Esclusi
Secondo le principali organizzazioni di tutela dei diritti umani e gli osservatori che si occupano di monitorare i fenomeni di discriminazione e di intolleranza nell’Unione Europea, i rom e i sinti costituiscono il gruppo sociale che vive sulla propria pelle le forme più odiose di razzismo ed esclusione. L’atteggiamento di odio e avversione nei loro confronti si esprime solitamente in forme che spaziano da manifestazioni che hanno a che fare con il discorso più propriamente ideologico – stereotipi, pregiudizi, immagini dense di un senso comune deteriorato – a pratiche concrete che tendono a escludere questo gruppo sociale (percepito indistintamente come gruppo omogeneo) dalla vita politica, economica, sociale e culturale o, in ogni caso, a limitarne fortemente la partecipazione. Si tratta di forme di discriminazione spesso di natura eterogenea – pensiamo al pregiudizio, all’esclusione dai diritti, alla violenza fisica o psicologica – ma che comportano conseguenze devastanti per chi, suo malgrado, si trova a esserne oggetto.
Indubbiamente non si tratta di un fenomeno nuovo, dal momento che da secoli l’antiziganismo è un problema profondamente radicato nella società europea. Ma l’elemento che maggiormente colpisce l’attenzione di chi osserva le caratteristiche e l’evoluzione del sentimento antizigano nel corso degli anni è costituito dalla sorprendente continuità – nelle forme, nelle espressioni, nelle pratiche simboliche e culturali – con cui il sentimento anti-rom si è andato ciclicamente esprimendo.
A partire dal 2008, a seguito dell’approvazione di provvedimenti legislativi esplicitamente orientati a introdurre una serie di limitazioni restrittive in materia di residenza e controlli nei confronti di rom e sinti – molti dei quali cittadini italiani – la “questione rom” ha assunto, in Italia, caratteristiche giudicate preoccupanti da numerosi organismi dell’Unione Europea e di tutela dei diritti umani. L’icona forse più inquietante del dibattito pubblico che è andato emergendo è indubbiamente costituita dal campo: luogo di segregazione, di contenimento, di disciplinamento e occultamento all’interno del quale relegare e circoscrivere la presenza di individui considerati sgraditi, pericolosi, incapaci di adattarsi a quelle che vengono considerate le regole della convivenza civile condivise dalla popolazione autoctona. Ma anche un luogo dalla forte valenza simbolica, perché emblema di uno stato di eccezione, di sospensione dei diritti, soggetto a logiche che prevedono, puntualmente, anche l’epurazione, la cancellazione, lo sgombero – come il linguaggio asettico delle varie ordinanze ci rimanda – di coloro che, volontariamente o meno, vi hanno fato sede della propria insopprimibile contingenza.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali dedicato al tema dell’accesso all’abitazione, rom e sinti in Europa risultano fortemente discriminati nell’accesso all’alloggio, obbligati ad accettare condizioni abitative assai scadenti, segregati all’interno di spazi inidonei, oggetto frequente di sfratti coatti. Dalla ricerca emerge come molte autorità regionali e locali dell’Unione siano restie a promuovere e adottare politiche abitative per i rom, con gravi ripercussioni che si esprimono in un impatto assai negativo sull’istruzione, l’occupazione e la salute di chi vive in questi spazi giudicati inaccettabili. In molti Stati membri esistono elevati tassi di segregazione anche a seguito di deliberate scelte politiche compiute dalle autorità locali e dai governi nazionali. Il rapporto evidenzia sfratti coatti dagli alloggi comunali persino di rom che pagano regolarmente l’affitto. Ma sono in pochi a denunciare questi abusi. Il 70% dei rom in Europa non sa che esistono normative che vietano la discriminazione nell’accesso all’alloggio. Il 71% pensa che non accadrebbe nulla denunciando l’episodio di discriminazione e il 41% è incerto su come sporgere denuncia. Di conseguenza, il numero di denunce ufficiali resta molto basso.