Una crisi definitiva
Madrid, 28 marzo 2009, Chiesa di San Carlo Borromeo
È trascorso un anno da quando ci siamo riuniti per ricordare la data dell’assassinio di mons. Romero; nello stesso modo in cui lo ricordiamo oggi. Ma allora, nei Paesi opulenti non si parlava ancora di crisi.
Con grande allegria si ripartivano, tra gli azionisti delle grandi imprese transnazionali, i benefici e ricchezze finanziarie che viaggiavano verso paradisi fiscali.
Nel frattempo, gli alimenti fondamentali per i Paesi impoveriti salivano sino al 45% provocando fame e tragedia. Però questo non era crisi.
Nel mondo, 852 milioni di persone avevano fame e 2 milioni soffrivano di denutrizione. E, di conseguenza, 15 milioni di persone morivano ogni anno, cioè 30.000 persone al giorno. Una persona ogni 3 secondi. La maggioranza bambini. Però, per gli analisti economici, nemmeno questo significava crisi
Nel frattempo, le spese militari nel mondo salivano sino a più di 2 bilioni e mezzo di dollari. Però, anche questo, non si considerò crisi.
La guerra in Iraq, combattuta per il controllo delle risorse energetiche in Medio Oriente, ha causato la morte di oltre 650.000 persone, la maggioranza civili. Neanche questo ha preoccupato i potenti perché non è stato considerato crisi.
Però quando le grandi compagnie finanziarie hanno iniziato a fare acqua nella propria contabilità, i governi hanno cominciato a tremare e gli agenti finanziari si sono riuniti per trasferire i fondi dell’erario pubblico e per evitare collassi delle compagnie.
Quello che mai si è riusciti a fare per salvare la vita dei popoli si è fatto ora per salvare la ricchezza dei ricchi.
Per secoli interi, i più poveri hanno sofferto spoliazioni di ricchezze che un sistema assassino gli ha usurpato mentre le borse valori ingrossavano le proprie casse con i dividenti degli investimenti dei potenti. E quando questo stato di cose sembrava essere in pericolo sono stati convocati vertici dei leader della terra per rifondare il capitalismo.
Noi, seguaci di quel Gesù di Nazareth che annunciò che è più difficile che un ricco entri nel Regno dei Cieli che un cammello passi nella cruna di un ago, ci opponiamo con fermezza alla rifondazione di un sistema che provoca fame, morte e sofferenza per i poveri e benefici, lusso e spreco per i ricchi.
Cerchiamo una terra nuova in cui ogni alba sia una festa. Una terra nuova piena di sorrisi di bambini nei loro giochi e di tranquillità di anziani nel tramonto della loro vita.
Una terra come quella che sognavano i nostri profeti: mons. Romero, mons. Proaño, mons. Mendes Arceo. Come hanno sognato tanti nostri fratelli.
Desideriamo che la vita sia un premio e che nessuno, mai più, muoia di fame, per violenza o perché altri possano vivere meglio.
Vorremmo porre un cartello in tutte le borse-valori del mondo che dica: “Caino, che hai fatto con tuo fratello Abele?”.
E, in ricordo di tutti e tutte coloro che sono stati accanto a noi e di tutti e tutte coloro che lavorano per questa bella utopia, lavoreremo con ogni nostro sforzo perché questa crisi sia definitiva e totale.