In difesa della costituzione
Qualche settimana fa, in un pubblico intervento, è stato detto dal più alto responsabile a livello governativo italiano che la nostra Costituzione, quando tratta dell’iniziativa economica, sarebbe impostata secondo l’ideologia “sovietica”, imperante, a suo dire, nel contesto politico di allora. Di fronte a questa affermazione, a dir poco stupefacente, pare doveroso cercare di capire ciò che effettivamente la “Magna Charta” repubblicana afferma e, soprattutto, se può essere fondata un’interpretazione del genere.
Com’è noto, la nostra Costituzione, una delle migliori del mondo, tanto da essere presa a modello, da non poche altre nazioni, nella sua prima parte – “Diritti e doveri dei cittadini” è tutta personalista e solidale e rappresenta il frutto maturo di una positiva convergenza di diversi filoni di pensiero cattolico e laico, ma tutti animati da un alto senso dello Stato democratico e del bene comune per costruire insieme “una casa per tutti i cittadini”.
Che dice la Costituzione circa la tematica economica in questione? “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali” (art. 41).
Due le affermazioni importanti: la libertà di iniziativa privata, o di impresa, come qualcuno preferisce; una libertà però non assoluta, ma da situarsi in un autentico contesto di rispetto della persona (“sicurezza”, “libertà”, “dignità umana”), perché l’attività economica non può essere fine a se stessa o per il benessere di pochi, ma di tutti, poiché esiste una “utilità sociale” dell’economia stessa.
A questo punto viene da chiedersi: questa impostazione è frutto dell’ideologia “sovietica” oppure di un ‘ispirazione genuinamente umana e cristiana? Infatti, chi conosce anche sommariamente innanzitutto il Vangelo e poi l’insegnamento sociale della Chiesa, specialmente dalla “Rerum novarum” fino agli ultimi pronunciamenti del Concilio Vaticano II e di Giovanni Paolo II, sa benissimo che la tesi circa “l’utilità sociale” dell’economia assunta dalla Costituzione è in piena consonanza con questo magistero. Si potrebbe dire che è la tradizione laica della genuina visione cristiana sui rapporti eticamente corretti tra l’uomo e i beni materiali. Solo chi è ispirato da un pensiero neoliberista, e purtroppo governa di conseguenza, può trovare nel testo costituzionale un’impostazione “sovietica”.
D’altronde non è il caso di meravigliarci più di tanto. Ai tempi di Leone XIII, il papa dell’enciclica in cui si affermava che il lavoro dell’uomo non è merce, che la persona viene prima del profitto, che è lecito agli operai associarsi per difendere i loro giusti diritti, parecchi anche del cosiddetto “mondo cattolico” di allora dicevano che il papa era diventato “socialista”!
Ma c’è di più: probabilmente, se si continua a leggere nella Costituzione, l’accusa di essere “sovietica” potrebbe ancora diventare più grave. Infatti, all’art. 42 è detto: “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge che ne determina i modi di acquisto, di godimento, e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. Dunque, non solo l’attività economica, ma pure la proprietà privata deve rispettare e adempiere una funzione sociale. Addirittura si afferma che la società – e perciò chi governa – deve fare in modo, con opportune leggi che tutti possano accedervi. Evidentemente, perché i costituenti erano convinti che l’uomo è più importante delle cose e che occorreva evitare il rischio, quanto mai reale, per cui, avendo pochi il possesso di molto o moltissimo, i molti non giungessero mai neppure al possesso di poco.
E questo non è certamente conforme alla volontà di Dio al riguardo. Insegna infatti il Concilio Vaticano II: “Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli e pertanto i beni creati devono essere partecipati equamente a tutti secondo la regola della giustizia, inseparabile dalla carità; pertanto, quali che siano le forme della proprietà, si deve sempre tenere conto di questa destinazione universale dei beni” (GS 69).
Allora: la nostra Costituzione reca l’impronta “sovietica”, oppure felicemente e genuinamente quella biblico/cristiana, anticipando perfino, in una certa misura, il dettato conciliare? E perciò triste dover constatare come alcuni politici, con i relativi loro sostenitori – che pur dicono di ispirarsi ai principi sociali cristiani – possano pubblicamente fare certe affermazioni, senza neppure suscitare motivate e giuste reazioni.