Le nuove sfide
Dopo aver ascoltato, nello scorso numero, l’opinione di Diego Cipriani, ora è il turno del presidente del maggior ente di servizio civile in Italia.
Quando nel settembre del 1999 arrivò la notizia che il governo D’Alema aveva deciso di “sospendere” la leva obbligatoria per passare a forze armate professionali, dimenticandosi del servizio civile, sostitutivo del servizio militare (per la legge) e alternativo (per noi), subito si sviluppò dentro la rete associativa di ASC un dibattito che scosse la unità che c’era stata fino ad allora fra ARCI, Legambiente, Uisp, Arciragazzi, basata sulla promozione della nonviolenza attraverso l’esperienza degli obiettori di coscienza al servizio militare.
Ne seguì un dibattito durante i due anni che portarono alla legge 64 del marzo 2001 che fissò gli obiettivi della nostra presenza nel nuovo servizio civile nazionale su base volontaria, obiettivi ancora validi anche se costantemente aggiornati in base ai diversi quadri politici che si sono succeduti.
Per ASC il Servizio Civile Nazionale è l’istituzione della Repubblica italiana che promuove la pace attraverso la nonviolenza e modalità civili e non armate di intervento, per questo interessato alla dimensione internazionale delle attività e aperto ai cittadini stranieri.
Un’istituzione condivisa fra le varie istituzioni della Repubblica, centrata sui giovani, nello stesso tempo destinatari e protagonisti, dando segni di fiducia a una generazione senza prospettive, vista invece come problema, spesso di ordine pubblico.
Un’istituzione dentro la strategia di crescita dell’impegno civico dei cittadini e che attui la sussidiarietà fra istituzioni e fra queste e le organizzazioni della società civile.
Su questa linea ci siamo attrezzati e abbiamo agito dal 2001, sviluppando convinzioni che già erano presenti dal 1981, quando iniziammo l’esperienza del servizio civile degli obiettori.
Una linea ambiziosa e difficile, che ha significato molti investimenti nella formazione di operatori territoriali in grado di stare con i giovani e di contribuire a orientarli, nell’aggiornamento di molti modi di fare (e in questo l’informatica e internet ci sono stati utilissimi) nel potenziamento della rete di associazioni locali le quali coordinano le centinaia di associazioni che formano la rete di ASC, che promuovono iniziative. Ma non ci siamo sentiti parte di un movimento in questa direzione, in cui istituzioni e organizzazioni lavoravano unite. Fin dall’inizio le sfide culturali e sociali sono state messe in soffitta e il confronto è stato sulla organizzazione dell’UNSC, degli enti, sulle regole per i progetti e poi dal 2001 sul ruolo delle regioni.
TRA RICERCA FONDI E CONFLITTI
L’unico filo di continuità è stata la discussione sui fondi pubblici disponibili, che sono rimasti quelli statali, tranne qualche milione di euro devoluto da qualche Regione e Pubblica Amministrazione dal 2008.
Contenuti essenziali, ma che fuori da una prospettiva culturale hanno prodotto burocrazia senza scopo, gigantismo dei numeri (nel 2008 erano 75.000 le sedi di attuazione accreditate), ampi spazi per incursioni di soggetti che con queste prospettive non hanno nulla a che vedere, più interessati al tornaconto elettorale o economico.
E poi siamo precipitati nel conflitto fra Stato e Regioni e PA, che nella versione più evoluta è causato da una profonda divergenza sulle finalità del SCN, nella versione più materiale è legato a chi gestisce i fondi e chi valuta i progetti.
A nulla è servita la sentenza della Corte Costituzionale del 2004, vanificata in parte dalla stessa gestione governativa, che nel periodo successivo non ne trasse le conseguenze, ma anzi, dopo averla rinviata per tre anni, diede avvio con il 1 gennaio 2006 alla disastrosa articolazione per albo nazionale e regionali, aprendo la strada a duplicazione di funzioni, dispersione di risorse, scelta ambigua fino a far pensare che tutto fu fatto perché non c’erano le forze per gestire tutto da Roma. Apprendisti stregoni!
Adesso le stesse persone stanno tentando di superare questo caos, in cui la mitica pagliuzza è al centro dell’attenzione e si chiudono gli occhi per non vedere la trave.
Nel frattempo le Regioni e le PA, come ogni istituzione che gestisce qualcosa, si sono organizzate almeno politicamente, hanno capito che senza spendere niente di risorse regionali, se mettono le mani sul fondo nazionale del servizio civile, potranno tamponare i buchi del welfare, allargare la rete di controllo sulle organizzazioni sociali e gli enti locali, hanno trovato nella Lega Nord il loro rappresentante.
UN TESTO DI LEGGE MINIMALISTA
In questo quadro il sottosegretario Giovanardi ha definito la sua proposta di riforma legislativa.
Un testo “minimalista e aperto a molti esiti”, vincolato dai tagli ai fondi decisi da Tremonti nel 2008, che comunque si avvicina a uno degli obiettivi che ASC si è dato: un SCN forma alternativa e concorrente per la promozione della pace (ASC), per la difesa della Patria (Giovanardi), che dovrebbe aprire la strada a successive messe a punto sui nodi istituzionali e organizzativi più complicati.
Un testo che, comunque, elude alcuni nodi: non prevede accesso di cittadini stranieri, neanche in forma sperimentale, non impegna lo Stato a fissare il contingente minimo annuo di posti da mettere a bando, cauto verso le Regioni e deciso verso gli enti che dovrebbero contribuire ai costi di questo SCN.
Riuscirà questo tentativo, in una fase politica turbolenta dentro la maggioranza di governo, con la rincorsa della Lega Nord, con le elezioni regionali dietro l’angolo?
Emergono segnali di stanchezza a continuare a stare nella rete di un SCN che sommerge di richieste burocratiche e che taglia i progetti finanziati, che ha tanti volti diversi a seconda di chi incontri.
Spesso anche nel passato ci siamo concentrati anche troppo su nuovi testi legislativi, certamente importanti e su alcuni aspetti decisivi.
Ma va evitato il rischio di perdere di vista cosa accade nelle realtà locali, fra i giovani, come viene concretamente attuata la legislazione e la normativa vigente.
Nella nostra esperienza questi quasi 10 anni sono stati ricchissimi di sfide e di indicazioni di lavoro.
Sono stati migliaia i giovani che hanno partecipato ai progetti di ASC e la loro risposta è sempre stata superiore alle nostre attese, sia in termini di “fame formativa” che di indicazioni pratiche, svecchiando alcuni modi di agire e di pensare delle organizzazioni stesse.
Possiamo dire, sulla base dei rapporti annuali che pubblichiamo dal 2004, che le comunità locali possono contare su una rete di giovani più (capaci di altri che non hanno fatto il SCN) di leggere il territorio e le sue ricchezze e criticità, più disponibili a rispondere alle necessità e, se messi in condizione, di costituire associazioni, cooperative e partecipare alle istituzioni locali.
Però proprio questi successi rendono più forte la contraddizione fra numeri e valori. Perché nel 2009 solo 25.000 giovani hanno avuto questa opportunità? Quanto perde la società italiana da un SCN per 1 giovane italiano su 8? Il SCN non sta diventando un privilegio?
Riusciamo veramente a vivere un rapporto paritario con i giovani, che, almeno dal nostro osservatorio, sono allo stesso tempo confusi e disillusi sul loro futuro, generosi e non solo verso gli amici, ostili verso le istituzioni e a volte anche noi siamo visti come tali?
Con i nostri operatori riusciamo a tenere sempre chiara la meta verso cui lavoriamo?
Probabilmente almeno per qualche anno ancora ci troveremo a operare in un SCN ridotto nei numeri e litigioso fra le istituzioni.
È una nuova sfida ma restano per noi validi, ancora di più di fronte alle tante crisi e fra queste quella giovanile è la più drammatica, gli obiettivi di responsabilità verso questo Paese che ci assumemmo nel 2001, convinti che il SCN può essere una formidabile opportunità di crescita civica, morale e economica.