a testimoniare la tragedia della bomba atomica, e raccolse oltre 2,000 fedeli. Ci fu poi una solenne processione con la reliquia del braccio del Santo, inviata al Giappone dalla chiesa del Gesù in Roma, una lunga fiaccolata per le strade della città. Il ciclo dei festeggiamenti si estese quindi a tutta la nazione, e durarono 15 giorni. Giunsero in Giappone delegazioni di 20 nazioni, e oltre 100,000 persone presero parte all’avvenimento.
La seconda, nel 1959, fu la dedicazione della nuova cattedrale di Nagasaki, la chiesa di Urakami, rifatta sul disegno originale della costruzione precedente, realizzata per celebrare la fine della persecuzione e poi distrutta dall’atomica. La comunità finalmente ritornò a vivere le liturgie e la celebrazione della fede nella “sua chiesa”.
La terza avvenne nel giugno del 1962, per ricordare i cento anni passati dal giorno in cui furono proclamati Santi i 26 martiri di Nagasaki. Dopo la celebrazione presso Ôura, la Chiesa del Ritrovamento, ora monumento nazionale, una impressionante fiaccolata di 7,000 fedeli illuminò la notte di Nagasaki fino alla collina di Nishizaka, il luogo del martirio.
Messaggio
Da una delle vittime dell’atomica su Nagasaki
A sua ecc.za rev.ma Mons. Renato Corti
Vescovo di Novara
20 dicembre 2008
Fui colpito dalle radiazioni della bomba atomica sganciata su Nagasaki mentre ero ancora nel grembo di mia madre. A causa dell’immensa distruzione causata da quella bomba, mia madre perse due sorelle e un genero. Una mia cugina, moglie del sig. Fukahori, riportò ferite così gravi, che è davvero un miracolo che sia riuscita a salvarsi. Un suo fratello a causa delle radiazioni atomiche, è morto 16 anni dopo il 1945. Ancor oggi, a distanza di oltre 63 anni, moltissima gente soffre le conseguenze di quell’evento.
L’esplosione dell’atomica su Hiroshima causò la morte immediata di 160.000 persone. Quella su Nagasaki ne uccise all’istante 70.000, ma la cosa che certamente ci rende più tristi è che la città di Nagasaki fu scelta come laboratorio scientifico per sperimentare direttamente sull’uomo. Mentre, infatti, l’atomica sganciata su Hiroshima era all’uranio, quella su Nagasaki era al plutonio; subito dopo l’esplosione, perciò, si dette avvio ad una minuziosa ricerca sugli effetti causati dalle radiazioni sul corpo umano.
Se poi consideriamo che a lanciare quell’orribile arma è stato un paese che si professa cristiano, la cosa appare ancora più spaventosa. I cristiani infatti non solo sanno che “non si deve uccidere”, ma anche che “non c’è amore più grande di quello di offrire la propria vita per un amico” (Gv.15,13).
Nessun motivo può giustificare l’uso di un’arma come questa, che oltre a togliere la vita a numerosissimi esseri umani, ne danneggia gravemente quella di molti altri, e produce effetti disastrosi sull’ambiente. Non solo vanno eliminate tutte le bombe atomiche esistenti, ma ad ogni costo si deve impedire che se ne costruiscano di più potenti e sofisticate.
Con le armi e con la violenza non è infatti possibile costruire la pace.
+Giuseppe Mitsuaki Takami
Arcivescovo di Nagasaki