EDITORIALE

Benedetta nave

La redazione

Alla fine è partita. Con tutto quello che è costata, a quasi 9 anni dal primo taglio di lamiera, nel luglio 2001, la portaerei Cavour è partita dall’Italia il 19 gennaio scorso per svolgere un grande e nobile servizio: soccorrere le vittime del terremoto di Haiti! 

Eppure si tratta di una portaerei in servizio per la Marina Militare Italiana. 

Con tanto di bandiera da combattimento, ricevuta alla presenza del Capo dello Stato. 

Con tanto di benedizione, ricevuta al momento della sua inaugurazione. 

Una portaerei, simbolo per eccellenza di potenza. Capace di imbarcare velivoli da guerra. Capace di condurre operazioni offensive nel raggio di diverse centinaia di miglia dal gruppo navale.

Eppure la partenza di questa nave è stata presentata, con non poca retorica, come grande motivo di orgoglio nazionale. Identificata niente di meno che con la solidarietà di tutti gli italiani.…

“C’era proprio bisogno, in Italia, di una portaerei?”– scriveva, nel lontano 2001 mons. Diego Bona, allora presidente di Pax Christi – “Certamente i tecnici della lobby industrial-militare adducono tante ragioni per giustificarne l’opportunità... Salta agli occhi il collegamento tra l’enorme povertà di tanta parte dell’umanità e le spese militari”. 

E, dopo 9 anni, Pax Christi rilancia tutte le proprie perplessità, in un comunicato del 20 gennaio: Haiti non ha bisogno di portaerei”. 

Era proprio necessario utilizzare una nave da guerra, lunga 235 metri, per portare aiuto alla vittime del terremoto? C’era proprio bisogno, a monte, di costruire una portaerei con un costo di oltre 1200 milioni di euro, pari alla somma raccolta nel mondo dopo la prima settimana dal terremoto di Haiti? Si tratta di una nave che consuma 25.000 litri di carburante ogni ora di navigazione ad alta velocità. “Quante sale operatorie od ospedali da campo si potevano e si possono realizzare con una spesa così folle?”.

E quanti morti si sarebbero potute evitare se questa cifra si fosse spesa per mettere in sicurezza persone e territori, italiani e non? Se tutte le ingenti cifre spese ogni anno per la costruzione e l’acquisto di materiale bellico fossero destinate alla promozione e allo sviluppo dei popoli?

Non dimentichiamo che l’Italia non ha solo la Cavour, ma anche la Garibaldi, che, secondo fonti ufficiali, è costata “solo” 720 milioni di euro.

E altre navi, altri aerei, altre armi. Basti pensare che nel 2008, come ben rileva il Sipri, il nostro Paese ha investito in spese militari oltre 40 miliardi di dollari, con una spesa pro capite di 689 dollari! 

Cresce così la cultura del “militare è bello”. Un altro sottile tentativo di benedire “il militare a scopi umanitari”. Per dare un volto nuovo alla guerra. 

Doverosa è la vicinanza e la solidarietà in caso di tragedie come queste, ma è altrettanto doveroso denunciare che in buona parte si potrebbero evitare. 

Come è necessario ricordare che più opportuno sarebbe utilizzare mezzi e attrezzature propri della protezione civile. Peraltro, spendendo anche meno.

Per questo facciamo nostra e rilanciamo la proposta di Pax Christi: che la tragedia di Haiti ci dia ali nuove per compiere scelte coraggiose. Per convertire strumenti di morte in possibilità di vita dignitosa. In altre parole, dovremmo avere l’audacia di invertire la rotta politicamente intrapresa. Dovremmo cioè investire in sicurezza e non in armi, in cooperazione, sanità, istruzione e non in strumenti di guerra. 

Perché non riconvertire gli investimenti (si parla di 15 miliardi di euro!) per i nuovi aerei F35?

Un segno di speranza che germoglia dalle macerie di una tragedia”.


 

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