Cinque paesi NATO contro le armi nucleari USA. Ma non l’Italia
“Testate nucleari? No grazie”. Per la prima volta, alcuni paesi europei dell’Alleanza Atlantica starebbero prendendo seriamente in considerazione di chiedere agli Stati Uniti d’America di rimuovere l’arsenale nucleare ospitato nel vecchio continente. La notizia è stata pubblicata da alcune testate giornalistiche tedesche e francesi; più precisamente, Belgio, Germania, Lussemburgo, Olanda e Norvegia sarebbero intenzionate a porre la questione all’ordine del giorno del prossimo summit NATO previsto per il mese di novembre 2010. Il quotidiano “Der Spiegel” aggiunge che i ministri degli esteri dei cinque paesi avrebbero già inviato una richiesta in merito al segretario generale della NATO, Fogh Rasmussen, mentre sarebbero stati attivati i canali diplomatici per invitare altri alleati europei ad aderire alla richiesta di denuclearizzazione. Sempre per “Der Spiegel”, il ministro degli esteri tedesco Guido Westerwelle avrebbe già richiesto agli Stati Uniti la rimozione di 20 testate nucleari dalla Germania.
L’agenzia France Presse, da parte sua, scrive che alcuni importanti esponenti politici del Belgio starebbero sostenendo la richiesta “No Nukes” presso il quartier generale NATO di Bruxelles, anche se il portavoce del ministero degli esteri belga, Bart Ouvery, ha dichiarato in un’intervista che “non è comunque in discussione la rimozione immediata di tutte le armi nucleari esistenti”. L’ipotesi di riduzione riguarderà inoltre solo le armi nucleari di proprietà degli Stati Uniti, mentre Francia e Gran Bretagna manterrebbero inalterati i loro arsenali di morte.
L’esistenza di contatti tra gli USA e i partner europei per un possibile smantellamento parziale delle testate ospitate nel vecchio continente è stata confermata dal “New York Times”; secondo il quotidiano, l’amministrazione Obama starebbe per completare una “Revisione dei piani di guerra nucleari” che “potrebbe potenzialmente condurre ad un cambiamento della politica USA”. Per Sharon Squassoni, ricercatore del Center for Strategic and International Studies, è tuttavia difficile prevedere oggi come Washington potrebbe reagire ad una formale richiesta degli alleati NATO di rimozione delle armi nucleari dall’Europa.
C’è incertezza sul reale numero delle testate USA esistenti oggi nel vecchio continente. Secondo alcuni ricercatori internazionali indipendenti, esse andrebbero da un minimo di 200 a un massimo di 350. Si tratterebbe in particolare di bombe di gravità del tipo “B-61”, trasportabili dai cacciabombardieri USA e dei paesi partner. Dal computo sono ovviamente escluse le testate nucleari stoccate transitoriamente o in transito nelle principali basi aeree europee o quelle poste a disposizione dei sistemi missilistici dei sottomarini e delle unità navali in transito nelle acque del continente.
Nel maggio 2008, la Federazione degli Scienziati Americani (FSA) ha rivelato i contenuti dei manuali prodotti nel 2005 e 2007 dall’US Air Force, denominati “Nuclear Surety Staff Assistance Visit and Functional Expert Visit Program Management”. Destinati al personale che cura la sicurezza degli ordigni, i manuali indicano le località dove essi sono stoccati in siti sotterranei protetti noti come “WS3 - Weapon Storage and Security System”, e dove, di conseguenza, i tecnici nucleari svolgono i controlli di sicurezza semestrali. Entrambi gli elenchi riportano i nomi delle installazioni italiane di Ghedi Brescia) e Aviano (Pordenone), insieme alle basi di Kleine Brogel in Belgio, Büchel in Germania, Volkel in Olanda, Lakeneath in Gran Bretagna e Incirlik in Turchia. La lista del 2005 comprendeva anche le basi tedesche di Ramstein e Spangdahlem, ma le infrastrutture sono state escluse dalle ispezioni nel documento del 2007. Di conseguenza la Federazione degli Scienziati Americani ritiene che le testate siano state rimosse definitivamente da queste due ultime installazioni. In tempi più recenti, l’US Air Force avrebbe rimosso anche le bombe dislocate nella base britannica di Lakenheath. Così, secondo la FSA, la “maggior parte delle armi nucleari USA è stoccata in tre basi mediterranee: quelle di Ghedi, Aviano e Incirlik”. Solo in Italia, le testate a disposizione delle forze aeree USA sarebbero una novantina, una cinquantina ad Aviano e il resto a Ghedi. Nell’installazione bresciana, gli ispettori dell’US Air Force avrebbero però rilevato “problemi di sicurezza” ai sistemi di protezione delle armi. L’inquietante particolare è stato denunciato ancora dalla Federazione degli Scienziati, che ha citato come fonte un altro report dell’US Air Force, denominato “Air Force Blue Ribbon Review of Nuclear Weapons Policies and Procedures”, parzialmente declassificato nel 2008. Problemi di difficile risoluzione al punto che il Pentagono starebbe pianificando il ritiro da Ghedi del 704 MUNSS, lo speciale squadrone USA di manutenzione delle bombe atomiche, e il trasferimento degli uomini e dei sistemi d’arma ad Aviano.
Ad oggi, nulla è trapelato in Italia se e quando verrà realizzata la concentrazione di tutte le testate nell’installazione friulana. Date le posizioni esasperatamente filo-nucleari del governo italiano è però impensabile che Berlusconi, Frattini e La Russa possano prendere sul serio la proposta di denuclearizzazione parziale di Belgio, Germania, Lussemburgo, Olanda e Norvegia. A complicare le cose c’è poi l’articolato programma di potenziamento delle infrastrutture in atto all’interno della base di Aviano. Per l’anno fiscale 2011, l’US Air Force ha richiesto al Congresso lo stanziamento di 19 milioni di dollari per costruire tre nuovi edifici che ospiteranno 114 abitazioni per il personale di stanza nella base. Essi dovrebbero sorgere accanto alle sei palazzine esistenti nella cosiddetta Area 1 dove sono concentrate le unità abitative, l’ospedale militare e le scuole per i figli del personale USA. Secondo la scheda progettuale presentata al Congresso, lo scopo delle nuove costruzioni è quello di “eliminare o ricollocare tutte le funzioni oggi esplicate nell’Area 2 utilizzata dai primi anni ’90 dai militari USA (niente di più di un paio di dormitori e qualche facilities di supporto), per restituirla alle forze armate italiane, proprietarie dell’area”. Secondo il colonnello Bo Bloomer, comandate del 31st Civil Engineer Squadron, le modalità per la restituzione dei circa 13 acri dell’Area 2 sono in via di discussione con le autorità militari italiane. Ciò non comporterà tuttavia cambi significativi al numero del personale militare e civile USA assegnato ad Aviano; l’US Air Force prevede che si passerà a 4.248 unità nel 2015, 15 in meno di quanto presenti a fine 2009.
L’Area 2 è raggiungibile dall’Area 1 grazie alla “Via Pedemonte”, ma la distanza tra i due siti e i “rischi” e le difficoltà di protezione dei mezzi USA in transito hanno convinto i comandi dell’US Air Force a richiedere il ricongiungimento dei dormitori dei militari. Secondo il quotidiano delle forze armate Stars and Stripes, “gli Stati Uniti hanno tentato di ottenere il controllo della Via Pedemonte qualche anno fa per ridurre questi svantaggi ma sono incorsi nella strenua opposizione degli italiani”. “Grazie al nuovo programma – aggiunge Stars and Stripes – ad Aviano si sta tentando di liberare 100.000 metri quadri di facilities entro il 2020 e ciò consentirà risparmi per oltre 360.000 euro all’anno”.
A un possibile nuovo scenario militare USA sulla Pedemontana ha fatto accenno nei giorni scorsi il console generale degli Stati Uniti a Milano, Carol Peres, durante un’intervista ai microfoni del Tg3 del Friuli Venezia Giulia. Solo una semplice ammissione di possibili novità a medio termine, per poi trincerarsi nel “top secret”. Peres ha comunque negato che gli USA siano intenzionate a trasferire in Polonia una o più squadriglie con cacciabombardieri F-16, come invece auspicato e pubblicato da uno dei massimi strateghi dell’US Air Force nell’ambito di una maggiore proiezione ad Est del dispositivo aereo e missilistico statunitense.