Operazione massacro
Gaza City, 20 dicembre 2009
“Un anno dopo il massacro nulla è cambiato, tutto sembra più pesante: la fame e il bisogno vitale di tutto sono più forti, l’assedio alla Striscia è più duro, e noi siamo stanchi!”
Le parole pesanti come macigni che il patriarca latino di Gerusalemme affida a Pax Christi, solo apparentemente contrastano con la grande festa di Natale che è stata preparata con abbondanza di addobbi e fiori, canti e danze, per celebrare la festa della vita. In una porzione di mondo che non solo è quella a più alta densità di abitanti ma anche che ha subito le più pesanti vessazioni, da anni di embargo a bombardamenti così devastanti, il 20 dicembre si fa Natale a Gaza e contemporaneamente in cento città italiane tanta gente si raccoglie per pregare e conoscere la vera tragedia di questa terra.
È trascorso esattamente un anno da quei terribili giorni, da quando l’esercito israeliano, prima dal cielo e poi da terra ha portato lutti, dolore, sangue e distruzione tra la popolazione, con un assedio durato 22 giorni, in quel periodo dell’anno che per noi cristiani è momento di incontro, di speranza, di gioia profonda, e che per i musulmani della Striscia è sempre stata occasione di condivisione e partecipazione alla festa dei loro vicini, come mi ha spesso raccontato abuna Manuel, il vecchio parroco di Gaza: “Un disastro si è abbattuto su di noi come una tempesta. Sotto i bombardamenti eravamo affamati e assetati. I nostri bambini piangevano. Non trovavamo pane per loro né acqua per placare la loro sete. Le finestre e le porte delle nostre case sono state distrutte dalle detonazioni delle bombe e noi deperivamo nel freddo di dicembre e dell’inverno che avanzava. I nostri corpi raggelati dalla paura, dalla sete e dalla fame, non potevano consolare i piccoli che si rannicchiavano su di noi”. “Operazione” hanno chiamato il massacro che non si poteva certo definire come una guerra tra due eserciti. E poi il ancora: Piombo Fuso. Il nome fa venire I brividi perché perfettamente “indovinato” nel suo potenziale distruttivo come un crogiuolo di sangue innocente ben più devastante dei numeri scarni delle vittime: 1400 morti, 400 bambini, 5000 feriti…
Ma non per me, che si è presentata eccezionalmente la possibilità di entrare con le mie gambe e vedere con i miei occhi (allucinati) quello che i numeri non dicono: il massacro di Gaza è stato il fallimento del diritto umanitario e della legalità internazionale, ancora una volta incapace di fermare un “ripetuto crimine di guerra” come l’ha definito Goldstone nel suo Rapporto per l’Onu. Il significato implicito degli attacchi a Gaza, o almeno quello delle loro conseguenze finali, sembra essere di creare terrore indiscriminatamente. Tutti si sentivano esposti. Sembrerebbe che l’estensione e la gravità degli attacchi, condotti con armamento estremamente sofisticato, avessero l’obiettivo fondamentale di terrorizzare la popolazione.
Gli attacchi hanno causato enormi danni strutturali e una distruzione generalizzata di vaste aree della Striscia, costringendo all’evacuazione di molte migliaia di civili. Circa 21.000 abitazioni sono state distrutte o irreparabilmente danneggiate e il numero di persone sfollate supera i 100.000.
Raggiungendo con la delegazione del patriarca di Gerusalemme la piccolo chiesa della parrocchia della sacra Famiglia, proprio nel cuore di Gaza City, vedo solo distruzione di ogni tipo di edificio. L’Onu ha con precisione elencato i danni alle infrastrutture civili e non “terroristiche”, come ci voleva vendere il più noto corrispondente da Gerusalemme Claudio Pagliara. Vedo infatti scuole bombardate e moschee danneggiate. L’attacco sistematico dei luoghi di culto ha privato la popolazione civile della possibilità di trovare rifugio e conforto nei suoi santuari di pace, alterando considerevolmente il tessuto sociale e forzando la popolazione a pregare nelle strade e nelle piazze. È stato il vecchio parroco abuna Manuel a raccontarmi questo “pregare e resistere allo stesso tempo”, notte e giorno. Molte sono state anche le strutture educative, incluse le scuole, completamente sventrate. La distruzione delle strutture esistenti avrà importanti conseguenze sulla qualità del sistema educativo.
Ma allora è fortissimo il contrasto tra la grande festa di Natale a cui partecipiamo come Pax Christi per rappresentare le città che in Italia pregano e rinnovano una comunione nella sofferenza, e la devastazione di una città e di una terra violentate e ferite. Appena fuori del cancello della parrocchia, basta guardare i volti e i corpi della gente per rammentare i numeri e la realtà delle migliaia di feriti causate da Piombo Fuso un anno fa. A causa delle mutilazioni e amputazioni, questa nuova generazione di disabili costituisce un’ulteriore sfida per il sistema sanitario, sociale ed economico di Gaza, nonché un “memoriale” permanente della brutalità degli attacchi nella mente degli abitanti di Gaza per generazioni.
Il ragazzino che mi sta venendo davanti, con le mani tese a ciotola per ricevere l’Eucarestia, cammina male e trascina la gamba come trascinasse tutta la sua giovinezza traumatizzata, vergognosamente strappata al disegno di Dio per una esistenza piena e dignitosa.
D’altra parte lo sappiamo: non c’è dubbio che numerosi presidi medici sono stati colpiti intenzionalmente.
Le operazioni militari hanno avuto un impatto emozionale devastante sulla popolazione infantile. Si direbbe che i bambini di Gaza abbiano subito gli effetti degli attacchi in forma sproporzionata e irrazionale. Non solo si contano a centinaia tra i morti, I feriti e gli amputati, ma non si può non considerare l’impatto del trauma e i gravi danni psicologici dovuti all’esposizione alla violenza perpetrata in modo continuato in loro presenza. I bambini sono anche suscettibili di sviluppare gravi sequele psicologiche come risultato della perdita di familiari, amici e altre conoscenze, o per aver sperimentato che i “grandi” di loro fiducia non sono in grado di proteggerli.
In generale, questo attacco ha lasciato nella popolazione della Striscia di Gaza un profondo senso di isolamento e abbandono e nessuna speranza per il futuro. L’embargo rende impossibile la ricostruzione e il pranzo di Natale che hanno preparato per noi è un enorme sacrificio e insieme una sfida: Gaza still living!, ripete a voce alta abuna Manuel.
Diverse migliaia di feriti, mutilati e amputati porteranno per sempre le loro cicatrici, che resteranno come ricordo permanente di queste tre settimane di terrore per tutti gli abitanti della Striscia di Gaza. Sono numeri che si possono solo immaginare e drammi che restano negli articoli di pochi coraggiosi giornali.
Per Pax Christi sono volti incontrati durante i Pellegrinaggi di Giustizia o le esperienze di peacebuilding in Palestina e per me, che lascio la Striscia come se uscissi di prigione, sono motivo per schierarmi in modo deciso dalla parte degli ultimi, senza le esitazioni di chi vorrebbe annacquare l’oppressione con “le colpe degli uni e degli altri”, svuotando quella parola “pace” che si sposa solo e sempre con la giustizia.