ULTIMA TESSERA

Il genocidio sudanese

La recente richiesta di arresto del presidente del Sudan per crimini contro l’umanità e tutto ciò che la precede: storia di una interminabile guerra.
Diego Marani

La richiesta di arresto della Corte Penale Internazionale (Cpi) nei confronti del presidente Omar el Bashir per crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Darfur ha portato per un paio di giorni il Sudan sulle prime pagine di tutto il mondo; contemporaneamente essa sembra avere ulteriormente indebolito la già fragile pace del Sudan.
Il Darfur non è solo una regione del Sudan grande circa come la Francia ma è anche una parte del problema-Sudan. Senza affrontare la complessità di ciò che è accaduto in Sudan negli ultimi anni, non si può capire la guerra del Darfur né il ruolo di Bashir.
Il Sudan è uscito solo nel 2005 da una guerra civile tra Nord e Sud, scoppiata nel 1983, che ha causato due milioni di morti. Il nuovo governo di unità nazionale riunisce i due ex nemici: il National Congress, partito feudo di Bashir, e lo Splm (Sudan People Liberation Movement) guidato da Salva Kiir, il quale è vicepresidente del Sudan e presidente del Sud Sudan, ampiamente autonomo. Il trattato di pace del 2005 prevede entro quest’anno le prime elezioni: sia il Nc sia lo Splm cercheranno con tutte le loro forze di rimanere al potere.
Bashir ha confermato di volere elezioni trasparenti e libere: eppure molte organizzazioni della società civile ribadiscono che il governo del Sudan colpisce duramente gli attivisti per i diritti umani e che i servizi di sicurezza continuano a minacciare i giornalisti e a censurare i giornali, non permettendo così la libertà di informazione nel Paese. Difficile immaginare elezioni “trasparenti e libere” in un simile contesto.
Nel 2011 è previsto un referendum in cui il Sud potrebbe scegliere l’indipendenza e nessuno può ora prevedere se e come il Nord accetterebbe questa decisione. Questo, dal punto di vista politico, è l’elemento più importante, quello che non si può mai dimenticare, per capire le tensioni che stanno accadendo a Khartoum.
Tanto il Nord quanto il Sud si stanno riarmando: il caso della nave ucraina Faina, sequestrata dai pirati somali carica di carri armati destinati con tutta probabilità al Sud Sudan, ha fatto il giro del mondo; pochi invece hanno ricordato che il l ministro della difesa del Nord Sudan, durante una visita a Mosca in novembre, ha annunciato l’acquisto di 12 aerei da guerra russi Mig-29. Tutto questo è un segno inequivocabile che al di là delle parole di circostanza, molti credono che l’eventuale indipendenza del Sud non si possa regolare solo con la diplomazia. Questa, tensione, sotterranea ma fortissima, ogni tanto esplode proprio nei territori di confine, come Abyei e il Sud Kordofan: allora i morti si contano a decine. L’ultimo caso è stato quello di Malakal, una cittadina dello stato dell’Upper Nile, sempre lungo il confine tra Nord e Sud Sudan, dove dal 24 al 27 febbraio ci sono stati combattimenti tra i soldati dell’esercito popolare per la liberazione del Sudan (Spla) e quelli dell’esercito di Khartoum, al comando del generale Gabriel Tangm, vicino al Ncp. Le sparatorie hanno causato 57 morti e 89 feriti, tra civili e combattenti. Tutto questo in un Paese che, formalmente, è in pace.

LA PARTE DELL’ECONOMIA
Poi ci sono le ragioni della economia: dal 1999 il Sudan è diventato un esportatore di greggio e questo permette tassi di crescita dell’economia che sfiorano il 10% annuo. Khartoum, grazie a questo boom economico, sta cambiando aspetto. Il principale partner commerciale del Sudan è la Cina. In particolare, in questi ultimi dieci anni, ha acquistato petrolio e venduto armi. Anche per questo Pechino si è affrettato a difendere Bashir il giorno dopo la richiesta di arresto da parte della Cpi.
Quello che colpisce di più è che tutta la diplomazia internazionale sembra difendere Bashir. La Cina lo sostiene apertamente (gli affari sono affari), la Russia la segue magari un po’ invidiosa, le priorità di Obama e degli Usa non stanno certo né a Khartoum né in Darfur. La Lega araba ha sempre tradizionalmente sostenuto Bashir e l’Unione africana pare troppo preoccupata che quello del Sudan possa costituire un precedente che in futuro potrebbe essere applicato anche in altri Paesi: il potere in carica non si processa, nemmeno per crimini di guerra e contro l’umanità.
L’Ue non osa mettere in pericolo la fragile pace tra Nord e Sud e teme che la guerra in Darfur si possa collegare di nuovo con la ribellione in Ciad, causando una nuova crisi in tutta la regione.
In tutto questo le sofferenze del Darfur paiono essere relegate in secondo piano. Eppure Bashir è quel generale dell’esercito che ha preso il potere nel 1989 con un colpo di stato. Quel presidente che negli anni Novanta ha trasformato il Sudan nel principale diffusore in Africa subsahariana del terrorismo islamico. Quel politico che negli anni Duemila ha firmato la pace con il Sud e che, pur facendo del Sudan un mercato cinese, ha saputo riavvicinarsi diplomaticamente agli Usa in nome della guerra contro il terrorismo. Quanto questi cambiamenti siano stati strumentali è testimoniato dalle dichiarazioni del 21 febbraio di Salah Gosh, capo dei servizi di sicurezza e di intelligence del Nord Sudan: “Noi, il governo del Sudan, eravamo estremisti islamici; poi siamo diventati moderati e abbiamo creduto nella pace. Potremmo tornare al passato estremismo, se fosse necessario. Non esiste nulla di più facile”. Il Sudan non riconosce la Cpi e Gosh l’ha accusato di essere manovrata da lobby sioniste; ha ricordato che il Sudan considera un crimine aiutare la Cpi e che tutti coloro che collaboreranno con essa saranno arrestati per essere processati. Così il 28 gennaio Mohammed al Sary Ibrahim è stato condannato a 17 anni di carcere per spionaggio. E dopo la richiesta di arresto di Bashir il governo di Khartoum si è affrettato a espellere alcune ong internazionali e a chiuderne altre sudanesi con l’accusa di collaborare con la Cpi.
In un simile contesto non stupisce che solo le organizzazioni per i diritti umani e il segretario generale dell’ONU chiedono che Bashir venga processato, senza purtroppo spiegare chi deve arrestarlo. Tutti gli altri hanno troppa paura che Bashir faccia riesplodere la polveriera Sudan.
Poco importa, infine, che la Cpi non abbia ascoltato fino in fondo il procuratore generale Luis Moreno Ocampo, il quale voleva anche l’accusa di genocidio. Per i sudanesi ammazzati in Darfur, per le donne sistematicamente stuprate, per gli abitanti dei villaggi razziati e bombardati, per i milioni di sfollati, che differenza fa sapere se quello che hanno subito era un genocidio o un grave crimine di guerra e contro l’umanità?
Decine di rapporti hanno dimostrato che la guerra scoppiata in Darfur non è stata una serie di scontri etnici. Il governo, diretto da Bashir, ha armato le milizie paramilitari, i famigerati jangawid, i quali sono i principali responsabili della “terra bruciata” compiuta in Darfur. Dopo la fase più cruenta della guerra in Darfur (2003-2005) Bashir non ha mai disarmato i janjawid e ha ostacolato e ritardato in mille modi il dispiegamento della missione di pace UE/ONU e il lavoro delle organizzazioni umanitarie. Questo è il presidente che la Cpi vuole arrestare e processare per crimini di guerra e contro l’umanità; questo è il presidente che la diplomazia internazionale vuole salvare per salvaguardare la pace.

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