EDITORIALE

F35: siamo proprio sicuri?

A cura della redazione

Mancanza di una strategia industriale che consenta al nostro Paese di assumere un ruolo di primo piano nel programma”. Non si sta parlando di ricerca sul cancro né di ricostruzione del dopo terremoto in Abruzzo. È uno stralcio del verbale di una Commissione della Camera dei Deputati, riunita lo scorso 8 aprile. Mentre da ogni parte giungevano appelli a reperire fondi per la ricostruzione (“Ci vorranno 12 miliardi”, ha detto il ministro degli Interni) e venivano avanzate varie strade da percorrere (5x1000, tassa sui redditi alti, donazioni, sms, collette, ecc..) le commissioni difesa di Camera e Senato hanno discusso (poco!) e approvato l’acquisto di aerei da guerra F35.
Pare assurdo ma, tra inchieste in atto e morti che piangiamo ancora, in un Paese ad alto rischio sismico, si discute e si da’ parere favorevole all’acquisto di oltre 100 aerei da guerra.
Tutt’altri pensieri, quindi, all’attenzione prioritaria del nostro parlamento, alla faccia di chi chiede sicurezza, lavoro e condizioni dignitose per riprendere a vivere.
Il programma prevede una spesa di oltre 14 miliardi per aerei da guerra, in grado anche di trasportare bombe nucleari.
Folli! Non vi è altro termine per definire i programmi di sviluppo che il nostro Paese persegue. Folli come i costi del progetto, per il quale la Corte dei Conti olandese afferma che la spesa è cresciuta, in 10 anni, dell’80%.
Si parla di messa in sicurezza delle case dell’Abruzzo, costruite non proprio tutte... a norma. Di certo gli aerei da guerra F 35 saranno costruiti, questi sì, nel rispetto di tutte le norme! Ma quale sicurezza vogliamo perseguire? Siamo certi che questi aerei daranno più tranquillità e garanzie a coloro che vivono in zone sismiche ?
Con ronde, militari per le strade, aree sottratte ai parchi naturali, presumiamo di sentirci più sicuri? Le scuole crollano, ma siamo bombardati da richiami alla sicurezza, alla difesa, Con il risultato che davanti alle nostre paure, in profondità, ci sentiamo ancora più fragili, indifesi. E si invoca la forza, forse anche la guerra, per fugare ogni ansia.
È urgente, facendo seguito all’editoriale di aprile del nostro direttore, richiamare tutti alla propria responsabilità.
La politica: perché non sì è levata nessuna voce in sede di commissioni difesa a richiamare il valore della pace, del disarmo? Perché è così difficile volare alto, richiamare principi alla base del vivere comune? Perché anche davanti a un progetto come gli F 35 le preoccupazioni sono solo quelle di natura economica, dell’ammodernamento della Difesa? Vengono in mente le parole di p. Turoldo: “Se la politica non è per l’uomo... vada alla malora!”.
L’informazione: non dedica molto spazio, per dirla in modo elegante, a questi temi. E quando lo fa, vedi grandi quotidiani nazionali, riporta quasi con entusiasmo un + 220% per le armi made in Italy!
La Chiesa: mons. Charrier, presidente della Commissione Giustizia e Pace del Piemonte e vescovo di Alessandria, con mons. Valentinetti, vescovo di Pescara-Penne e presidente di Pax Christi avevano scritto il 25 gennaio 2007: “Desideriamo riaffermare, come comunità cristiana, la necessità di opporsi alla produzione e alla commercializzazione di strumenti concepiti per la guerra. Ci riferiamo, in particolare, alla problematica... relativa all’avvio dell’assemblaggio finale di velivoli da combattimento da effettuarsi nel sito aeronautico di Cameri (Novara) ....Riteniamo che la produzione di armamenti non sia da considerare alla stregua di quella di beni economici qualsiasi”.
Perché non accogliere e rilanciare queste parole da parte delle comunità, dei parroci, dei vescovi, della stessa presidenza della Cei? In diverse occasioni, su altri temi, sono state fatte campagne molto serrate. Perché, in questo tempo pasquale, non richiamare il valore del disarmo, della nonviolenza, del sogno di Isaia? Un sogno che, come denunciava don Tonino Bello già oltre 20 anni fa, rischia di realizzarsi al rovescio.
La società civile: di fronte a tutto questo, ognuno è interpellato ad agire in prima persona, a non stare a guardare. A indignarsi! Qualche anno fa su un cartello, in Brasile, si leggeva una frase ancora oggi tragicamente attuale: “Perché il male trionfi è necessario che le persone per bene rimangano inattive”.

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