Portarsi sulle spalle un pezzetto di mondo non ancora riconciliato
C’è un che di profondamente terreno e quotidiano nella nonviolenza che la allontana dai toni idealizzanti e idilliaci e la rende vicina, quotidiana e per questo difficile, ma efficace. La nonviolenza è la radice stessa della creazione, il modus operandi di Dio. La croce di Gesù è l’esempio più lampante di nonviolenza che spezza il vortice del male smascherando l’ingiustizia che lo produce.
La nonviolenza unica via alla pace nella cultura civile e religiosa, organizzato dal Centro Studi economico sociali di Pax Christi tenutosi a Firenze il 21 e 22 novembre, ha sottolineato con i suoi relatori e gli interventi dei partecipanti, l’importanza e la validità di un percorso di riscoperta della nonviolenza come metodo unico per percorrere la via della pace.
Carmine Di Sante, teologo, ricorda che i beati del Vangelo sono nonviolenti perché hanno subito ingiustizia, ma non fanno patire agli altri ciò che hanno patito. La nonviolenza è dunque perdono, è la capacità di ognuno di portarsi sulle spalle un pezzetto di mondo che ancora non si è riconciliato.
Essere nonviolenti è innanzitutto saper leggere la realtà e riconoscere la nostra natura di esseri umani non guidati da una logica di competizione animalesca, ma di accoglienza e perdono. Nella sua relazione sulla nonviolenza di genere la pastora Elizabeth Green auspica, citando Boff, il passaggio da un paradigma del nemico e del confronto, stereotipicamente maschile, a uno dell’ospite e dell’alleanza, femminile. Green spiega che il “maschio” definisce se stesso in contrapposizione all’altro mentre il mondo femminile ha bisogno del confronto con gli altri per capirsi. Inoltre sottolinea come sia un atteggiamento femminile quello di prendersi cura dei malati, delle persone in difficoltà, della solidarietà quotidiana. La pastora battista invita a superare gli stereotipi maschili e femminili e spiega la gravità del problema. Questi stereotipi di maschio e femmina producono gravi danni tanto che “la violenza domestica è la prima causa di morte delle donne nel mondo”. Virginia Woolf diceva che il mondo pubblico e il mondo privato sono collegati, i servilismi e le tirannie sono le stesse.
La relazione quotidiana è il terreno principale della pratica della nonviolenza e Fernanda Werner ci ha raccontato l’esperienza della Cooperativa Dike che si occupa di mediazione dei conflitti. “È sempre più frequente la rinuncia a prendersi cura delle relazioni. Si fa fatica ad accettare la diversità dell’altro. Non riusciamo spesso a dare nome alle emozioni. I conflitti degenerano facilmente e rapidamente. Non si riconoscono i bisogni profondi delle persone”.
Le emozioni prendono il sopravvento nei rapporti personali, ma il problema è anche a livello mediatico dove siamo investiti da stimoli emotivi continui. La nostra epoca è sempre più competente tecnologicamente, ma fatica a sviluppare competenze emozionali e affettive, spiega Carlo Di Cicco vicedirettore dell’Osservatore romano. Siamo sommersi da informazioni e non abbiamo il tempo o la possibilità di rielaborarle. Ci può essere una comunicazione mediatica nonviolenta, ma servono tempo e pazienza. E’ necessaria una professionalità seria dei giornalisti lavorano troppo spesso sul sentito dire, con scarso rigore, concentrandosi sulla chiacchiera e poco sui fatti. Un primo passo è certamente quello di fermarsi a pensare, ridurre il rumore di fondo e ridare significato alle parole per usarle con maggiore consapevolezza. Un esercizio valido per ogni ambito della nostra vita frenetica, delle nostre relazioni abbozzate, dei nostri gesti affrettati.