Un’altra economia è possibile
L’esperienza di L’impresa di un economia diversa, il convegno promosso da Sbilanciamoci e molte altre organizzazioni e reti nazionali e napoletane, a Bagnoli nello scorso settembre, è stata un buon successo. L’idea da cui si partiva era la seguente: perché, mentre finanzieri e imprenditori si riuniscono a Cernobbio, noi non ci vediamo in un luogo simbolico dei fallimenti del modello industriale italiano e ragioniamo di alternative concrete e teoriche al modello proposto nella lussuosa cornice delle ville sul lago di Como? Detto in maniera più rigorosa, l’obiettivo era quello di provocare nella società civile, nei movimenti, un confronto su un tema che non è tradizionalmente il loro, quello delle politiche economiche, del ruolo delle imprese, dello Stato, del sistema produttivo italiano e del suo futuro. L’idea è partita da Sbilanciamoci, che ogni anno si occupa di scrivere una finanziaria di proposte alternative, ma che ha ancora difficoltà (nell’elaborazione delle proposte) a mettere le mani sul tema dello sviluppo.
Un destino comune
Se la campagna riesce a ragionare in dettaglio sui tagli alla spesa militare o su politiche fiscali redistributive, è più difficile proporre ricette per uno sviluppo economico capace di coniugare diritti, rispetto dell’ambiente, qualità dei prodotti, competitività non basata sulla riduzioni dei costi e su innovazioni di processo tese a ridimensionare il numero di lavoratori. Il tentativo era anche quello di
mettere a confronto su questo tema difficile esperienze e punti di vista diversi: operatori sociali e professori di economia, sindacalisti e finanza etica, commercio equo e amministratori locali. Culture e punti di vista portatori di saperi, nozioni, idee e proposte diverse che confrontandosi possono delineare assi di lavoro e ricerca, elaborazioni collettive utili per il futuro.
Il convegno si è aperto con un prologo la sera di giovedì 4 settembre, al circolo dei lavoratori dell’ex Ilva “ l’unico luogo in cui si trovi ancora memoria dell’enorme apparato industriale, storia di lavoro e lotte ancora presenti in quest’area”, come ha detto il presidente del circolo Guglielmo Santoro nel quale Gianfranco Bettin, Marco Revelli ed Ermanno Rea hanno discusso di tre luoghi con un destino simile, il polo industriale dismesso di Bagnoli, l’area industriale inquinante e in crisi di Porto Marghera e la company town italiana per eccellenza, Torino. Ciascuno dei relatori ha scritto libri, studiato, vissuto, quelle storie e sentirle raccontare è stato davvero di grande interesse. Nel caso di Bettin, poi, che oltre a essere un esperto di Marghera fa anche l’amministratore locale, c’è stato anche lo sforzo di ragionare su ipotesi alternative di sviluppo. Tre i temi centrali intorno ai quali era strutturato il convegno: gli scenari della globalizzazione, la crisi del modello industriale italiano e la ricerca di esempi e idee di alternative.
Nella prima giornata i temi centrali sono stati tre: nesso economia e militarismo (con i Paesi Nato a produrre il 70% della spesa pubblica) messo in luce da Claude Serfati, professore francese membro del comitato scientifico di Attac France; caduta dei vincoli sociali e ambientali, estensione delle privatizzazioni e aumento delle disparità a livello mondiale e nei singoli Paesi, come ha ricordato Mario Pianta che ha insistito molto sulla necessità di investire in ricerca pubblica come possibile via di uscita a lungo termine dall’impasse del sistema industriale italiano; conflitto tra espansione dei poteri economici forti e diritti dell’uomo, secondo la chiave di lettura della globalizzazione proposta da Luigi Ferrajoli, che ha messo l’accento sulla regressione delle relazioni internazionali dal momento in cui la globalizzazione economica non ha conosciuto un’equivalente codifica di regole internazionali condivise e non imposte. “Il costo che si paga per la cancellazione dei diritti e i rapporti ineguali tra Nord e Sud – ha inoltre sottolineato Ferraioli – è superiore a quello per la loro espansione”. I diritti come fattore primario di sviluppo, insomma. Nella prima giornata è anche intervenuto Patrick Viveret, che ha proposto una nozione di ricchezza e produttività a partire dalla capacità di soddisfazione dei diritti fondamentali.
E le alternative?
Nella seconda giornata la critica al modello di sviluppo industriale italiano è stata affidata a Luciano Gallino, Augusto Graziani, Enrico Pugliese e Marigia Maulucci della Cgil nazionale. Legge 30 di riforma del mercato del lavoro, diritti degli immigrati, decadenza di un sistema produttivo che ha conosciuto punte di eccellenza e che oggi scompare senza essere sostituito da nulla sono i temi posti al centro dai relatori.
E le alternative? Paolo Chivaroli, a nome dell’associazione del Commercio Equo, ha parlato della crescita di questo tipo di economia, della necessità di mantenerne fermi il carattere alternativo e partecipativo in un epoca in cui l’epoca è di gran moda e della possibilità che questa nicchia di successo possa essere utile per potenziare e ragionare di economia altra nel concreto. Delle sirene del marchio etico ha parlato anche Fabio Salviato, presidente di Banca Etica, che ha ribadito anche lui l’alterità di esperienze economiche tese alla costruzione di un futuro diverso e non votate a conquistare nicchie di consumo.
Altra esperienza concreta è quella proposta da don Tonino Palmese, che ha parlato della riconversione dei beni sequestrati alla mafia, che da economia criminale diventano agricoltura biologica o spazi pubblici. Su un fronte simile in un incrocio tra economia pubblica, beni comuni e economia sociale, è intervenuto Tonino Perna, direttore del Parco dell’Aspromonte, che ha esposto i progetti del Parco su energie alternative, prevenzione degli incendi, sviluppo locale. Su tutt’altro fronte si è esercitato Andrea Fumagalli, secondo il quale il sistema postfordista, che precarizza il lavoro, mette il lavoratore a disposizione per tutto l’arco del tempo (fino al paradosso: “la Rai, Finivest e Sky ci dovrebbero pagare perché con i dati Auditel guadagnano i soldi della pubblicità, anche alla sera siamo al lavoro per far fare profitti”). Per questo, secondo Fumagalli è giusto pensare a strumenti di redistribuzione del reddito svincolati dal lavoro, forme di reddito di cittadinanza. Dopo di lui è intervenuto Luigi Nieri, assessore al lavoro e alle periferie del Comune di Roma, che ha parlato del lavoro del Comune, dell’impegno per l’altreconomia (accordi con Credito cooperativo e Banca Etica, Fiera annuale del commercio equo, rinuncia agli sponsor poco etici).
Per maggiori approfondimenti sull’argomento: http://www.lunaria.org, http://www.altreconomia.it
In tutto questo ci sono anche stati interventi più direttamente politici (Alex Zanotelli, Giulio Marcon di Lunaria, Tom Benettollo dell’Arci, Titti Di Salvo della Cgil) che hanno sostenuto l’importanza del fare rete, del connettere queste esperienze in termini tanto ideali quanto pratici, del lavorare alla elaborazione di idee praticabili e assieme portatrici di valori alternativi a quelli esportati dalla espansione e pervasività dei mercati globali.
Insomma un percorso comune di confronto e di ricerca da proseguire, nello spirito con cui Sbilanciamoci aveva lanciato questa idea di anti Cernobbio e tante associazioni e realtà locali (dalla sinistra locale alla Cgil, da rete Lilliput a Attac Italia a Transform Italia) avevano aderito.