EDITORIALE

La guerra, Obama e noi

Alex Zanotelli

La decisione del presidente Barak Obama di inviare altri 30.000 soldati a combattere in Afghanistan è di una gravità estrema. Perché rafforza la presenza americana in Afghanistan che rischia di diventare il nuovo “Vietnam”. Il Vietnam di Obama. È stato eletto presidente degli USA per far uscire il suo Paese dalle guerre d’Iraq e d’Afghanistan, frutto amaro dell’amministrazione Bush.
Grande è la delusione dei cittadini USA, soprattutto i più giovani che lo hanno votato. “Caro presidente Obama – gli ha scritto il noto cineasta Michael Moore alla vigilia del discorso del presidente USA a West Point – vuole davvero essere il nuovo ‘presidente di guerra’? Con un solo discorso, domani, lei potrà trasformare una moltitudine di giovani, che sono stati la spina dorsale della sua campagna elettorale, in cinici disillusi. Potrà insegnargli che quello che hanno sempre sentito dire è vero e cioè che tutti i politici sono uguali”.
Parole pesanti, ma vere. La decisione di Obama è grave. E a renderla ancor più grave è il discorso da lui pronunciato a Oslo, il 10 dicembre scorso, durante la cerimonia di consegna del Premio Nobel per la Pace: “Dobbiamo essere consapevoli di una verità difficile da mandare giù: non riusciremo a sradicare il conflitto violento nel corso della nostra vita. Ci saranno occasioni in cui le nazioni, agendo individualmente o collettivamente, troveranno non solo necessario, ma usualmente giustificato l’uso della forza”. E prosegue: “Dire che a volte la forza è necessaria, non è un’invocazione al cinismo, è un riconoscere la storia, le imperfezioni dell’uomo e i limiti della ragione”.
Un discorso grave, aberrante, che pensavamo di non dover più ascoltare. Parole che, invece, oggi vengono dette dal più potente uomo di governo del mondo, peraltro sotto i fari del Nobel per la Pace! Che tristezza!
Non stupisce Obama perchè anche lui prigioniero di quello che D. Eisenhawer aveva definito “il complesso militare-industriale USA” che, da Reagan in poi, governa gli Stati Uniti e il mondo intero. Uno dei pochi che aveva tentato di uscirne fuori è stato il presidente Kennedy, non a caso fatto assassinare.
Né noi possiamo chiedere il martirio a Obama, ma l’onestà intellettuale sì. Non può motivare la sua decisione di inviare truppe in Afghanistan con la giustificazione della necessità storica della violenza. Né con il presunto interesse superiore della “sicurezza globale”. La guerra in Afghanistan, come tante altre, è una guerra imperiale per il controllo di una zona strategicamente importante per le risorse energetiche.
Ed è altrettanto grave che il governo Berlusconi abbia accettato di inviare oltre 1000 soldati a combattere in quel Paese che non ci ha fatto proprio nulla! La guerra in Afghanistan ci costa un milione di euro al giorno! Anche l’ultima Finanziaria ha stanziato 24 miliardi di euro per la difesa. Questa politica di guerra esige la guerra!
Mi meraviglia il silenzio della Chiesa, delle Chiese. Mi meraviglia il silenzio dei vescovi italiani. Quand’è che le nostre Chiese ritorneranno alla pratica delle prime comunità cristiane quando a un uomo che chiedeva il Battesimo, la comunità gli chiedeva: “Fratello scegli o il battesimo o l’esercito”?
Quando, come Chiesa, avremo il coraggio di proclamare che è stato Gesù a inventare la nonviolenza attiva? È tempo di scelte concrete anche per la Chiesa italiana.
Anche in nome e in memoria di testimoni come Mazzolari, Milani, Turoldo, Tonino Bello, ci chiediamo, oggi come ieri, quando arriverà il tempo del disarmo?
Oggi più di ieri, c’è bisogno di parole forti e scelte coraggiose.

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