Libere, belle e sicure
Il 25 novembre anche quest’anno è stato ricordato nel mondo – e in Italia da manifestazioni in molte città – come la giornata dedicata dall’Onu alla violenza contro le donne. Non è il caso di enumerare le violenze che ancora il diritto non riesce a formulare come “violenze di genere”. Sono violenze che avvengono in primo luogo nella sfera privata, ma che spesso interessano il diritto penale perché arrivano al delitto e non a caso si intravede la possibilità in futuro di affiancare all’omicidio il femminicidio.
Violenze
L’inviolabilità del corpo femminile resta un mito: esaltata a parole è un disvalore nei fatti e, in particolare nelle guerre. Tutte le tradizioni, infatti, sono patriarcali e, al massimo, nella modernità possono diventare fratriarcali: la donna, “uguale” in linea di principio, resta “complementare”, aggettivo ambiguo che non copre il fatto che le donne sono proprietà dei maschi e restano a disposizione delle invasioni maschili fino alla pratica nefanda degli stupri etnici e di guerra.
Ovviamente, se non si riordinano educazione e costumi, l’avanzamento cosiddetto civile produce al massimo disposizioni di legge che sanzionano ogni violenza contro le donne e, in particolare quella sessuale.
Tuttavia restano poco operative e le donne non possono essere così libere (perché in questione è la libertà) da vestirsi come vogliono e, mentre in Afganistan il corpo femminile deve essere sottratto alla vista, in Italia un sindaco democratico paga a spese pubbliche la difesa dei cosiddetti bravi ragazzi che hanno stuprato una sedicenne.
Bene fanno, dunque, tutte le sedi autorevoli che cercano di inculcare nelle società il convincimento che la violenza specifica contro le donne è sempre ripugnante, soprattutto all’interno del matrimonio e in famiglia, ma che diventa il crimine più grave dopo l’omicidio.
Nei Paesi occidentali le ancor poche donne che abitano le istituzioni hanno favorito interventi al riguardo sul piano legislativo e quasi tutti gli Stati hanno norme in materia.
Analogamente il Parlamento europeo periodicamente produce atti di denuncia e cerca di impegnare gli Stati-membri a prendere più severi provvedimenti ormai giudicati improcrastinabili.
Anche le Nazioni Unite hanno preso posizione innumerevoli volte a favore dell’autonomia femminile (cfr. tra l’altro la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne). Tuttavia tutte le prese di posizione pur formalizzate da “alte autorità” non trovano riscontro nell’educazione, nell’informazione, nei media (chi vede applicato nelle televisioni il rispetto dell’immagine della donna tante volte espresso come diritto?).
Interventi legislativi
Anche recentemente addirittura il Consiglio di Sicurezza dell’Onu – ripetiamo “il Consiglio di Sicurezza” – ha approvato due risoluzioni (la 1888 del 30 settembre e la 1889 del 5 ottobre), entrambe relative a “la donna, la pace, la sicurezza”.
La seconda è più anodina e pare quasi esprimere una volontà di non dare disagio ai Paesi di diritto patriarcale e islamici per applicare norme favorevoli all’autonomia femminile.
Tuttavia entrambe richiamano precedenti dettati del diritto internazionale, dell’Assemblea generale N.U., nonché del ventennio dedicato dalla stessa Onu alle donne e culminato nei documenti della Conferenza mondiale di Pechino.
Inoltre, per ribadire la condanna della marginalità e della sottorappresentanza delle donne, sottolineano il ruolo-chiave che il genere femminile riveste in ordine alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo delle società, al soddisfacimento dei bisogni umani.
È interessante notare la pressione preoccupata rivolta agli Stati membri che il Consiglio di sicurezza “esorta, prega, invita, interpella, impegna”, affinché tengano conto della “trasversalità in tutti i processi” di guerra e di successivo consolidamento della pace condannando, secondo i termini della risoluzione, “tutte le violazioni del diritto internazionale commesse contro le donne e le ragazze durante e dopo i conflitti”.
Le donne dovranno diventare membri di tutte le missioni politiche e l’amministrazione della giustizia, l’educazione, la sanità e dovranno farsi sensibili alla problematica uomo/donna “in materia di sicurezza fisica”, provvedere adeguati finanziamenti per realizzare questa normativa.
La questione uomo/donna in ordine alla costruzione della pace deve, infatti, diventare un obiettivo permanente per migliorare le stesse (apparentemente neutre) relazioni internazionali.
La risoluzione di settembre più esplicitamente menziona le preoccupazioni per l’assenza di risultati nel campo della violenza sessuale nei conflitti armati che in tutto il mondo sono fonte di violenza contro le donne.
Gli Stati debbono mettere fine all’impunità, condannare chi ha fatto o permesso gli stupri e mettere in opera tutte le sanzioni disciplinari e di controllo nonché le misure preventive nella formazione dei militari e prevedere inchieste approfondite. La violenza sessuale “va iscritta nei programmi di tutti i negoziati di pace sotto l’egida delle N.U.” fino ad arrivare alla “tolleranza zero”.
Si tratta di un documento che si caratterizza per la volontà strategica di mettere fine a una pratica di guerra che ha per obiettivo la popolazione civile e contribuisce ad aggravare e a perpetuare la conflittualità: si chiede al Segretario generale un rappresentante speciale per un impegno operativo coerente in questa materia e il coinvolgimento di tutte le agenzie Onu; ma soprattutto richiama il Segretario generale a vegliare sugli scenari di nuove conflittualità e a predisporre un piano di vigilanza e protezione per donne e bambini.
Fin qui il Consiglio di Sicurezza “dall’alto”. Dal basso, è responsabilità delle organizzazioni nazionali esercitare pressioni sui governi perché gli inviti, esortazioni, appelli, preghiere e richieste agli Stati non restino pura retorica.
Chi conosce il lavoro delle agenzie internazionali sa che quanti vi operano sono consapevoli che le loro iniziative possono diventare pura burocrazia se non conosciute e fatte applicare.
Donne e Africa
Organismi potenti sono anche le Chiese e anche in esse gli esperti lavorano per il bene dell’umanità con il massimo zelo.
Forse manca la messa in opera del mondo laico interessato alla medesima finalità di bene e che è, probabilmente, più competente in materia.
È recente il Sinodo della Chiesa africana di cui l’opinione pubblica in generale e il mondo dei fedeli in particolare non sono stati sufficientemente informati e che, quindi, non colgono quanto di positivo potrebbe tornare alla loro crescita morale dalla conoscenza dei problemi denunciati in quella sede.
In particolare la voce, sempre compressa nel mondo clericale, delle donne africane. Che, consapevoli di essere più della metà dei Paesi, hanno chiesto “un effettivo cambiamento di mentalità da parte della Chiesa” e il riconoscimento del “contributo che le donne offrono alla teologia... nella consapevolezza che la presenza di Dio non è declinabile al singolare”.
Inoltre desiderano “uno spazio all’interno dei luoghi in cui si preparano progetti per lo sviluppo e leggi qualsiasi genere e a tutti i livelli (le sacrestie iniziano a starci troppo strette)... la formazione all’interno dei seminari perché la donna non sia introiettata solo come madre o sorella, ma come insegnante, docente, teologa”.
Chiedono anche, tra le molte cose elencate, la creazione in tutta l’Africa di “scuole pubbliche per tutti” e “scuole di politica” in cui dare forma a nuovi progetti di democrazia.
Tutti sanno quanto grande sia la violenza che subisce la donna africana, in termini di subalternità, di stupri, di analfabetismo, di morte per aids, per aborto, per maternità; va detto, tuttavia che un impegno sostanzialmente fin qui disatteso potrebbe senza grande sforzo, liberare le energie di milioni di donne che non vogliono la violenza né per sé né per nessuno.
Come dice il Consiglio di Sicurezza, rappresenterebbe un aiuto alla costruzione della pace nella convivenza, nello sviluppo, nella sicurezza.
E che il Consiglio di Sicurezza teme sia gravissima responsabilità perdere, perché le donne sono la più grande risorsa in campo: se non si facilita l’autonomia di donne che – diceva Giovanni Paolo II – sono “maestre di pace... in modo particolare nelle situazioni di conflitto e di guerra”, cala la speranza nella convivenza futura degli umani.