E il Concilio di Trento divenne «femminista»
Il Concilio di Trento - nonostante i quasi 500 anni che ci separano dall'avvenimento (svoltosi fra 1545 e 1563) - continua a rappresentare un essenziale punto di riferimento nella storia della Chiesa. Ma raramente, e forse mai, ne è stata tentata una lettura, per così dire, «al femminile».
L'impresa è stata di recente avviata per iniziativa dell'Istituto di scienze religiose della Fondazione Bruno Kessler di Trento, grazie a un convegno promosso in collaborazione con il Coordinamento delle teologhe italiane, rappresentate da una robusta e vivace pattuglia di studiose che hanno offerto, in sintonia e qualche volta in dialettica con storici e teologi, un'interessante lettura del famoso Concilio.
Non si è trattato, evidentemente, di soffermarsi sullo specifico, seppure indiretto, contributo della donna a quell'evento, ma piuttosto di ricostruire le modificazioni intervenute nella religiosità, negli stili di vita, nelle mentalità del mondo femminile in relazione alle deliberazioni conciliari. Né sono mancate le sorprese, sia dal punto di vista della vita di clausura e delle missioni (Giovanna Paolin), sia in ordine alla riflessione che Trento ha indirettamente avviato sul ministero (Serena Noceti), sia infine per quanto riguarda la spiritualità e la mistica (Stella Morra) che in un modo o nell'altro sono state sollecitate, anche nelle loro componenti femminili (basti pensare a Teresa d'Avila) da quell'evento.
Ne è emersa complessivamente un'immagine un poco diversa da quella tradizionale, proprio perché arricchita da una riflessione d'insieme, sia pure a grandi tratti, su ciò che il Concilio di Trento ha rappresentato anche per quel mondo della donna che ha continuato a rimanere concentrato sulle tradizionali sedi della casa o del chiostro, ma che in qualche modo si è aperto esso pure alle varie forme della modernità. Non casualmente, in più interventi, si è sottolineato che, affermando vigorosamente, con il famoso decreto Tametsi, il principio della libera scelta del coniuge e contestando la pretesa delle famiglie di imporre ai nubendi le scelte matrimoniali, la Chiesa si è aperta a un importante aspetto della modernità, la libertà dei sentimenti.
Non meno interessanti le notazioni in ordine a nuove forme di devozione, e anche relativamente autonome forme di associazione laicale, al femminile, sviluppatesi esse pure dopo Trento: a conferma che, nonostante alcune rigide preclusioni di principio, qualcosa nella Chiesa si andava muovendo, anche per l'indiretta sollecitazione proveniente da alcune componenti della Riforma. Autorevoli teologhe presenti, come Marinella Perrone e Cettina Militello, nel prendere atto di questi fermenti, hanno potuto sollecitare una ripresa e un approfondimento di studi (in verità non molto coltivati in Italia) non nella maldestra visione di una Chiesa «al femminile», ma piuttosto di una Chiesa popolo di Dio, come tale aperta al riconoscimento del prezioso apporto che alla comunità cristiana può provenire dalla donna, e non più in posiZione di sostanziale subalternità. Si deve dunque dare atto all'Istituto di scienze religiose di Trento e al suo direttore Antonio Autiero di avere aperto alcune interessanti prospettive agii studi di storia della Chiesa. Non resta che augurarsi che l'«esplorazione» continui.