L’arché di ogni cosa
Quali i requisiti essenziali per essere cristiani autentici di fronte al creato?
Il poeta latino Lucrezio in De Rerum Natura, un’opera composta circa 50 anni prima dell’apparizione di Cristo, dedica ai quattro elementi fondamentali – aria, acqua, fuoco, terra – questi versi: “Pertanto coloro che ritennero materia delle cose il fuoco e che di fuoco possa consistere l’universo e coloro che come principio per generare le cose posero l’aria o tutti quanti supposero che l’acqua da per se stessa fabbrichi le cose e che la terra crei tutto e che si trasformi in tutte le nature di cose, tutti costoro grandemente appaiono aver deviato dal vero. Aggiungi anche coloro che duplicano gli inizi delle cose unendo aria a fuoco e terra con acqua”. Dopodiché Lucrezio va avanti a confutare tutte queste teorie e a sostenere che la famosa archè, il principio da cui tutto proviene, è l’atomo, precorrendo così il nostro tempo.
Ricordo questa citazione per sottolineare la differenza profonda che esiste tra la cosmogonia (cioè la dottrina della generazione del mondo e dei mondi) greca e in generale antica, che vede appunto nei quattro elementi citati o in una loro combinazione l’archè, l’origine delle cose e il discorso biblico, che come sapete pone come archè di tutto ciò che esiste Dio.
Nell’evangelo di Giovanni l’archè è la Parola: ‘en archè o Logos’. L’archè è il Logos, non il fuoco, non l’acqua, non l’aria, non la terra, non il cielo. Il Logos. E nell’Antico Testamento esso risiede nella Sapienza, la Sofia, di cui parla il Libro dei Proverbi al capitolo 8: … prima che la terra fosse, quando ancora non c’erano abissi, quando ancora non c’erano sorgenti rigurgitanti d’acqua io ero là presso di Lui, esuberante di gioia nel vedere tutto quello che Dio pian piano stava creando. E questa Sapienza gioiva nella creazione. Prima della terra, dell’acqua, dell’aria e del fuoco c’era la Sapienza, c’era la Parola, c’era Dio.
CREATURE SPECIALI
Nella visione biblica acqua, aria, terra e fuoco non sono creatrici ma creature. Non sono divine, non sono archè. Non è divina la terra, non è dea; non è divino il fuoco, che Prometeo va a rubare agli dei per portarlo sulla terra, ma è terrestre. Sono tutte creature, sono creature che non ci creano ma che ci permettono di vivere. Questa è la loro caratteristica. Quindi sono creature speciali. Il mio prossimo, per fare un’esempio, non mi fa vivere perchè posso vivere anche da solo, ma senza aria non posso vivere. Quindi questa è la vera caratteristica, la singolarità esclusiva: di essere creature come me, ma speciali, perché mi consentono di vivere.
Come poter convivere con un’altra creatura che a differenza di ogni altra persona o cosa mi consente di vivere? Esattamente ciò fece a suo tempo Francesco d’Assisi, il quale ha considerato proprio questi quattro elementi – e altri – come argomento di lode, non degli elementi in sé, ma del loro creatore, cioè di Dio. Egli loda e ringrazia Dio per frate vento et per aere, per l’aria, e poi, come ricordiamo tutti, per l’acqua, molto utile et umile et preziosa et casta. Per frate focu, bello, iocundo, robustoso et forte. E infine per sora nostra matre terra, la quale ne sostenta et governa. Vedete la finezza: sora matre. Sorella e madre. Sorella perché siamo tutti creature, e madre perché mi fa vivere. Ecco come il nostro Francesco imposta il discorso: tutto è lode a Dio.
Allora dobbiamo chiederci cosa dobbiamo fare? Io penso che due cose siano essenziali per impostare in modo cristiano quello che vogliamo essere o diventare rispetto ai quattro elementi.
La prima è la differenza e la seconda è la relazione.
LA DIFFERENZA
I cristiani recitano ogni domenica il primo articolo del Credo che sintetizza la fede cristiana nel Dio Creatore. Ora, questa constatazione che a noi può sembrare naturale e quasi ovvia, in realtà non lo è affatto. E in particolare non lo era nei primi secoli della storia cristiana quando questo Credo veniva costruito pian pianino. A quel tempo al centro della riflessione religiosa, non soltanto cristiana (pensiamo alle religioni del mistero, al vastissimo movimento gnostico in tutte le sue variazioni) – c’era il tema della redenzione e non quello della creazione. Dunque sarebbe stato più che sufficiente per i cristiani costruire una confessione di fede centrata sulla croce, sulla resurrezione di Gesù, cioè sull’annuncio di Cristo morto e risorto per la salvezza del mondo. Non c’era alcun bisogno di mettere nella confessione di fede l’articolo sulla creazione, come del resto non c’è nella confessione di fede ebraica: il Dio creatore c’è, naturalmente nell’Antico Testamento, ma non è presente nella confessione di fede ebraica, tutta fondata sull’Esodo, cioè su un atto di redenzione, di riscatto, di liberazione. Tanto più non era necessario questo articolo sulla creazione perché nel Nuovo Testamento la creazione occupa un posto assolutamente secondario, resta completamente sullo sfondo, mentre in primo piano semmai c’è la nuova creazione.
E allora, come mai addirittura al primo posto c’è l’articolo sul Dio creatore? La risposta è facile: perché nella temperie religiosa dell’epoca – dico epoca perché voglio dire secoli – il mondo materiale, compresa l’aria, il fuoco e soprattutto la terra, era considerato una realtà destinata alla distruzione, una realtà nella quale il male aveva preso talmente il sopravvento da diventare qualche cosa di malefico; quindi tanto più ti avvicinavi a Dio quanto più ti allontanavi dal mondo; ma dal mondo inteso come materia, dal terreno, dal sensibile, dal misurabile, dal materiale.
I cristiani hanno messo in prima posizione l’articolo sulla creazione, la fede nel Dio creatore per dire che il mondo materiale è buono, è opera di Dio, non del diavolo. È bene, non è male. Affermazione sconvolgente, niente affatto alla moda, ma controcorrente. Io arriverei a dire che questo articolo della creazione era un messaggio di salvezza del mondo materiale, per non lasciarlo in preda a tutti quelli che sostenevano che deve essere distrutto. No, deve essere salvato, ma non nel senso spirituale della parola bensì nel senso proprio materiale: bisogna salvare il fuoco, bisogna salvare l’aria, proprio affermando che sono creature di Dio. Questo è il modo cristiano per salvarle: dichiarare che sono uscite dalla mano di Dio. Sono opere di Dio, non nostre: “Credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra”.
LA RELAZIONE
In che relazione stiamo con quest’aria, con questo fuoco, con questa terra? E qui veramente ci soccorre Francesco. La categoria fondamentale è quella della fraternità. Il vento è tuo fratello, l’aria è tua sorella, la terra tua sorella e tua madre. E qui ci si potrebbe dilungare, ma mi limito a dire che questo vincolo della fraternità è stato completamente perduto e Francesco ha predicato nel deserto. E c’è voluta la terribile crisi ambientale nella quale siamo immersi per svegliarci e ricordare che per duemila anni abbiamo detto “credo in Dio Padre creatore …” e non siamo stati capaci di riconoscere le creature di questo Creatore, né quelle umane né tanto meno quelle animali, quelle vegetali né l’aria, l’acqua, la terra, il fuoco. Abbiamo confessato un Dio creatore che non creava niente, completamente separato dall’opera delle sue mani. Siamo a questo punto.
Non possiamo dire “per fortuna c’è questa crisi”, perché sarebbe un’affermazione irresponsabile, ma, ripeto, abbiamo cominciato a prendere coscienza almeno un poco di queste cose proprio per la terribile, spaventosa crisi ambientale nella quale ci troviamo.
Riguardo all’aria, due riferimenti sono inevitabili. Il primo è all’inizio della storia umana, quando nel libro della Genesi si dice che Dio creò l’uomo dalla polvere della terra e gli soffiò l’alito vitale, l’aria, potremmo dire. Un’aria che è nello stesso tempo quella dell’atmosfera e quella di Dio, perché noi portiamo l’immagine di Dio, non soltanto quella della natura, di cui siamo anche figli. Egli soffiò l’alito di vita e l’uomo divenne anima vivente. Quindi c’è un nesso che l’antichissimo scrittore biblico avverte tra il soffio e la vita: l’aria è vitale.
Poi c’è l’immagine bellissima del libro dei Re (1 RE 19, 11 – 13), quando Elia viene chiamato da Dio e non lo riconosce inizialmente nel vento impetuoso e gagliardo, non lo riconosce nel terremoto, non lo riconosce nel fuoco: lo riconosce nel mormorio di un vento leggero. Il testo non dice che Dio è quel mormorio, ma che è “nel” mormorio e fuori di esso. Questo significa che Dio non è nelle manifestazioni potenti, nelle manifestazioni vistose: non lo vedi e quasi non lo senti, come l’aria, è parola, sussurro addirittura. Quindi non una parola forte, violenta, che ti piega, che si impone: no, è una parola dolce, persuasiva, un sussurro, quasi una carezza, nella quale si nasconde la potenza di Dio.
E poi, metaforicamente parlando, si capisce che un altro polo della riflessione non può non essere il discorso di Gesù a Nicodemo al capitolo 3 di Giovanni, quando afferma: “Il vento soffia dove vuole e tu non ne odi il rumore, non sai da dove viene e dove va, così è di chiunque è nato dallo Spirito”. L’aria, all’origine, è fonte e strumento della vita naturale. In seguito, nella metafora di Gesù nel Nuovo Testamento, l’aria, il vento, il soffio che è all’origine non più della vita naturale, ma della vita nuova, della vita cristiana.
Naturalmente si può giungere a un rapporto fraterno con la natura, con l’ambiente di cui siamo parte e in certo senso anche figli e figlie, senza partire da Dio, cioè partendo dal basso. Certamente questo è possibile, ma finora nel nostro mondo occidentale non mi sembra che si sia realizzato appieno.
Io credo che la possibilità sia espressa bene dalla parola “solidarietà”. Qui la scienza effettivamente ci può aiutare, perché nella sua prospettiva risulta evidente quanto noi uomini e donne siamo legati all’interno dell’ambiente. In questa situazione non è più vero quel detto famoso “mors tua vita mea”, che esprime un fatto, ma non una verità. La verità è “vita tua, vita mea”.
Questa è la verità più profonda, che vale certamente nel rapporto umano, ma anche nel rapporto con l’ambiente. La presa di coscienza che ‘vita tua, vita mea’ si riferisce anche alla vita dell’aria e credo che vada nel senso della maturazione di una solidarietà inter-umana e inter-ambientale, diciamo così, ecologica.
Dopo l’homo oeconomicus deve nascere l’homo ecologicus.