Le vittime dimenticate della guerra

4 maggio 2010 - Traduzione a cura di Sara Manzoni

Jennifer Rawlings, scrittrice, regista e attrice/oratrice, il cui ultimo film, "Forgotten Voices: Women In Bosnia" (“Voci dimenticate: Donne in Bosnia”) è stato incluso nel programma di studi di molte università, è una cronista di Change.org.

Lo scorso fine settimana mi esibivo in un teatro della mia città d’origine in Kansas. Dopo il primo spettacolo, io e gli altri attori siamo andati in un bar locale per mangiare un boccone a base di orribile pizza in cartone e vino a poco prezzo. I miei genitori, che ancora vivono nella casa in cui sono cresciuta, e il mio fratello maggiore, che vive in fondo alla loro stessa strada, ci hanno raggiunti in quel pub antiquato. Ci siamo seduti nell’angolo su divani rossi di “vero cuoio di plastica” tutti macchiati e dovevamo parlare a voce alta per sentirci al di sopra della baldoria degli ubriachi che giocavano a biliardo e a biliardino. L’impianto sonoro mandava a tutto volume un brano di Toby Keith che cantava: “Ti darò un calcio nel culo”. La mia città natale era proprio come la ricordavo: chiassosa, piccola e amichevole.
Mentre annaffiavo la mia pizza carica di conservanti con vino bianco acido, una donna che sembrava un incrocio tra Brooke Shields e Courtney Cox mi si è avvicinata. Ha steso la mano verso di me e ha detto: “Jennifer?” Il mio confuso, esausto cervello ha cominciato a frugare nel database “amicizie delle superiori”, cercando di immaginare quale fosse questa.
“Sono io, Tina.” Le sinapsi stavano cominciando ad accendersi e stavo velocemente mettendo insieme il puzzle. Tina era una delle mie migliori amiche alle superiori e non l’avevo più vista dal diploma. Le ho gettato le braccia al collo e le ho dato un gran abbraccio, sperando che questa fosse la mia amica persa tanto tempo fa e non la cameriera o qualcuno che chiedeva dove fosse il bagno.
Una delle prime domande che mi è uscita di bocca è stata: “Hai figli?”.
“Sì,” ha risposto la mia esile amica, “Sei, be’ cinque. Il mio figlio maggiore è morto quest’anno per le complicazioni della distrofia muscolare.”
Il viso di Tina era pallido e sembrava una bambina. Ha continuato: “Il mio secondo marito si è puntato la pistola alla tempia dopo il suo secondo turno in Iraq. Si è ucciso davanti a me e ai bambini”. Tina ha affondato il viso nel mio maglione e io la sostenevo mentre lei piangeva in mezzo al locale. Non sapevo che cosa dire, così sono semplicemente rimasta lì abbracciando la mia amica persa da tanto tempo, cercando parole che non riuscivo a trovare.
I tassi di suicidio tra i soldati sono i più alti delle ultime tre decadi e sono più alti dei tassi di suicidio della popolazione generale. Certi mesi, ci sono più soldati suicidi che soldati uccisi sulla linea di fuoco. Mediamente, ogni giorno cinque soldati cercano di togliersi la vita; paragonate questa statistica a quella del 2001, prima delle guerre in Iraq e Afghanistan, quando tra i soldati c’era una media di un tentativo di suicidio al giorno.
Il marito di Tina, Lance, aveva trentasei anni quando si è sparato alla testa. Era entrato nell’esercito subito dopo le superiori e aveva prestato servizio nell’esercito per oltre diciotto anni. Gli mancava un anno e mezzo per poter andare in pensione con pieni requisiti. Lance amava l’esercito, amava la comunità, il cameratismo e la disciplina. Aveva spesso detto a Tina che non riusciva ad immaginare di poter fare qualcos’altro.
La prima moglie di Lance era stata la sua ragazza del liceo, Kimberly. Lance e Kimberly avevano avuto tre figli insieme. Sotto tutti i punti di vista erano una famiglia molto felice. Verso la fine della sua seconda missione in Iraq, Lance ricevette un messaggio urgente: sua moglie era morta per un’overdose.
Lance seppellì l’amore della sua vita. Si sentiva in colpa per la sua morte ed era convinto che avrebbe potuto essere evitata in qualche modo. Si biasimava per aver lasciato solo la moglie con tre figli piccoli per mesi e mesi. Quindici giorni dopo il suo funerale, l’esercito voleva che Lance ritornasse in Iraq lasciandosi alle spalle i suoi tre figli che avevano appena perso la loro madre. Si sentiva male ed era in lutto e dovette mendicare dall’esercito ancora un po’ di tempo da passare con i suoi bambini. L’esercito alla fine accettò e lentamente Lance sembrò riprendersi dalla sua perdita devastante.
Tina e Lance si incontrarono, si innamorarono pazzamente e unirono le loro famiglie. Tina rimase incinta e il bambino aveva nove mesi ed era in braccio a Tina il giorno in cui suo padre si tolse la vita.
“Vedere mio marito esalare l’ultimo respiro e morire dissanguato tra le mie braccia… Ho sentito di aver fallito con lui”, ha detto Tina. “Avevo chiamato l’esercito così tante volte supplicandoli di aiutare mio marito. Gli prescrivevano qualche pillola e poi tutto ricominciava da capo. Era depresso e spaventato. Non aveva paura di morire… aveva paura di vivere in compagnia di tutte le immagini che aveva visto in Iraq.”
Dopo aver servito il suo paese per diciotto anni, il Sergente di Prima Classe Lance ha lasciato una moglie e quattro figli, tre dei quali non hanno né madre né padre.
Sono le vittime dimenticate della guerra.

(I nomi sono stati cambiati per proteggere la privacy della famiglia)

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