CHIESA

In prigione per la pace

La testimonianza delle suore domenicane condannate negli USA.
Stefania Baldini

(c) www.domlife.org In Colorado (USA) tre suore domenicane Ardeth Platte (anni 66), Carol Gilbert (55) e Jackie Hudson (68), sono state condannate, il 25 luglio scorso, rispettivamente a 41, 33 e 30 mesi di carcere a seguito della loro partecipazione a manifestazioni contro la guerra. Le tre suore fanno parte, insieme ad altri religiosi e laici, del gruppo Plowshares (Vomeri); nome che – nel riferimento esplicito a Isaia 2,4 “Forgeranno le loro spade in vomeri…” – riassume chiaramente il programma: “Disarmare” simbolicamente ogni arma di distruzione di massa. La prima azione di Plowshares risale al 1980: all’epoca oggetto della contestazione furono le testate nucleari presso una fabbrica della General Electric in Pennsylvania. Da allora sono state compiute più di 70 azioni; fra le ultime quella di Gary Ashbeck, arrestato il 19 marzo 2003, durante una manifestazione contro la guerra in Iraq, con l’accusa di aver forzato un blocco della polizia e quella del 25 maggio 2003 di quattro membri di Riverside Plowshares, responsabili del “disarmo” di missili nucleari Tomahawk sulla nave US Philippine Sea, la stessa che aveva lanciato questi missili contro le popolazioni di Yugoslavia, Afghanistan e Iraq. Le tre suore, che hanno già iniziato a scontare la pena loro comminata, non sono nuove a tali interventi e – anzi – hanno già collezionato molti arresti.

Cosa è accaduto?
Il 6 ottobre 2002, nel primo anniversario del bombardamento dell’Afghanistan da parte degli USA, esse hanno “ispezionato” un sito sospetto a Greeley, a nord di Denver, nel Colorado (uno Stato con ben 49 siti come questo!), richiamando l’attenzione pubblica sui missili nucleari Minuteman III di attacco preventivo e di potenza venti volte superiore alla bomba di Hiroshima. Entrate nel recinto hanno

Vivendo la nonviolenza
Parole di speranza nella lettera della co-promotrice nordamericana di Justice, Peace, and Care of Creation.

Cari fratelli e sorelle,
la lettura di venerdì dalla Seconda Lettera ai Corinzi ci dice che custodiamo il nostro tesoro in vasi di creta. Ci parla della grazia che è stata, e sarà, concessa in abbondanza. Come possiamo non credere a questo, sapendo con quale dedizione le nostre tre sorelle domenicane, Ardeth Platte, Carol Gilbert e Jackie Hudson predicano e vivono la spiritualità della nonviolenza? Nella tradizione domenicana, le tre suore di Grand Rapids hanno studiato, pregato e discusso prima che il loro atto profetico al silos missilistico fosse possibile. Poi, sostenute e accompagnate dalla comunità, hanno agito per rendere reale la loro visione di pace e disarmo.
La mattina in cui era prevista la loro sentenza era facile rendersi conto che la “comunità” si era allargata, e non includeva più solo la congregazione di Grand Rapids. Tra le oltre 350 persone che si sono ritrovate fuori al tribunale Alfred Arraj di Denver per pregare e prepararsi alla sentenza, c’erano domenicani, francescani, suore di Loreto, monaci buddisti, lavoratori cattolici, membri di Plowshare e di Witness for Peace, quaccheri, Pax Christi, amici e parenti. Uno dei parenti di Jackie ha sottolineato che “le riunioni familiari normalmente coincidevano con festività, battesimi, compleanni, matrimoni. Ora questo concetto si è esteso a processi e sentenze”.
[...] Sono stata io a portare lettere e promesse di preghiere e sostegno alle tre suore da parte della Commissione Internazionale, dalla leadership dell’Alleanza Domenicana, e dai Promotori di Giustizia Domenicani [...]. Le suore stesse erano vestite completamente in nero, portavano il velo, mute nell’aula del tribunale. Hanno parlato nella funzione religiosa tenutasi prima del loro ingresso in tribunale. Jackie ha detto: “Bene, oggi è il gran giorno. Serba molte cose ignote per quanto riguarda i giudizi/le decisioni del giudice Blackburn. Tuttavia, serba molte cose note: la continua presenza di armi nucleari – secondo le ultime cifre, gli Stati Uniti ne possiedono 10.455; un presidente in carica che ha dichiarato pubblicamente la propria intenzione di usare queste armi – in violazione di numerosi trattati, carte, convenzioni, protocolli; un bilancio dello Stato che permetterebbe di moltiplicare queste armi di sterminio di massa e di aggiornare quelle esistenti…”.
Ardeth ha affermato: “Con la visione del disarmo, un mandato a dire la verità, e una missione per fermare il peccato, l’illegalità e la criminalità perpetrati nel mio nome, marcio al ritmo che mi detta il tamburo dell’anima che instilla fede invece che paura, fiducia e non disperazione, e amore invece che odio”. Carol ha dichiarato: “Andare in prigione non mi fa paura. Non mi fa paura la perdita della mia libertà di movimento. Non mi fa paura neanche la morte. La paura che mi assale è quella di non aver vissuto abbastanza intensamente, profondamente e dolcemente con i doni che Dio mi ha dato”.
Alla fine, Jackie Hudson è stata condannata a 30 mesi, Carol Gilbert a 33 mesi e Ardeth Platte a 41 mesi. Ognuna ha già scontato 7 mesi.
La giornata di ieri è stata ribattezzata ADOTTA UN SILOS MISSILISTICO per accrescere la consapevolezza dell’esistenza illegale e dei pericoli legati all’arsenale nucleare statunitense, in particolare per quanto riguarda i 49 silos missilistici in Colorado, in solidarietà con le tre suore che sono state condannate per la loro manifestazione pacifica e simbolica presso uno dei silos nucleari. La manifestazione sarà legale, nonviolenta, e promuoverà un’immagine pacifica. [...] Pace e ringraziamento.

Judith Hilbing, O.P.
Co-Promotrice nordamericana di Justice, Peace, and Care of Creation
27 luglio 2003

Traduzione di Giulia Riccio, Traduttori per la Pace

colpito con dei comuni martelli il rivestimento di cemento armato del missile e han tracciato croci con il proprio sangue, secondo la prassi abituale di Plowshares, simbolo del sangue innocente sparso da questi ordigni. Arrestate dalla polizia, giunta sul posto dopo 45 minuti, sono rimaste in una prigione sotterranea per sei mesi prima del processo. Infatti, pur potendo chiedere la libertà provvisoria, esse non lo hanno fatto perché avrebbero dovuto “promettere di non violare nessuna legge”.
Il 31 marzo il giudice Blackburn ha confermato le accuse, pesantissime, di sabotaggio (che, trattandosi di armamenti, si configurava in sostanza come attentato alla Sicurezza Nazionale) e di distruzione intenzionale di proprietà degli Stati Uniti, reati che prevedono in USA la detenzione fino a 30 anni. Il giudice si è riservato di rendere nota la pena il 25 luglio e ha rilasciato le imputate fino a quella data. Forse anche a seguito delle tante lettere ricevute, egli al secondo processo ha ammesso che non c’era stata una vera minaccia alla Sicurezza Nazionale, piuttosto una “pericolosa irresponsabilità”, comminando “solo” pene da due anni e mezzo a tre anni e mezzo.
Le suore hanno accolto la sentenza con la serenità e la dignità che hanno sempre caratterizzato il loro comportamento di fronte alla Corte.

Voci solidali
Vivo sostegno e tanta solidarietà sono giunti alle suore coinvolte nella vicenda giudiziaria, non solo dagli Stati Uniti, ma anche dall’Inghilterra, dalla Germania, dalla Nuova Zelanda, da Porto Rico, dai Paesi Bassi, dal Nicaragua e dal Brasile. Il giudice Blackburn ha ricevuto oltre mille lettere che testimoniavano il carattere delle tre suore e il servizio da loro prestato alla comunità. “Quando gli individui agiscono insieme, nello stesso modo, questo fa la differenza. In questo caso, la comunicazione di solidarietà ha avuto un effetto sulla cosiddetta ”downward departure” che fa ridurre una condanna, specialmente nell’area del sostegno e del servizio alla comunità” – ha affermato Judith Hilbing, membro della Commissione Internazionale dei Promotori di Giustizia Domenicani.
Evidentemente l’insistenza con cui l’Ordine Domenicano, fin dal Capitolo Generale di Quezon City nel 1977, richiama all’urgenza di tradurre in pratica l’impegno per la giustizia e per la pace ha dato molti frutti, come la creazione di una Commissione Internazionale di Giustizia e Pace formata da frati e suore e di Commissioni Nazionali, o la presenza di un delegato permanente presso la Commissione dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite. Ma è fuori dubbio che il ramo femminile e laico dell’Ordine testimonia una vivacità notevole e una coerenza che induce ad essere più pensosi. Sr. Ardete Platte in Tribunale, prima che il giudice arrivasse, ha colto l’occasione per rivolgere un appello alle persone presenti in aula e ha detto: “La speranza del mondo poggia sulle spalle di noi tutti. Noi la nostra parte la stiamo facendo. E voi?” . Una provocazione espressa con fermezza, ma senza arroganza, come tante altre che ci arrivano ormai da più parti e che non dovrebbero lasciarci indifferenti.

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