Amici del Concilio Vaticano II
Oltre la “legge” delle sicurezze armate e delle guerre giuste.
Il Vangelo della pace che libera e perdona
In questo periodo si stanno moltiplicando riflessioni su Concilio Vaticano II e dintorni. Il 9 gennaio sono nate le "Conversazioni di Assisi" secondo lo stile del Concilio (Marchini, Dell’Olio, Previdi). In ambito telematico viene organizzato da alcuni teologi (tra essi, Coda, Dianich, Vergottini, con il patrocinio di Martini, Tucci e Bettazzi), il sito "Viva il Concilio". Ora riparte Firenze 2 con l’argomento: “Il Vangelo ci libera e non la legge”.
Nel suo piccolo, Pax Christi vuol essere esperienza di Concilio che cammina. Dopo Firenze 1, cui abbiamo partecipato (in particolare con Ferè, Abbate e Farri), sono stati pubblicati due miei interventi su "Segni di nuovi " di «Adista». In vario modo, ora stanno intervenendo altre persone (come G.C. Codrignani). Pax Christi, oltre ad aderire direttamente a "Viva il Concilio" e ad altre iniziative, rinnova la sua adesione al cammino fiorentino augurandosi che le differenze di opinione non producano separazioni o divisioni ma siano feconde di unità ecclesiale. Gli amici del Concilio, in quanto testimoni del Risorto, devono alimentare la fiducia nella possibilità di trasformare ogni disagio e lamento in seme di fioritura, curando la loro conversione permanente al Vangelo di pace e praticando la sinodale corresponsabilità.
In questa fase convulsa e tormentata, ritengo cosa buona evitare di concentrarsi su riflessioni teologiche di carattere generale o su analisi onnicomprensive della Chiesa, reperibili in moltissime pubblicazioni di autorevoli amici, alcuni dei quali sono presenti anche il 6 febbraio, come Paolo Giannoni, Giuseppe Ruggieri e gli altri 10 che ci hanno convocato (e che ringrazio con amicizia).
Secondo me, il titolo del 6 febbraio potrebbe essere tradotto oggi con “oltre la ‘legge’ delle sicurezze armate e delle guerre giuste, il Vangelo della pace come forza di liberazione”.
Penso sia necessario mettere a fuoco urgenze (problemi) e indicazioni (proposte). Da parte mia, intendo dare un contributo informando sulle ultime riflessioni di Pax Christi riguardanti due questioni:
1. la smilitarizzazione e il disarmo nell'ottica della nonviolenza evangelica e della civiltà umana;
2. la convivenza civile dopo i terribili fatti di Rosarno, contro i progetti autoritari e tribali in atto.
1. Il 30 gennaio, presso l’Università Lateranense, assieme alla Commissione episcopale per i problemi sociali, il lavoro, la giustizia e la pace e la Caritas, Pax Christi ha promosso il Convegno su “Il sogno di Isaia e l’annuncio di Cristo”. Il dossier di «Mosaico di pace» (gennaio 2010) è dedicato al disarmo, alle esperienze di smilitarizzazione e a cammini ecclesiali di pace. Per i cristiani il tema della pace nella nonviolenza è decisivo, si colloca al centro della testimonianza evangelica. L’argomento si fa drammatico e incalzante dopo la scelta di intensificare la guerra in Afghanistan contrastata da numerose associazioni statunitensi con cui intendiamo operare sia in Italia che negli Stati Uniti anche come Pax Christi International. Anche in tutto il Medio Oriente, nel cuore dell’Africa e nel centro-sud America sono presenti forti spinte alla militarizzazione così come alla devastazione del territorio.
2. In aprile, la nostra Assemblea nazionale (a Milano) sarà centrata sul tema “Nella mia città nessuno è straniero - pace come cittadinanza responsabile” Su tale questione, oltre alle nostre argomentazioni di maggio 2009 (“Ero straniero e mi avete accolto”), luglio 2009 (“La gloria di Dio risplende sul volto di ogni persona”) e gennaio 2010 (“Anch’io migrante uomo come te”), penso sia importante misurarsi sia con le opinioni del Pontificio Consiglio per i Migranti (il testo “Erga migrantes caritas Christi” del 2004 così come le posizioni di Marchetto e Vegliò), sia con il magistero della diocesi ambrosiana a proposito della “la città del dialogo”, sia con le varie realtà associative che operano in tante realtà italiane tentando di contrastare pericolosi progetti avversi ai diritti umani, alla Costituzione italiana e al Vangelo di pace in nome di una religione civile settaria “cristiana senza Cristo”.
Disarmo e migranti sono temi generatori che stanno dentro il percorso che ci sta portando al Forum della pace e alla Marcia Perugia-Assisi del 16 maggio 2010 (“Diffondiamo la cultura della pace e dei diritti umani, diciamo basta alla violenza e alla paura”) così come all'incontro ecumenico mondiale di Kingston del 2011 (“Gloria a Dio e pace in terra”).
Sulla strada del Vaticano II, persone e comunità cristiane, direttamente o indirettamente, possono diventare tessitrici di un pensiero creativo nonviolento e di una pratica di liberazione e di conversione evangelica. Oltre alle due citate (disarmo e migranti), segnalo alcune piste:
a) Sostenere iniziative come “Voci sotto assedio” con la comboniana Alicia Vacas e il rabbino per la pace Jeremy Milgrom, a un anno di bombardamenti su Gaza, in vista del 1 marzo (“Un ponte per Betlemme” dentro la campagna “Ponti e non muri”). Si sta aprendo la stagione del Sinodo per il Medio Oriente dell’ottobre 2010 per il quale si può mettere in rete esperienze sociali e percorsi interculturali-interreligiosi. Recentemente i patriarchi cattolici mediorientali hanno dichiarato di partecipare con i musulmani e gli ebrei a “un’unica eredità di cultura e civiltà” e di volerla riattivare come “fondamento della nostra convivialità e della nostra solidarietà fraterna” («La Stampa» 10.01.2010). In una lettera di cristiani proveniente dalla sofferenza palestinese, si propone la “resistenza creativa” che “deve trovare strade umane che impegnino l’umanità del nemico”.
b) Sviluppare concretamente la tematica del 1 gennaio 2010, in occasione della Giornata mondiale della pace, “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”. E’ un modo per approfondire la rifondazione etica dell’economia proposta dall’enciclica “Caritas in veritate”, per rilanciare il Sinodo della Chiesa africana, per contrastare i progetti di “nucleare civile” (che vedono anche l’opposizione di 13 Regioni), per partecipare alle reti dei nuovi stili di vita.
c) Favorire in ambito provinciale o regionale, lo sviluppo di percorsi di azione nonviolenta contro le mafie. Preparare (assieme a Libera, alla Tavola della pace, alle parrocchie in prima linea e a tante realtà in cammino) un sorta di “Sinodo della Chiesa italiana contro le mafie per la vita, la giustizia e la pace” collegabile al documento episcopale sullo sviluppo del Mezzogiorno. L’idea potrebbe partire il 20 marzo 2010, Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie.
d) Collaborare alla preparazione della Settimana sociale dei cattolici di Reggio Calabria (14-17 ottobre 2010) -“Cattolici nell’Italia di oggi. Un’agenda di speranza per il futuro del paese”- nella direzione di una cittadinanza attiva basata sulla dignità umana, sulla destinazione universale dei beni, sul bene comune della famiglia umana, sulla gratuità e sulla giustizia.
e) In generale, dentro ad ogni iniziativa, operare per un decennio di educazione alla nonviolenza, al rispetto dell’altro, alla civiltà dei volti (la CEI ha preparato un progetto decennale 2010-2019 di formazione-educazione cui sarà forse possibile partecipare ognuno nell’ambito della sua competenza e del suo ruolo). Progetti pastorali orientati alla nonviolenza possono diventare una grande risorsa per affrontare l’ “emergenza culturale” di cui si parla molto in modo ora vago, ora dottrinale, ora solo formale.
f) Sviluppare le Commissioni diocesane giustizia e pace come servizio diocesano e civile; sperimentare forme di diaconia per la pace; attivare in luoghi di conflitto sociale, in città impaurite e militarizzate, ferite e divise gruppi di verità e riconciliazione.
Occorre mettere in movimento tutta la teologia e la pratica della nonviolenza. Un giorno, una nuova enciclica o un Concilio ecumenico o un’assemblea interreligiosa proclamerà la nonviolenza come unico vero annuncio cristiano. La maturazione di un’autentica teologia della pace nella nonviolenza può essere solo frutto dell’azione comune del popolo di Dio in cammino.
La pratica nonviolenta rende credibile il Vangelo che libera. Si apre un cammino etico-pedagogico per le comunità cristiane che possono riflettere sulla nonviolenza come concreta speranza storica, cammino razionale, pratica di libertà; cantiere sociale, scienza e arte, valore etico, amore politico, cittadinanza attiva, difesa della vita, cambiamento a partire da noi stessi e dalla coerenza mezzi-fini.
Dentro questo travaglio, “all’apice della trasformazione complessa e creativa del conflitto”, può emergere, come ricorda Galtung, una politica nonviolenta, “un dono per tutti noi”. Gandhi e Mandela l’hanno saputo incarnare(J. Galtung, Pace con mezzi pacifici, Esperia, Milano 2000, p. 495). In tale visione la fede cristiana e l’istanza laica non credente possono riconoscersi e fecondarsi Per tanti cristiani (tra tutti, cito Luther King e Giovanni XXIII, Primo Mazzolari e Tonino Bello, Helder Camara e Oscar Romero, Giorgio La Pira e Lorenzo Milani, Simone Weil e Marianella Garcia, Annalena Tonelli e Dorothy Stang), il dono della pace opera come per-dono.
“Non c’è futuro senza perdono”, scrive Desmond Tutu parlando di tante esperienze di “riconciliazione nella verità e nella giustizia”. Nella sua intima laicità, il perdono custodisce una profonda radice evangelica. Le espressioni “amare il nemico” o “perdonare”, lungi dal teorizzare passività o rinuncia, costituiscono un’indicazione rivoluzionaria: superare le culture del nemico e le sicurezze armate, non adottare i suoi mezzi violenti aggravando il vortice della violenza, affermare una novità di vita, una nuova prassi ecclesiale, la civiltà del diritto. Vivere il Vangelo di Cristo che libera e perdona. Buon cammino. Shalom.