Contro l’affanno
Aprendo queste mie riflessioni, mi è doverosa una premessa che mi riguarda. Non sono un biblista, sono un semplice prete che vive tra la gente, compagno di viaggio, senza un tempo protetto, come forse tutti sogneremmo, per una riflessione più approfondita. I miei sono appunti, appunti di viaggio.
Mi seducono le immagini che Gesù come sempre usa. Uccelli, granai, vestiti, gigli e erba del campo. E penso ai nostri documenti senza immagini, pesanti, senza poesia e ho paura per le mie parole.
Mi seducono i verbi del racconto di Matteo contro l’affanno. All’imperativo, un richiamo forte. Tre imperativi al negativo e uno al positivo. Al negativo il verbo che dice affanno, ansia: “Non affannatevi per la vostra vita di quello che mangerete e berrete”, “Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo?”, “Non affannatevi dunque per il domani”.
Imperativo al positivo “cercate”: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia”. Ma ci sono altri due imperativi al positivo che solitamente vengono trascurati e che io vorrei ricordare: “guardate”, “osservate”: “guardate gli uccelli del cielo”, “osservate i gigli del campo”.
Una cosa ancora mi colpisce. Nei versetti precedenti Matteo ha messo in guardia dall’accumulo: “Non accumulate tesori”, ha messo in guardia da una ricchezza che diventa mammona, assolutezza, porto di affidamento. Dire “amen” alla ricchezza e non a Dio. Ma qui Gesù distoglie dall’affanno non per l’accumulo dei beni, ma per ciò che sembra invece necessario, il cibo e il vestito. E non aveva lui forse difeso i discepoli che in giorno di sabato avevano colto spighe? E non aveva forse Dio cucito vestiti per il terrestre e la sua donna nel giardino delle origini?
E allora mi si fa strada nella mente una distinzione tra “occuparsi” e “preoccuparsi”. O se volete tra occuparsi delle cose, anche le più necessarie ed essere occupati, cioè subire una occupazione, un’invasione, un dominio. Non hai più la mente sgombra, non hai più l’anima libera. La tua testa è altrove. Sei occupato. Perdi le persone, le cose, gli eventi. Con la testa sei altrove.
AFFANNI E RESPIRI VITALI
Quali sono le motivazioni portate da Gesù contro l’affanno?
Una prima è che il preoccuparsi è segno di stoltezza, puoi forse aggiungere un’ora sola alla tua vita? Puoi aggiungere un palmo alla tua statura? La gestione della vita è forse nelle tue mani? Non dovremo forse riconciliarci con la nostra provvisorietà? L’ansia non viene forse anche da questa preoccupazione che tutto sia sotto controllo? Tutto secondo la programmazione? Accetta la precarietà. La provvisorietà che ci segna. Sorridi, impariamo a sorridere di noi stessi, soprattutto di noi stessi quando ci diamo l’immagine di uno che ha in mano il mondo.
Don Gino Rigoldi tempo fa mi raccontava di aver visto in Sardegna una maglietta con una scritta che tanto lo aveva divertito. L’avrebbe voluta riproporre anche a Milano. Sulla maglietta era scritto: “Dio esiste. Non sei tu. Rilassati”.
Il rischio insito nell’eccesso di preoccupazione è quello di trascurare ciò che vale di più. La vita, il respiro vitale non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Respiro vitale e corpo, cioè il nostro stesso essere. L’ansietà, l’affanno non ci portano forse a trascurare noi stessi e gli altri?
Il cibo. Ho pensato a Marta e Maria. Marta che si occupa del cibo, Maria che ascolta. Accoccolata ai piedi di Gesù. E Marta, irritata: “Dille che mi aiuti”. E Gesù: “Marta, Marta tu ti affanni” – lo stesso verbo di Matteo – “e ti agiti per molte cose; ora c’è bisogno di una cosa sola. Maria infatti ha scelto la parte buona che non le sarà tolta” (Lc 10,41-42). Marta non è certo rimproverata perché pensa al cibo, perché si occupa, ma perché è occupata, perché mestieri e cibo chiudono l’orizzonte. Lei – vuol far capire Gesù – è molto di più. Non si può ridurre una donna ai mestieri di casa, non deve succedere che le cose di casa le tolgano il respiro, il respiro vitale. È fatta, ancor più e prima, di altro: Gesù la vuol difendere nella sua vera identità e dignità. L’affanno – vuol farle capire – le toglie il respiro vitale.
La seconda motivazione che spinge a non affannarsi è forse ancor più profonda. Dio è Padre. Lui si occupa delle realtà anche minime. Degli uccelli dell’aria, dell’erba del campo. Valgono poco gli uccelli dell’aria, costano un minimo; vale poco l’erba del campo, la si brucia. Ebbene Dio se ne occupa. C’è dentro una cura di Dio. Vuoi che non si occuperà di noi?
Ed ecco il verbo al positivo: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”. Che non è un “prima” di tempo: fai una cosa prima e poi ne fai un’altra. È un prima di “primato”. Il primato va a Dio e al suo regno. Un primato a Dio, a un Dio, vorrei subito aggiungere, che non è un Dio generico, astratto, l’essere perfettissimo, ma a un Dio che è “padre”. Cercate il suo regno, cercate il suo sogno sulla terra, cercate la sua giustizia che non sta nella giustizia stretta degli scribi e farisei, ma nella dismisura dell’amore. Non sta nella reciprocità ma nell’eccesso, nella gratuità. Cercate, lasciate entrare dentro di voi, il suo sogno.
CAPACI DI OSSERVARE
“Tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”. E non certo nel senso che avrai vantaggi economici. Ma nel senso, così mi sembra di interpretare, che dentro l’orizzonte del regno le cose avranno un’anima. Restituirai un senso, un’anima alle cose, che non saranno più appiattite nel consumo, ma avranno la luce del dono.
Non saranno più ristrette, impoverite nell’angustia della meschinità, della mancanza di respiro, ma avranno il respiro del “per tutti”.
Così salvi la vita, non solo quella futura, questa vita.
“Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini”. Sembra, ci illudiamo, di fare un servizio alla vita affannandoci per essa. Sembra di diminuire attenzione alla vita invitando a non preoccuparsi. È il contrario. L’affanno non ti lascia guardare la vita. Capitano cose e tu non ci sei. Un cuore libero, non pieno, ti fa essere aperto al regno che passa nelle cose: “Il regno di Dio è in mezzo a voi”, “il regno di Dio è dentro di voi”.
L’invito a non affannarci non è dunque invito a essere senza pensiero o senza sguardo per le cose. Se mai ad avere un pensiero e uno sguardo più profondo: “guardate”, “osservate”. Non “chiudete gli occhi”. Apriteli e troverete senso e dimensioni.
Pensate la provocazione dentro una stagione che celebra il consumo, dentro la cultura delle cose impoverite a “prodotto”, consumi e getti. Dentro una spenta voracità, cioè dentro un mangiare defraudato di ogni ulteriorità, un mangiare e basta, per questo un mangiare spento, un mangiare da ciechi, non da vedenti.
Si tratta, voi mi capite, di ritornare a incantarsi per l’oltre, per il volto che abita le cose e le fa dono.
Ma l’incantamento viene da un indugio, da una capacità di sostare. Indugiare alla soglia delle cose. La fretta è nemica, radicalmente nemica, dell’incantamento. La fretta che ci consuma è parente stretta della voracità. L’ansia non ci lascia guardare il presente. La fretta ci fa predatori. L’incantamento ha bisogno di sosta. “Guardate” – dice Gesù – “osservate”. Noi scivoliamo via, qualche volta per stordimento, altre volte per cattiva interpretazione del regno. Gli occhi sono in avanti. Come se le case e le cose fossero vuote, disabitate. Gli occhi si sono fatti opachi, opachi per cataratta dello spirito, e di conseguenza incapaci di sorprendere i colori, la bellezza, il mistero che abita le cose. “Guardate”, “osservate”. Non c’è più il tempo dell’incantamento, c’è il tempo del consumo.
Ritorni il tempo dell’incantamento. Contro l’affanno.