Riflessioni etiche sull’economia
1) Con quale competenza un vescovo può parlare di argomenti che riguardano l’economia?
Vorrei ringraziare per essere stato invitato a questo convegno dell’ISA e sono consapevole che si aspetta molto dal mio intervento. In primo luogo mi chiedo e rivolgo anche a voi la domanda con quale competenza un vescovo può parlare di argomenti di economia. Le scienze economiche per molto tempo hanno rifiutato le indicazioni etiche, in quanto considerate come un’intrusione in un campo che ha già la sua logica.
Tuttavia l’economia deve essere considerata come un’opera dell’uomo, dell’uomo con la sua libertà ma anche con i suoi limiti e con le sue tentazioni. Ultimamente con la crisi finanziaria ed economica è diventato più forte il richiamo all’etica, e gli operatori finanziari, che con i loro investimenti pericolosi hanno provocato la slavina, sono stati criticati per un comportamento estremamente amorale.
Ciò che si è reso evidente, è il fatto che gli affari umani si basano sulla fede e sulla fiducia. Se questa fiducia viene meno, non funziona più niente, non c`è più credito, e la parola “credito” significa credibilità: devo “credere” e fidarmi del mio partner per allacciare un rapporto finanziario.
Per spiegare chiaramente il ruolo e la competenza della Chiesa in merito, vorrei menzionare una risposta che ha dato Papa Benedetto XVI durante il suo incontro con il Clero della Diocesi di Roma il 26 febbraio 2009. Un parroco romano aveva detto: “Sono convinto che come Chiesa dovremmo interrogarci di più su cosa possiamo fare, ma ancor più sui motivi che hanno portato a questa generalizzata situazione di crisi. Dovremmo avere il coraggio di denunciare un sistema economico e finanziario ingiusto nelle sue radici. E non credo che dinanzi a queste sperequazioni, introdotte da questo sistema, basti soltanto un po’ di ottimismo. Serve una parola autorevole, una parola libera, che aiuti i cristiani..., a gestire con sapienza evangelica e con responsabilità i beni che Dio ha donato e a ha donato per tutti e non solo per pochi.”
Nella sua risposta il Papa ha distinto due livelli, il primo è la macroeconomia e il secondo è la microeconomia. Per quanto riguarda la microeconomia e cioè le attività del singolo, bisogna che ognuno compia il lavoro quotidiano con responsabilità. E la Chiesa deve educare alla giustizia. Cito le sue parole: “La giustizia si realizza solo se ci sono i giusti. E i giusti non ci sono, se non c’è l’impegno umile, quotidiano di convertire i cuori. E di creare giustizia nei cuori. Solo così si estende anche la giustizia correttiva. Perciò l’opera del parroco è fondamentale non solo per la parrocchia, ma per l’umanità. Perché se non ci sono i giusti, la giustizia rimane un concetto astratto. E le strutture buone non si realizzano se ad esse si oppone l’egoismo anche di persone competenti.”
2) La dottrina del peccato originale contro l’ottimismo dell’Illuminismo
Nella sua dottrina sociale la Chiesa fa riferimento soprattutto alla macroeconomia, al rapporto fondamentale tra società ed economia, al problema quali sono i modelli economici da sostenere e che visione dell’uomo viene presupposta. Quando ci sono strutture ingiuste che negano i diritti fondamentali di molti uomini, allora è dovere della Chiesa alzare la sua voce. Nel contempo anche il Papa sa quanto sia difficile parlare con competenza al riguardo, perché uno non può essere credibile se non affronta con competenza una determinata realtà economica. Proprio per questo il Papa ha scritto un’enciclica sui problemi della globalizzazione e dell’economia mondiale, un’enciclica che doveva uscire un anno fa, ma che è stata rivista a causa della crisi finanziaria mondiale.
È interessante sottolineare che nella risposta data al parroco precedentemente menzionato, il Papa ha esposto la dottrina del peccato originale. Ha chiesto: “Esiste realmente il peccato originale? Se non esistesse, potremmo far appello alla pura ragione, con argomenti accessibili a ognuno e incontestabili, e alla buona volontà che esiste in tutti. Così potremmo andare avanti bene e riformare l’umanità. Ma non è così: la ragione – anche la nostra – è oscurata, lo vediamo ogni giorno. Perché l’egoismo, la radice dell’avarizia, sta nel fatto che io voglio soprattutto me stesso e il mondo per me. C’è in tutti noi. Questo è l’oscuramento della ragione: essa può essere molto istruita, con i migliori argomenti scientifici, e tuttavia è oscurata da false premesse. Così procede con grande intelligenza e con grandi passi sulla strada sbagliata. Anche la volontà è, come dicono i Padri, stravolta: non è semplicemente disponibile a fare il bene, ma cerca soprattutto se stessa o il bene del proprio gruppo. Perciò trovare realmente la strada della ragione, della ragione vera, è una cosa non facile e si realizza difficilmente. Senza la luce della fede, che penetra nelle tenebre del peccato originale, la ragione non basta. Ma poi la fede trova la resistenza anche della nostra volontà. Questa non vuol vedere la strada, che è anche la strada della rinuncia a se stessi e della correzione della propria volontà a favore dell’altro e non per se stessi.”
Anche l’enciclica “Caritas in veritate” introduce il capitolo terzo che tratta dello sviluppo economico e della società civile con il riferimento al peccato originale. Nel n. 34 si dice: “La sapienza della Chiesa ha sempre proposto di tenere presente il peccato originale anche nell'interpretazione dei fatti sociali e nella costruzione della società: « Ignorare che l'uomo ha una natura ferita, incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell'educazione, della politica, dell'azione sociale e dei costumi ». All'elenco dei campi in cui si manifestano gli effetti perniciosi del peccato, si è aggiunto ormai da molto tempo anche quello dell'economia.”
Mi sembra molto importante il riferimento del Papa alla dottrina del peccato originale, perché si distacca dall’ottimismo dell’Illuminismo, presente negli scritti dei padri delle scienze economiche. Ad esempio secondo Adam Smith (+1790) tutto risulta positivo se l’uomo segue i suoi istinti naturali che in ultima istanza sono ritenuti buoni. Il suo principio fondamentale è il seguente: “Le regole seguite dalla natura sono adeguate ad essa, anche le regole seguite dall’uomo non lo sono da meno. Entrambe hanno lo stesso grande obiettivo, vale a dire l’ordine del mondo, la realizzazione e la felicità dell’umanità”.
Le regole seguite dall’uomo dovrebbero essere i suoi istinti che possono essere egoistici oppure altruistici; entrambi sono importanti. L’attività economica dell’uomo è determinata dai suoi istinti egoistici, dall’esigenza di felicità che è insita in lui. Se tutti seguono i propri interessi, si promuove il benessere comune. Il mercato libero, non ostacolato da privilegi, cioè il libero gioco di domanda e offerta, bilancia i vari interessi. Nella ricerca della propria ricchezza, il produttore si preoccuperà di produrre e di vendere quei prodotti per cui c’è più richiesta, e nella lotta della concorrenza li migliorerà sempre più e questo favorirà i clienti e in generale la società con beni di qualità. “Come se fosse guidato da una mano invisibile”, il perseguire i propri interessi porta a un maggiore benessere di tutti. Secondo Smith l’egoismo e il mercato non sono al di fuori di un ordine, ma in base alla sua concezione illuministica del mondo egli ritiene che per mantenere questo ordine, sia sufficiente non porre degli ostacoli agli istinti “naturali” che portano alla felicità individuale. Questa concezione ottimistica del mondo è il punto debole della teoria di Adam Smith.
Mentre Adam Smith presuppone comunque uomini che si impegnano per ciò che è virtuoso, David Ricardo (+ 1823) definisce l’uomo semplicemente come “homo oeconomicus”, che nei suoi affari pensa esclusivamente ad aumentare il proprio profitto. Questo conferisce agli affari un aspetto di calcolo. Nel periodo neoclassico viene fatto un ulteriore passo: il rapporto uomo-uomo (modello fondamentale dello scambio fra persone) viene sostituito dal rapporto uomo-cosa come punto di partenza per l’analisi economica… “L’economia è solamente un’economia di mercato. In essa gli uomini operano in modo razionale, tanto quanto riescono a massimizzare il proprio profitto”.
3) La crisi finanziaria è all’interno del sistema
Questo concetto si realizza totalmente grazie alle moderne tecnologie dell’informazione nell’economia finanziaria globale, la quale si è distaccata dalla reale economia e dalla produzione di beni e investe i soldi soltanto dove c’è maggiore profitto. Come è stato più volte osservato, gli operatori finanziari si trovano in una situazione di costrizione e sotto pressione. Ogni operatore è allo stesso tempo soggetto e vittima del sistema, infatti quasi tutte le decisioni vengono prese in base a quelle degli altri. Bisogna anche ricordare che gli uomini della finanza oggi non sono solamente un esiguo numero di ricchi, ma tutte quelle persone che hanno investito i soldi in azioni e fondi d’investimento, per assicurarsi un futuro. I grandi fondi pensione esercitano un’enorme pressione per trarne la massima rendita e spingono anche a investimenti a rischio che poi traballano.
Mi sembra troppo facile far ricadere la colpa della crisi finanziaria solamente sulla smania di guadagno di alcuni speculatori corrotti della Borsa. Sicuramente sono uno scandalo gli stipendi dei manager delle banche e di grandi società e le loro liquidazioni, ma il problema sta all’interno del sistema. Si sono formati dei livelli salariali in cui gli operatori finanziari che si confrontano solamente con i loro simili in base alla domanda e all’offerta, perdendo completamente di vista gli “stipendi normali” dei dipendenti di livello inferiore che con il loro salario devono arrivare alla fine del mese.
Il sistema si basa ancora sull’autocontrollo del mercato, ma la supervisione è andata perduta. Nel suo principio fondamentale il mercato si fonda su una simmetria oscillante tra la domanda e l’offerta, con il presupposto che chi vende e chi compra siano più o meno ugualmente forti e che abbiano uguale competenza riguardo al mercato. In un primo tempo l’economia fu a base regionale, poi è stata regolata dalle diverse nazioni e sono state introdotte delle misure sociali per i più deboli. Così grazie ad apposite leggi è stata vietata la formazione di monopoli per mantenere un equilibrio di mercato.
Oggi l’economia, e qui soprattutto l’economia finanziaria, sono state globalizzate, ma manca una controparte politica adeguata. Si è cercato di introdurre alcune regole attraverso varie convenzioni e strutture internazionali. Esse, però, risultano finora troppo deboli, perché gli stati hanno interessi differenti. Sarebbe pericoloso sperare di superare la crisi economica con le misure prese finora, dichiarando fallite oppure statalizzando le imprese malate, con l’obiettivo di andare avanti come prima appena superata crisi. Facendo in questo modo la prossima crisi non tarderebbe a venire.
In tutta la storia dell’umanità non abbiamo mai affrontato una tale sfida politica, cioè la sfida di guardare all’intera famiglia umana e di puntare sulla solidarietà. Siamo seduti su una polveriera pronta ad esplodere, se non superiamo il divario crescente tra i pochi ricchi e i molti poveri, se non fermiamo il terrorismo, il riarmo e il pericolo sempre maggiore di guerre, se non prendiamo misure efficienti contro i cambiamenti climatici, se non miglioriamo le condizioni di vita di quei paesi da cui molti uomini emigrano, perché non vedono più un futuro nella loro terra.
L’enciclica “Caritas in veritate” scrive al riguardo: “Nell'epoca della globalizzazione, l'attività economica non può prescindere dalla gratuità, che dissemina e alimenta la solidarietà e la responsabilità per la giustizia e il bene comune nei suoi vari soggetti e attori. Si tratta, in definitiva, di una forma concreta e profonda di democrazia economica. La solidarietà è anzitutto sentirsi tutti responsabili di tutti, quindi non può essere delegata solo allo Stato. Mentre ieri si poteva ritenere che prima bisognasse perseguire la giustizia e che la gratuità intervenisse dopo come un complemento, oggi bisogna dire che senza la gratuità non si riesce a realizzare nemmeno la giustizia.” (n.38).
“Il ricevere precede il fare”, questo lo ha affermato Joseph Ratzinger nella sua “Introduzione al Cristianesimo” nel lontano 1967. Significa che prima dobbiamo ricercare ed essere pronti a ricevere il senso di tutto, un’illuminazione sul significato di ciò che facciamo. Ed è in fondo la carità. In un discorso del 23 gennaio 2006 Papa Benedetto citava al riguardo anche Dante che alla fine del cantico sul Paradiso esclama che è "l'amor che move il sole e l'altre stelle" (Par. XXXIII, v. 145). Luce e amore sono una sola cosa. Sono la primordiale potenza creatrice che muove l'universo.
Il senso di tutto ci deve essere donato, non lo produciamo noi. Io mi fido di un altro quando vedo che nel nostro incontro c’è qualcosa che ambedue presupponiamo, qualcosa che precede e fonda il nostro rapporto e che è ad esso irriducibile. Lo scopo della finanza non è quindi la finanza, lo scopo del mercato non è il mercato, lo scopo del lavoro non è il lavoro, questo ci dice la “Caritas in veritate”. Ma questo significa che lo scopo è un altro, significa che dev’esserci un presupposto indispensabile perché la finanza, il mercato e il lavoro siano veramente se stessi e non cadano completamente nella disponibilità degli interessi. Senza una luce ricevuta, senza la ricerca dei sensi, di ciò che veramente vale, non ce la fanno.
4) Attualità dei valori etici
Ma questo discorso è oggi possibile, ci sono dei segni di speranza? Se guardiamo la storia dell’umanità, possiamo notare che ci sono sempre state delle catastrofi, ma anche nuove riprese con il concorso delle migliori forze etiche dell’uomo. È stato così ad esempio dopo la seconda guerra mondiale in Europa. La speranza si fonda sugli uomini, sulla loro disponibilità a imparare dagli errori e a lavorare responsabilmente dopo un periodo di corruzione.
C’è in questo una sfida per tutte le religioni e in particolare per il cristianesimo, poiché si tratta dell’educazione dell’uomo. Il cristianesimo punta sull’uomo, sulla sua capacità di aprirsi al bene, perché per primo Dio, il sommo bene, si è donato agli uomini. Il cristianesimo conta anche sull’opera di Dio nella storia, sulla presenza dello Spirito Santo. Proprio in periodi di emergenza nascono nuove forze.
I valori sono punti di riferimento ideali cui l’uomo può volgersi. I valori devono trasformarsi in opere responsabili e continue, devono diventare virtù. Per me, in quanto cristiano, per il quale il rapporto con Dio è importante, stanno in primo piano le virtù teologiche, fede, speranza e amore. L’amore che si esplica nella solidarietà è la virtù più importante. Ma oggi è richiesta proprio la fede in Dio per riuscire a superare la crisi. La fede si trasforma in speranza e fiducia, che non sono altro che la dimensione futura della fede. Noi abbiamo un futuro, con tutte le sue possibilità, ma in gran parte non le attuiamo. Possiamo scegliere tra le opportunità che ci sono date, possiamo realizzarne una o l’altra, ma non dipende da noi che esse siano buone o cattive. Questo è il campo della speranza.
Non lo possiamo calcolare, non lo possiamo neanche dare per scontato e avere delle pretese, ma noi speriamo che ci sia per noi un futuro positivo, magari non in questa vita, nei beni materiali di questa vita, ma perlomeno nella vita eterna. Chi non spera più, chi vede solamente un futuro negativo davanti a sé, è già vicino alla morte. Tutte le nostre opere, per non parlare dell’imprenditoria e della progettazione, vivono di speranza. È una verità profondamente umana, ricordata anche da San Paolo: “Poiché colui che ara, deve arare sperando, e colui che trebbia, trebbiare nella speranza di avere la sua parte” (1 Cor 9,10). È più di un’attesa incerta, è un appoggiarsi a qualcosa che ancora non c’è qui e oggi.
Su che cosa si basa questa speranza? Per il contadino che ara potrebbe essere l’esperienza della stabilità del corso della natura, per chi trebbia la fiducia nella giustizia umana, che dà lo stipendio al lavoratore. In entrambi i casi è la fiducia che dà speranza. Chi pensa che il corso della natura si possa calcolare, oppure che sia fuori discussione l’affidabilità del datore di lavoro, trasforma la speranza in una semplice attesa. Chi al contrario, forse in seguito a esperienze negative, sottolinea l’incertezza del corso della natura, la possibilità di una carestia o di una grandinata, ecc. oppure la precarietà dei rapporti di lavoro, rende la speranza un’attesa del tutto incerta. La vera speranza si mostra solamente quando si ha, nonostante tutto, fiducia in una soluzione positiva.
La speranza di uscire dalla crisi economica si basa in ultima analisi sull’uomo, sul potenziale educativo dell’uomo, sull’uomo educato alla virtù. Sono importanti quindi le classiche quattro virtù cardinali: la virtù della prudenza che non richiede soltanto la competenza ma proprio la messa a disposizione di questa competenza per le attività economiche quotidiane; la virtù della giustizia come mantenimento di un ordine più grande, nel quale si inseriscono l’uomo e il suo operare; la virtù della fortezza come forza della volontà di non cedere ma essere fermi in tempi di crisi; la virtù della temperanza che riconosce i propri limiti e non intraprende ampliamenti della propria impresa, che poi non si riesce a portare a termine. Alcune imprese sono entrate in crisi dopo essere entrate in nuove società e dopo aver fatto nuovi debiti, come consigliava l’economia finanziaria, anche a causa delle possibili detrazioni fiscali.
Questi comportamenti umani virtuosi devono poi congiungersi con la capacità d’innovazione, non soltanto per quanto riguarda il prodotto tecnologico e il metodo produttivo, ma anche per quanto riguarda l’aspetto umano e sociale per i rapporti all’interno dell’azienda e per la gestione del processo lavorativo.
Per quanto riguarda i rapporti con gli altri imprenditori c’è bisogno di una fairness di fondo, cioè rispetto del contratto, rinuncia a espedienti nella concorrenza, qualità sicura del prodotto ecc., come pure disponibilità al servizio piuttosto che sete di potere. È chiaro che questa etica non deve riguardare soltanto il comportamento dell’imprenditore ma deve essere praticata anche da tutti i collaboratori. C’è bisogno quindi di continui corsi d’aggiornamento per rendere eticamente plausibili i propri obiettivi e quindi poterli sostenere anche al di fuori dell’azienda.
Lo ripeto: i valori vengono trasmessi alle persone dalle famiglie, dalle diverse “communities”, che a loro volta li hanno presi da una tradizione che forma la cultura degli uomini. Le religioni e le visioni del mondo sono importanti per le domande ultime sul senso della vita, per ciò che rende la vita umana qualitativamente degna di essere vissuta, perché è un dato di fatto che queste domande non possono ricevere una risposta senza un riferimento al trascendente. Nelle esperienze di vita e di morte, di gioia e di sconfitta, l’uomo si pone delle domande che sono più grandi di lui. Si può dare una risposta positiva a queste domande, come fanno le religioni, oppure si possono lasciare senza una risposta, come fanno altre visioni del mondo non religiose.
In tutte le culture e religioni si può stabilire un consenso minimale per quanto riguarda le questioni etiche, che ruota attorno alla “regola d’oro” e che comporta una reciprocità fra gli uomini, vale a dire che si deve fare all’altro quello che ci si aspetta da lui. Ci si può comprendere su questo valore fondamentale anche a livello mondiale.
È necessario quindi discutere su ciò che costituisce veramente la qualità della vita, su ciò che realizza la vita. Su questo punto è necessario il dialogo e collaborazione unitaria delle religioni, perché tutte – e soprattutto il cristianesimo – invitano in qualche modo a ridurre i desideri umani, puntando sulla solidarietà e sulla carità concreta. L’economia si basa sui desideri dei consumatori. Se gli uomini, veramente in gran numero, perseguissero altri valori, se essi promuovessero maggiormente la dimensione sociale e culturale dell’uomo, anche l’economia si potrebbe adeguare. Essa, infatti, potrebbe diventare vero servizio per tutti gli uomini e potrebbe investire la propria forza innovativa in ciò che veramente manca agli uomini, cioè tempo per se stessi, per gli altri e per Dio, vale a dire amore in tutte le dimensioni.