La profezia del piccolo uomo

Dom Helder: la sua dedizione totale ai poveri, tra denuncia e accoglienza;
le sue parole, tra profezia e teologia.
Francesco Comina

Quando compì novant’anni dom Helder venne sommerso dagli auguri. Gli arrivò anche un mio biglietto, inviato così, per testimoniare l’affetto di un amico fra tantissimi. Non mi aspettavo risposte, saluti. Invece arrivò pochi giorni dopo una lettera bellissima con un dipinto che raffigurava le mani dell’arcivescovo di Recife congiunte in preghiera davanti a una piccola croce lontana, rossa come il sangue dei martiri di tutto il continente.
La lettera, con la firma di dom Helder Camara, è ancora lì, piegata nelle pagine di un libro di poesie, Mille ragioni per vivere (Cittadella editrice). La rileggo a distanza di dieci anni, nel centenario dalla nascita: “Le manifestazioni di affetto che ho ricevuto peri miei novant’anni – scriveva dom Helder – mi hanno fatto sentire il vero affetto dei miei fratelli vescovi, sacerdoti, laici, amici e collaboratori. Ringrazio per questo gesto di fraternità, unito a una medesima fede e a una medesima causa come dono del Vangelo. Rivolgo a Dio tutti questi sentimenti di sincera fraternità…”.
Morì pochi mesi dopo. Decine di migliaia di persone vennero in pellegrinaggio da ogni parte del mondo per salutare dom Helder nella piazza della Igreja da Sé di Olinda (la cattedrale della sede episcopale). Il vento stava cambiando. La profezia del piccolo uomo dalle mani tonde venne sostituita dalla nuova stagione della Chiesa più metafisica e meno ancorata alla terra, al sangue, al canto di liberazione dei popoli che con Camara, Boff, Casaldaliga, frei Betto e altri vescovi e sacerdoti aveva liberato in Brasile la riflessione e la prassi della teologia della liberazione. Il vescovo che gli successe, dom Josè Cardoso Sobrinho, volle togliersi di torno l’eredità di dom Helder. Forse troppo impegnativa per qualsiasi successore, forse troppo poco allineata con le nuove direttive curiali angosciate dall’idea che la fame di giustizia e la profezia della pace potessero essere confuse con il comunismo.

L’ATTUALITÀ DI DOM HELDER
Oggi dom Helder è più attuale che mai.
È attuale perché i poveri sono sempre di più e i profeti sono sempre di meno.
È attuale perché le sue parole, le sue denunce, i suoi appelli a vedere Cristo nel volto dei poveri, dei sofferenti, dei perseguitati, non vengono più diffusi da nessuno.
È attuale perché vedeva lontano e anticipava i tempi futuri. E soltanto i tempi della pace e della giustizia possono essere futuri perché tutti gli altri, quelli delle guerre e delle prevaricazioni, sono tempi passati, tempi che buttano la storia all’indietro e la fanno soffrire.
Camara aveva il dono della parola. Chi ha avuto la fortuna di ascoltarlo, durante le omelie o negli incontri pubblici che teneva in tutto il mondo, sentiva la passione della vita. Gridava, dom Helder, lo scandalo della fame. Urlava l’incubo e l’inquietudine del terrore, quello grondante di sangue della dittatura e quello odioso di tutti gli eserciti. Aveva coraggio. Negli anni in cui la dittatura lanciava vere e proprie battute di caccia contro i dissidenti politici, Camara venne in Europa per denunciare il sistema di terrore nel suo Paese. Nell’inverno del 1969, in un grande meeting nel velodromo d’inverno di Parigi, si alzò per dichiarare: “Nel mio paese si usa la tortura come tecnica di governo”. La reazione dei generali fu immediata. Un sacerdote vicinissimo al vescovo, dom Enrique Pereira Neto, fu orribilmente massacrato, i suoi collaboratori laici vennero sequestrati, torturati e alcuni vennero sepolti in fosse comuni. Il suo vicario generale per Olinda, dom Marcelo Carvalheira, fu messo in prigione nel famigerato carcere di Tiradentes a San Paolo, tristemente salito agli orrori della cronaca brasiliana per la vicenda dei frati domenicani incarcerati e torturati per anni (i resoconti di quella sconvolgente storia sono stati raccontati in libri famosissimi da frei Betto).
Ma Camara continuò a denunciare i soprusi e a essere visto come un compagno di cammino dai poveri di tutto il continente. Con la sua tunica sgualcita e la croce pettorale in legno egli aveva preso, anche fisicamente, dimora in mezzo al popolo: “Povero me / se salissi da solo / all’altare di Dio”.

IL POETA
Dom Helder era un poeta. Lo era di giorno e di notte. Parlava come parlano i poeti e nelle veglie prendeva carta e penna e lasciava scorrere i suoi versi. Idee, folgorazioni, richiami divini, quasi sempre umani. Cercava sempre qualcuno, chiedeva a tutti e aspettava le risposte alla sete di conoscenza che saliva come un canto dagli anfratti dell’uomo, di qualunque uomo: “Per amore di Dio, rispondetemi: / Dove sono i bambini / per raccontarmi i loro giochi, / i poeti / per raccontarmi i loro sogni, / i pazzi / per raccontarmi le loro sofferenze, / e i felici e gli infelici / i santi e i peccatori / i bambini e i vecchi / i morti e i vivi / i credenti e gli increduli / gli uomini e gli angeli / gli animali e le piante / le creature tutte / di tutti i mondi?”.
Dio era per lui una voce, più che un silenzio. Era carne più che spirito. Diceva spesso che Cristo è volto. Il volto di Cristo viene a noi nel volto di Zè, Antonio, Severino, come amava dire. Cristo in forma umana, come direbbe Bonhoeffer.
E più si scende nelle spelonche dell’umanità, più si percorre la strada verso l’abisso della sofferenza e più si rende vivo e nitido il volto di Cristo. Egli lo vedeva fra i contadini poveri ma pieni di dignità, fra gli ammassati delle favelas, stretti fra la fame e la violenza delle bande di criminali.
Ecco allora che l’uomo in cerca di Cristo non può alzare lo sguardo sopra la realtà e trasfigurare la presenza in un al di là insignificante. Solo mettendosi nei panni dell’altro e guardando dalla sua parte la realtà è possibile conoscere il mistero di Dio: “Dare tutto quello che si possiede. / dare tutto quello che si è. / Donarsi sempre. / senza più smettere di donare: / ecco la lezione profonda, / di gioia e di pace, / che gli amici della terra / danno e daranno per sempre / i tre amici incomparabili / che si consumano nell’unità / Non lasciarci tranquilli Signore. / Ci sono quelli che hanno / viscere di possesso. / Ce ne sono che hanno l’essenza del dono”.

LA SUA VITA PER GLI ALTRI
Dom Helder è stato un uomo che ha vissuto totalmente per gli altri. Il piano verticale dell’ascesa a Dio si è combinato fedelmente al piano orizzontale della mescolanza con l’uomo. Ecco perché egli era sempre così disponibile, così gioioso di incontrare qualsiasi uomo o donna passasse anche casualmente per la sua casa. Egli aveva una fiducia illimitata nel cuore buono dell’uomo. E per questa fiducia aveva osato andare oltre gli equilibri diplomatici che il ruolo di vescovo gli imponeva. Sentiva crescere quel sano sentimento di indignazione che non poteva fermarsi dinanzi alla violenza del sistema, davanti alle uccisioni indiscriminate di poveri, di fronte al dramma della miseria e della povertà di un mondo terribilmente scisso in due, da una parte i ricchi sempre più sazi, dall’altra i miserabili sempre più affamati. Forse Camara è stato il primo vescovo ad aver aperto un filone di riflessione teologica sull’economia e ad aver capito come il mercato sia la fonte prima dell’oppressione di gran parte dell’umanità. Perché attraverso le lobby delle multinazionali, attraverso le politiche macroeconomiche si uccide, si devasta l’ambiente, si rendono schiavi milioni di persone e si crea la dipendenza che alimenta l’emarginazione e la depressione sociale. Diventò famosa una sua frase che dice così: “Quando mi occupo dei poveri e li aiuto in qualche modo mi dicono che sono un santo, quando indico le cause della loro povertà e l’oppressione che subiscono dicono che sono un comunista”. E allora anche un uomo santo come dom Helder diventa bersaglio dei potenti, entra nel mirino dei palazzi e subisce le critiche all’interno della stessa Chiesa. Nessuno sconforto: “Aprirci alle idee, comprese quelle contrarie alle nostre – riusciva a dire quel santo di uomo che fu dom Helder Camara – significa avere il fiato del camminatore. Felice chi comprende e vive questo pensiero: se non sei d’accordo con me tu mi fai più ricco”.

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