INDIA

Nella terra di Gandhi

La violenza e i fondamentalismi crescono a dismisura e in modo preoccupante nonostante le radici pacifiche e tolleranti della religione induista. Giovanna Negrotto, nell’intervista che segue, ci aiuta a capire cosa sta accadendo e ci accompagna in sentieri inesplorati di pacificazione possibile.
Intervista a cura di Tonio Dell’Olio

Giovanna Negrotto è già nota ai lettori di Mosaico di pace per la sua scelta evangelica che l’ha posta come pellegrina sui passi di Charles De Foucauld e della sua spiritualità. Ha scelto la dimensione del cammino come costitutiva della sua vita perché è una scelta di povertà. Normalmente chi accoglie è in una posizione di superiorità rispetto a chi viene accolto o ospitato. In questi anni Giovanna si è rivelata un filo prezioso per tessere relazioni e amicizie dapprima lungo lo stivale d’Italia e poi in tante zone del sud del mondo. La incontriamo quando è tornata da poco dall’India, che ormai è una meta fissa del suo evangelico migrare. Molte impronte di queste sue frequenti visite nella terra di Gandhi le troviamo in una sua recente pubblicazione dal titolo “I sentieri inesplorati” edito da Messaggero di Padova. Ci interessa cogliere qualche chiave di lettura su quanto sta avvenendo in India rispetto agli episodi di violenza ai danni dei cristiani.

Piuttosto che considerazioni, ti riferisco ciò che mi è successo la notte del 5 dicembre scorso. Mi trovavo nell’aeroporto di Delhi all’una e mezzo circa. Ero ormai già all’ultimo “check-in” del bagaglio a mano quando.... improvvisa e brutale, è scoppiata la battaglia: raffiche di mitra; esplosioni che facevano tremare le pareti; urla di donne cui facevano eco i pianti a dirotto di tanti bambini dal terminal che io avevo da poco lasciato. Corse frenetiche e grida di uomini: “It’s a terroristic attack – all on the floor!”. Io e una donna indiana ci teniamo strette le mani, accovacciate contro il muro di una stanzina del check-in interno, mentre la piccola hostess è nascosta sotto il tavolo. Le labbra si muovono in preghiera. Una pausa; poi riprendono le corse anche verso di noi che pensiamo: “Ora, o ci prendono in ostaggio, o ci sparano!”. Poi, tutto tace – e vengono a dirci semplicemente: “Tutto è finito. Grazie a Dio nessuno è morto”. Al “Duty-free” dove ci offrono bevande gratis, ci ritroviamo accasciati sulle sedie, angosciati e con il cuore pieno di preghiera autentica. Nessuno parla, né chiede notizie. Siamo una folla! Non avevo mai visto l’aeroporto così pieno:.. voli notturni verso tutto il mondo, che partiranno tutti – ma con tre ore di ritardo. Solo “Sky e News mattina” daranno la notizia facendo vedere qualche immagine mentre sul Corriere della Sera troverò un trafiletto con la notizia data dalla BBC. Pare che i terroristi volessero prendersi degli aerei e ripetere un piccolo “11 settembre” andando a colpire in India, obiettivi civili.

Raccontandoci questo episodio sembra quasi che tu voglia ribadire che la violenza sia addirittura più diffusa di quanto ci venga riferito dai media. Non riesco a sopportare l’idea che proprio nell’India di Gandhi, la terra in cui convivono etnie, fedi e tradizioni millenarie… ci sia un clima di violenza tanto diffusa e feroce. Cosa succede? Perché?
Infatti ciò che avviene è esattamente il contrario dell’atteggiamento millenario dell’induismo – noto ovunque come la religione più tollerante. Si tratta di una spiritualità che non vuol nemmeno sentire la parola “tolleranza” perché dice: “Siamo figli dello stesso Padre, quindi fratelli – e tra fratelli, non ci si tollera!”. Anche tra gli hindù oggi si deve registrare la presenza di un movimento caratterizzato dal fanatismo violento che a torto viene definito “fondamentalista”, ma che non è assolutamente di matrice religiosa. Lo sa bene anche la gente semplice, laica, feriale e te lo dice nei negozi e nei mercati dell’India. Dietro le quinte ci sono le strumentalizzazioni di frange di politica e di economia della “stessa estrema destra che ha ucciso Gandhi” e che qui chiamiamo: “signori della guerra”. Di quando in quando riprendono lena a cercare di emarginare e annullare sempre più gli intoccabili, i tribali, i dhalit (e tutti quelli che li aiutano). Si tratta di una sorta di “pulizia etnica” sostenuta anche da “leggi razziali”. Già nel 1999 a Bombay era scoppiata questa piaga e più tardi nel Bhar e ne hanno fatto le spese alcune suore e soprattutto delle famiglie protestanti cristiane molto zelanti nel testimoniare il Vangelo accanto ai lebbrosi e ai più poveri. In ogni caso resta paradigmatico ciò che è accaduto a fine novembre a Mangalore (Kannada meridionale) dove è stata proprio la polizia ad attaccare le comunità cristiane, ma non c’è stato seguito perché c’era una forte presenza internazionale.

Invece tu pensi che vi sia un rispetto più radicato e diffuso nei confronti dei cristiani e del cristianesimo… Inoltre ti chiedo: si possono escludere completamente responsabilità o almeno alcuni atteggiamenti sbagliati da parte delle Chiese cristiane?
È alquanto diffusa la paura o la preoccupazione per un proselitismo indiscriminato che viene vissuto come un tradimento delle tradizioni e del radicamento in quella terra. A questo si aggiungano certe dichiarazioni della gerarchia del tipo: “E ora andiamo a evangelizzare l’Asia” come nei primi due millenni abbiamo evangelizzato l’Africa e l’America Latina. In un contesto di questo tipo è sufficiente l’uccisione di un monaco hindù ritenuto santo – come è avvenuto a Orissa – ad accendere la miccia. Ma sarebbe importante chiedersi perché e chi ha incolpato (come all’epoca di Nerone) i cristiani?! L’India mia (i miei amici e le mie amiche indiane, n.d.r.) , quella del Gange ai piedi dell’Himalaya, quella che è “la più sacra”, il cuore stesso dell’induismo, non è violenta! Non è anti-cristiana e spiega così l’uccisione del loro Monaco: “Sono i maoisti del Nepal” (che infatti non è lontano da Orissa). In tante occasioni ho potuto constatare quanto sia amato il Cristo! D’altra parte hanno sempre mostrato più che rispetto, venerazione, per me, per noi, per la nostra identità di consacrate e consacrati. Quanti monaci induisti partono dall’India per arrivare ad Assisi e prostrarsi sulla Tomba di Francesco! Swami Chidananda, indicato da tutti come il Francesco dell’India, mi ha regalato due ampolle, una di acqua del Giordano per ricordare il battesimo di Gesù e una di incenso della Terra Santa “per ricordare i Re Magi venuti dall’Oriente ad adorare Gesù” – così mi aveva detto lui, accompagnando le parole con un luminoso sorriso. Questa è l’India degli oranti.

Ma a quanto pare non c’è solo questa India…
Poi c’è l’India dei potenti, delle sempre crescenti contraddizioni anche “generazionali”. Perché, se è vero che esiste ancora il sistema delle caste (problema da rinviarsi peraltro al loro credere nella reincarnazione ovvero al “Karma” accumulato nelle vite precedenti) ed esistono ancora, specie nei villaggi remoti delle Montagne, tradizioni crudeli, quali quelle di cui sono vittime senza voce come le vedove e i lebbrosi (in India è concentrato il 90% della lebbra del mondo! 620.000 nuovi lebbrosi in India su 730.000 nel mondo). Mentre le autorità si limitano a censirli senza prestare loro nessuna forma di assistenza, restano i volontari e le volontarie a vivere questa prossimità urgente e indispensabile. Agnes Kunze (di Monaco), Pierre (Francia), Raffaella (Roma), Ann (Olanda) e le carissime suore indiane (Assisi-sisters) impegnate a portare le terapie a domicilio fra rocce e tuguri. Del potere è la decisione perversa (mascherata da utilità pubblica) della costruzione appena terminata di una diga a Tehri Garhwal con una quantità impressionante d’acqua. Gli esperti lo definiscono un progetto criminale perché hanno costruito una diga in una zona altamente sismica che al minimo terremoto rischia di sommergere Rishikesh (detta la città dei Saggi!) nel giro di un’ora e dopo solo due ore: di inondare e sommergere Delhi!

Sembra un quadro desolante. Dove sono i segni di speranza?
Ci sono tantissimi segni luminosi, visibili, edificanti, vivi di una povertà dignitosa e lieta, di una ricchezza che sa farsi condivisione generosa; di una preghiera seria e gioiosa; di una rinata consapevolezza dei problemi sociali confessata anche sui giornali e vissuta con impegno da qualche sindaco santo; di una religiosità condita di commovente devozione e di servizio, ma soprattutto di un atteggiamento feriale, laico, fatto di gesti continui di pace e di fraternità. Anche in India si ascolta frequentissimamente il “no problem” ed è puntualmente condito con un sorriso.
Come pregavo nel 1998 – dando un contenuto forte al mio pellegrinaggio alle Sorgenti del Gange (Gaumukh, 4.200 m.) – proprio una settimana dopo la prima sperimentazione di bomba nucleare, in risposta a quella del Pakistan: “Signore, fa’ che l’India non la usi mai!” – così oggi – con te, e con voi tutti prego che l’India – un’India pacifica e giusta – possa continuare a custodire e a trasmettere ai giovani quei tesori millenari di cui Gandhi è il simbolo e a essere per tutti noi grande maestra di saggezza.

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