Lotta nonviolenta in Iran
“Stiamo vivendo un momento gandhiano in Iran”, dice Ramin Jahanbegloo, il filosofo iraniano incarcerato nel 2006 nel suo Paese con l’accusa di sostenere la “rivoluzione di velluto”, oggi docente di Storia contemporanea dell’Iran a Toronto.
Nel suo libro pubblicato a dicembre, Leggere Gandhi a Teheran (Marsilio), Jahanbegloo individuava nella riflessione gandhiana percorsi di nonviolenza per promuovere sviluppi liberali nel mondo islamico, a cominciare dall’Iran. Ma l' "Onda verde" ha superato le sue stesse aspettative.
Mousavi, come dicono alcuni, è un Gandhi islamico?
No, non lo definirei un Gandhi islamico. Ha mostrato molto coraggio, ma per essere un Gandhi devi essere a un altro livello di psicologia umana, avere qualità profetiche. Forse Mousavi ha preso la via di Gandhi senza rendersene conto. D’altra parte Gandhi diceva che la nonviolenza è antica quanto le montagne: chiunque si trovi davanti all’ingiustizia è spesso portato alla nonviolenza. E così è diventata una strategia rilevante per il movimento iraniano.
Il movimento ha superato dunque Mousavi?
Se Gandhi adottò l’arcolaio come simbolo della nonviolenza, il movimento in Iran all’inizio ha assunto Mousavi come simbolo, ma poi ha trovato in Neda la madre della resistenza nonviolenta. Queste manifestazioni senza precedenti in 30 anni sono spesso viste come uno scontro tra i sostenitori di Mousavi e Ahmadinejad, ma credo che le richieste vadano oltre le elezioni e oltre Mousavi: è in corso una crisi di legittimità del sistema. C’è una dialettica tra coloro che cercano la democrazia con metodi nonviolenti e il potere che usa la violenza. È un movimento per il cambiamento, fatto soprattutto di giovani, frustrati da economia, politica e società. Gandhi diceva: devi essere il cambiamento che vuoi vedere nel mondo. Persone come Neda, la studentessa di filosofia caduta sotto i proiettili, mostrano che la gioventù in Iran è abbastanza matura da portare al cambiamento.
Lei credeva che i giovani iraniani non fossero pronti?
Per lungo tempo, tutti hanno pensato che fossero vittima di quella che chiamo “sindrome di James Dean”: che fossero “ribelli senza causa”, senza spessore etico, edonisti, individualisti, egoisti. Ma stanno mostrando di possedere il senso della solidarietà, della reciprocità, della nonviolenza.
L’islam ha nella sua tradizione il fondamento spirituale per una disobbedienza civile nonviolenta?
Tutti i tipi di religione e di spiritualità hanno un potenziale nonviolento accanto a un potenziale violento. Non vedo contraddizione tra spiritualità e nonviolenza.
E l’Iran ha una tradizione simile?
La rivoluzione del 1979 è stata essa stessa un movimento nonviolento contro la dittatura. Nella storia abbiamo avuto tanti tiranni, ma molti dei nostri eroi sono figure mistiche e religiose nonviolente.
Obama dice che “renderà testimonianza” al coraggio degli iraniani. Per il “Wall Street Journal” è una dichiarazione “gandhiana”: è “la testimonianza che da potere all’approccio nonviolento rendendo pubblica la sofferenza privata”.
Credo che non sia un approccio gandhiano, ma cauto. Da quando e’ al potere, ha cercato il dialogo con l’Iran, ma si trova in una situazione complicata. Se la violenza nelle strade dovesse aumentare, sarà difficile un dialogo tra Iran e Stati Uniti, e anche tra Iran ed Europa.L’Iran si trova in un momento cruciale sia per la politica interna che estera. Il “genio” della nonviolenza è uscito dalla lampada ed è difficile che possa rientrarvi. Né Obama né Berlusconi né Sarkozy possono ignorarlo. Ma hanno fatto bene a non fare dichiarazioni più aggressive. Non devono dare la sensazione che il movimento sia diretto dagli stranieri.
Che probabilità di successo ha la protesta?
L’unico modo è che resti nonviolenta o sarà una carneficina. Credo che possano non solo avere la solidarietà del mondo ma anche quella di parte della nomenklatura. E anche se l’attuale regime dovesse prevalere e Ahmadinejad restare, il cambiamento arriverà nei mesi e anni a venire. È già cambiata la mentalità della gente. Il paradigma repubblicano, motore della rivoluzione del 1979, e il principio di sovranità popolare sono stati violati dal paradigma autoritario. Non credo però che la resistenza porterà a una “rivoluzione di velluto”. Ciò che è accaduto in Cecoslovacchia e nell’Est europeo potrebbe non accadere in Iran. Ma ciò che conta è lo spessore morale di ogni iraniano, è sfidare l’illegittimità della violenza, è la volontà di costruire il futuro dell’Iran sull’idea di verità.